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8 settembre. Impariamo (ancora) a fare i conti con la storia

di Mario Bozzi Sentieri - 09/09/2013

 

La data  dell’ 8 settembre rimanda alla categoria degli anniversari  da trattare con cura, esposta com’è stata, nei settant’anni che ci dividono  dall’inglorioso armistizio del 1943,  alle intemperie delle interpretazioni faziose, delle manipolazioni partigiane, del giustificazionismo senza  fondamenti.

Vicenda dai risvolti drammatici e non solo per le note vicende delle quali, in questi giorni, si ricorda il settantesimo anniversario,  intorno alla data-simbolo, sono state risucchiate e disgregate storie personali e collettive, illusioni e miti condivisi, speranze e certezze, che, fino ad allora, avevano informato il popolo italiano e non solo durante il ventennio fascista.

Quella che viene travolta nel settembre 1943 è anche  l’Italia risorgimentale e coloniale, umbertina ed interventista, l’Italia che, nel 1911,  aveva orgogliosamente celebrato  il  primo mezzo secolo di vita, che, a fatica, si era avviata sulla strada dell’industrializzazione, che aveva conquistato, sulla sponda libica, il suo ruolo mediterraneo, che aveva saputo saldare lavoro e nazione.

Per questo,  chi interpreta, nel nome della rivincita  antifascista,  l’8 settembre come  il momento della rinascita e del riscatto, dimostra di non avere la percezione del trauma provocato dall’armistizio ed  il senso di una rottura psicologica, ancora prima che politica ed istituzionale, che non poteva non pesare negli anni a venire, di fronte alle immagini di un sistema burocratico-amministrativo andato in frantumi, di una dinastia in fuga, di un apparato militare a pezzi.

Per questo,  di fronte alle macerie materiali e spirituali di settant’ anni fa non è improprio parlare di “morte della Patria”, avendo la consapevolezza di distinguere tra ciò che costituiva e costituisce il senso di un’identità condivisa  e l’idea di Stato nazionale, tra le ragioni dell’appartenenza e quelle del destino.

Nell’ambito dell’identità nazionale va ascritto ciò che comunque unisce gli italiani: la lingua, l’arte, le tradizioni incarnate  negli edifici dell’orgoglio comunale, negli affreschi dell’identità delle patrie (grandi e piccole) che hanno concorso a “fare l’Italia”, nella letteratura , nella musica, nella religiosità, nella “genialità” del nostro popolo. E’ il senso del “tricolore” ritrovato, dopo tanta fatica. E’ l’inno cantato senza vergogna.

Altro è ciò che appartiene all’idea di Stato nazionale, che riguarda il rapporto tra  i cittadini e le istituzioni, che impegna i ceti dirigenti, che responsabilizza le pubbliche amministrazioni, che dà un senso alla Scuola, alle politiche sociali, alla solidarietà, al nostro essere in Europa e nel Mondo. E’, nel profondo, capacità di sapere “leggere” i  lunghi elenchi di nomi, che segnano le lapidi dei “Caduti per la Patria”, presenti in ogni parte d’Italia, dalle grandi città al più piccolo paese. E’ la percezione di un destino comune, che va oltre le personali attitudini, i luoghi di appartenenza, i ceti sociali, i partiti politici.

Rispetto a tutto questo, in ragione di quanto è accaduto l’8 settembre 1943, noi continuiamo a pagare i ritardi  provocati dalla rottura del patto tra gli italiani e la propria Storia, tra la Nazione e lo Stato.

L’auspicio, dopo tanti anni e sull’onda dell’anniversario,  è di riuscire finalmente a superare le interpretazioni  strumentali, capendo, nel profondo,  le vicende che hanno segnato l’Italia dal  settembre 1943, anticamera tragica  del biennio seguente, conclusosi, dopo la guerra civile, il 25 aprile 1945.

Ne ricaveremmo  utili chiavi di lettura anche per l’attualità,  cominciando, come italiani, a porci qualche domanda in più sul senso di un disastro che comunque ci portiamo dentro, sulle ragioni delle  difficoltà di rapporti tra i cittadini e le istituzioni, sul peso che ha avuto ed ha  la partitocrazia, sulle responsabilità democristiane  e comuniste nella cinquantennale spartizione del potere e nella divisione degli italiani, sulla debolezza delle nostre istituzioni, malgrado la  Costituzione, nata sull’onda dei tragici eventi di settant’anni fa, venga  retoricamente considerata “la più bella del mondo” e perciò sia, di fatto, intoccabile. Solo allora, forse, potremo iniziare a voltare veramente pagina, sia rispetto ad una Storia che non sembra volere mai passare, sia di fronte  ad un destino che prima o poi dovremo consapevolmente ricominciare a riscrivere.