Rifacciamo l'Europa
di Marcello Veneziani - 04/12/2013
Sì,  Presidente Napolitano, ha ragione, l'Europa deve cambiare rotta. Ma  deve cambiare anche meta. Quest'Europa non funziona così come è stata  congegnata. No, non fraintendete. La soluzione non è uscire dall'Europa,  ma entrare finalmente in Europa. Non sto pazziando. La soluzione non è  barricarsi negli Stati nazionali, sognare l'autarchia e gridare  l'antieuropa. La vera scommessa è invece rifare l'Europa sul serio,  ovvero fondarla come soggetto politico, militare, sociale, culturale  coeso rispetto all'esterno e libero al suo interno. Il contrario di quel  che è oggi l'Europa, un continente di latta rispetto all'esterno e una  caserma di piombo rispetto ai suoi popoli e ai suoi cittadini. 
L'Unione  europea di oggi è incapace di una sua politica estera, di una politica  protettiva rispetto all'esterno, anche protezionistica, se occorre; è  incapace di una politica unitaria davanti all'immigrazione, è fragile e  divisa rispetto alle crisi internazionali e alle turbolenze  mediterranee; è incapace di sfidare l'egemonia statunitense, di arginare  l'offensiva cinese, di frenare la minaccia islamica e di riconoscere la  sua matrice mediterranea; è priva di una sua forza militare unita, è  senza un governo politico eletto dai cittadini, magari dopo un  referendum costitutivo del sovrano popolo europeo, dimentica le sue  radici e la sua civiltà. In compenso è oppressiva al suo interno  mediante i diktat agli Stati, i rigidi parametri e le tirannie  economico-finanziarie; è un'Europa ferocemente astratta, come la finanza  speculativa, preoccupata della contabilità e non della vita reale dei  popoli e delle famiglie. Il razzismo imperante si chiama rating, come le  omonime agenzie. 
Quest'Europa è complice e succube del colpo di  stato contro i popoli europei, ben documentato da Luciano Gallino nel  suo libro omonimo uscito in questi giorni. Patisce il debito sovrano,  l'unica sovranità che riconosce e che coincide con la sua schiavitù. Non  crediamo ai complotti, come ora scrive perfino la Repubblica, ma  vorremmo credere all'Europa, non ai suoi spettri. C'erano due modi di  fare l'Europa: uno era concepirla come dis-integrazione delle patrie e  degli Stati nazionali, l'altro era intenderla come integrazione delle  patrie e degli Stati nazionali. Il primo nasceva come domanda di  globalizzazione e gradino verso di essa, il secondo sorgeva come  risposta alla globalizzazione e argine rispetto a essa. Si scelse la  prima via e questi sono i risultati. Oggi ci vorrebbe un movimento non  anti-europeo, ma pro-Europa, passando dai popoli, gli Stati e le patrie e  non contro i popoli, gli Stati e le patrie. La nostra Europa, libera  dentro i suoi assetti e unita rispetto al mondo.


