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L’inchiesta su Milano? è peggio di Tangentopoli e vi spiego perché

di Alessio Mannino - 01/08/2025

L’inchiesta su Milano? è peggio di Tangentopoli e vi spiego perché

Fonte: Inside Over

L’inchiesta su Milano? è peggio di Tangentopoli e vi spiego perché. Intervista a Basilio Rizzo


Basilio Rizzo conosce Milano come le sue tasche. Ed è per questo che l’inchiesta sul business edilizio che ha investito l’attuale giunta di centrosinistra non lo stupisce: i soldi, i veri padroni della “capitale morale” (e, potremmo dire, dell’Italia intera), girano di tasca in tasca ma tendono a finire in quelle di chi già le ha belle piene. Dal 1983 al 2021 per trentotto ininterrotti anni a Palazzo Marino, Rizzo rappresenta quell’anima della sinistra meneghina che nel 2016 tentò di contenere l’ascesa di Beppe Sala (già city manager della berlusconiana Letizia Moratti). Ma perfino i Verdi capitolarono.
Oggi, a parte qualche voce minoritaria, la sinistra che un tempo, oltre che per l’ambiente, si batteva anzitutto per le classi più povere, sembra afona, abulica, rassegnata al ricatto per cui, se non si è di destra, ci si deve far andar bene un Sala beniamino di archistar e benestanti del centro. Con tanti saluti alle periferie. Sui fatti giudiziari che vedono indagato lo stesso sindaco insieme a imprenditori ed ex funzionari per “speculazione selvaggia”, così almeno secondo la Procura, Rizzo è tranchant: “Mutatis mutandis, è come la Tangentopoli del ’92: la magistratura sta facendo da detonatore, ma perché si è oltrepassato il limite. Si legga bene l’intervento in consiglio di Giancarlo Tancredi (ex assessore all’Urbanistica, unico dimissionario, ndr): sia pur elegantemente, dice di essere stato sacrificato. E chi si sente sacrificato, se non si salva prima o poi parla. Ecco perché è come Tangentopoli: perché non finirà qui. Finora abbiamo visto solo una minima parte di quel che potrebbe venir fuori”.

Perché l’inchiesta sulla giunta Sala è peggio di Tangentopoli
Negli anni Ottanta, quelli della “Milano da bere”, dai banchi dell’allora Democrazia Proletaria il giovane Rizzo denunciava il “sistema Ligresti”, che prendeva il nome dal costruttore Salvatore, dominus della città. “Viene quasi da dire che era meglio allora”, osserva con qualche amarezza, “almeno sapevamo con chi prendercela”. Il paradosso infatti sta nel fatto che, dietro i grattacieli con boschi verticali e la gentrificazione che ha espulso i meno abbienti da Milano, “ci sono fondi finanziari impalpabili, per cui non si capisce chi dirige gli affari e, soprattutto, rispetto a quei tempi, hanno un potere intoccabile, occultato, perché non sono neppure ben individuabili, e magari a tracciarli hanno i conti in qualche paradiso fiscale. Ricordo che facemmo una commissione d’inchiesta su Ligresti: adesso, contro chi la fai?”.
Effettivamente, è dura controbattere alla potenza anonima di real estate stranieri che hanno finanziarizzato la rendita immobiliare. La conseguenza è devastante e va al di là del caso Milano: “il ruolo delle istituzioni pubbliche si è snaturato: la politica non conta più. I magistrati fanno il loro lavoro, ma dove sono i politici che si assumono la responsabilità, poniamo, di un grattacielo innalzato in mezzo a un cortile? Dov’è il giudizio politico? Quello che fa rispondere alla domanda: è giusto, o non è giusto? I veri giustizialisti (termine in realtà usato, spesso, a sproposito) sono proprio loro: quei politici che inseguono la magistratura per non prendersi la propria responsabilità”.
Il pensiero va all’amministrazione Sala che solo a marzo di quest’anno, quando le indagini erano ormai deflagrate, ha fatto marcia indietro togliendo il sostegno alla norma “Salva-Milano”, tentativo da parte del centrodestra di aggiornare la legge urbanistica del 1942 per normalizzare le costruzioni più alte di 25 metri, alzate finora con una semplice autocertificazione (in gergo: Scia). La leggina, ferma in parlamento anche per l’opposizione interna a Fratelli d’Italia di Ignazio La Russa, che dei meloniani milanesi è il ras, per Rizzo rappresenta una cartina di tornasole: “Di fatto, è un condono. Io non sono per distruggere quel che ormai è stato fatto, ma che almeno chi si è arricchito ripaghi la collettività attraverso gli oneri di urbanizzazione, che poi sono una quota piccola di quel che sarebbe dovuto. Cosa che non è avvenuta”.

La vera storia dietro il “Modello Milano”
Il cosiddetto modello Milano, appunto. Sintetizzabile così: “Il bene-suolo viene raggrumato e i suoi benefici in termini di ricchezza vanno a pochi privilegiati. Così si crea la logica predatoria della rendita. Ma ormai credo non riusciranno più ad andare avanti, si è raschiato il fondo”. Col che, sottolinea Rizzo, non si vuol dire che non siano state realizzate anche, per esempio, “belle piazze: il problema è che ad avvantaggiarsene sono solo i ricchi. È saltata completamente la redistribuzione sociale. Si prenda anche il piano sull’edilizia residenziale sociale (Ers): riguarda i ceti medi impoveriti, e per carità, va bene. Ma le case popolari? Nessuno le mette a posto. E questo perché nessuno pensa agli ultimi della piramide sociale”. Risultato: “Chi non può permettersi affitti alti va via da Milano, o finisce ai margini, spesso ai confini della legalità. E degrado chiama degrado. E a guardare cosa succede negli Usa, quando una zona diventa troppo degradata: si procede a buttare giù tutto, secondo un preciso disegno perverso”.
Rizzo abita nel quartiere San Siro. La questione del nuovo stadio è il simbolo di quella che gli appare come “la resa” della politica al potere dei grandi interessi privati. Sala, nel suo discorso di lunedì 21 luglio in consiglio, ha messo sul piatto le proprie ipotetiche dimissioni (che non ha dato) a condizione di avere garanzie sullo stadio. “Ma può un sindaco” – si domanda retoricamente – “legare il suo destino e quello di una Milano che gestisce miliardi di euro, a un affare di 197 milioni per due squadre, cioè in realtà per due fondi d’investimento, che poi magari venderanno? Non penso che Sala abbia un interesse personale, ma qua si ragiona solo con i soldi. Io avevo proposto un referendum: demolirlo o no, San Siro? Sarebbe stato il verdetto popolare, a decidere”. Non pare che né Sala né i suoi avversari di destra si facciano impensierire da propositi di democrazia diretta. “Vedo una grande sfrontatezza del potere”, commenta l’ex consigliere comunale. “Non hanno ancora capito che si è esagerato”.
L’ex sindaco forzista Gabriele Albertini ha dichiarato che Sala è stato “costretto” a “prendere scorciatoie” come le Scia o i pareri della famigerata Commissione Paesaggio (piena di conflitti d’interesse fra pubblico e privato), “dribblando il confronto” in aula perché la legge del ’42 non permette la verticalizzazione. “Ma allora si cambi la legge!”, sbotta Rizzo. “Quel che dice Albertini è la controprova che si è sbagliato. I sindaci però non possono essere monarchi assoluti: devono per lo meno essere costituzionali. Quanto al rapporto fra pubblico e privato, in passato ho sostenuto che l’assessorato all’urbanistica andava chiuso: era diventato un negozio. Con Ligresti si chiamavano ‘architetti da riporto’ quelli che davano la sicurezza di ottenere il via libera. Oggi avviene la stessa cosa, ma attraverso le consulenze. I craxiani, però, chiedevano quanto meno un pedaggio. Oggi chi ha soldi si impossessa delle istituzioni senza più bisogno della corruzione: le governano condizionandole in modo soft”.
A questo punto vien da chiedersi se l’entità genericamente definibile come Sinistra, a Milano e non solo a Milano, sia divenuta indistinguibile dalla dirimpettaia Destra. Anche su questo, Sala ha fatto da maestro: è riuscito a convogliare su di sé il consenso di chi prima votava Moratti e Albertini, coprendosi sul lato sinistro indossando gli abiti (e i calzini) arcobaleno dei diritti civili e di una eco-sostenibilità più di marketing che di sostanza.
Rizzo ammette: “I diritti civili sono più seguiti dei diritti sociali, è un fatto. I primi vanno giustamente sostenuti, ma la Milano di Sala si regge su quel mondo privilegiato che lascia fuori i poveri, i quali non esercitano più il loro diritto alla partecipazione politica perché devono pensare alla sopravvivenza. Gli interessi forti hanno puntato su di lui, che garantisce alle coscienze delle anime belle di essere a posto. Ma attenzione: personalmente, lavorerò ancora per il meno peggio, perché quegli stessi interessi potrebbero sentirsi più rassicurati, alle prossime elezioni, dalla destra”. Obiettiamo: ma in questo modo non si alimenta proprio quel gioco al ribasso che fa preferire, mettiamola così, l’ipocrisia radical-chic alla bruta rivendicazione dell’ingiustizia sociale? “Le rispondo così: preferisco fare opposizione a Sala che al centrodestra. Preferisco qualche minimo argine, rispetto a chi applica con cattiveria la legge del più forte. Il qualunquismo che fa dire che sono tutti uguali, viene da quel che si diceva all’inizio: da una politica che ha rinunciato a sé stessa”. Una sorta di continuazione della finanza con altri mezzi.