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La nostra civiltà? Più che della tecnica è figlia dell’inutile

di Marcello Veneziani - 09/12/2013

 

Nuccio Ordine riflette su come siano le attività prive di profitto, come la filosofia o il rito, ad avere creato le basi dell'umanità

«Coloro che noi chiamiamo inutili sono le vere guide», dice Platone nella Repubblica. Nuccio Ordine non cita la massima di Platone nel suo manifesto filosofico su L'utilità dell'inutile (Bompiani, pagg. 266, euro 9). E i suoi entusiastici recensori che hanno decretato il rapido successo di questo libretto anche fuori d'Italia, forse non si rendono conto dove porta l'elogio dell'inutile.

 

 

È innanzitutto un elogio della filosofia, sapere inutile ma necessario. «Povera e nuda vai filosofia», si ama ripetere per denigrare quella scienza «con la quale e senza della quale si rimane tale e quale».

Ma si dimentica il verso seguente di Petrarca: «dice la turba al vil guadagno intesa». Oltre che una difesa della filosofia e della contemplazione, l'Inutile è un'apologia della bellezza. Ma è soprattutto una sfida alla logica che percorre la modernità e che in filosofia ha preso il nome di utilitarismo. Ma nella vita corrente ha preso il nome di dominio dell'economia, riduzione della città al mercato, della società a contratto sociale, fondato sulla legge dello scambio. Invece chi predilige l'Inutile sa che i due terzi della nostra vita e delle nostre risorse li sprechiamo in attività, energie, tempi che non ci danno alcun utile pratico e alcun profitto. Li spendiamo a dormire e a sognare, ad amare ed accudire, a pregare e a imprecare, a emozionarci ed emozionare, a impreziosire la vita tramite l'arte, lo sport, il vestire, il gustare, l'ascoltare, persino leggere inutili articoli nelle pagine culturali di un giornale... È l'inutile a dare un rango nobile al vivere. Il senso etico ed estetico, ludico e religioso, logico ed eroico, sorgono dall'inutile anche se possono poi incontrarsi con l'utilità. Perché prima che nell'utile, il contrario dell'inutile è nell'insensato, nell'insignificante, nel dannoso, nel distruttivo. C'è anche una sublime utilità dell'inutile, dice Ordine.

La bellezza è un'altra propensione originaria del nostro essere all'insegna dell'inutile. Cerchiamo il bello pur non traendone alcun vantaggio pratico, qualcosa di più di un piacere disinteressato, un'esigenza dell'anima tramite gli occhi, l'udito, la parola. E l'anima, come si anima se non tramite impulsi, moventi, ispirazioni e aspirazioni che non hanno alcuna molla nell'utile?

Se la civilizzazione cresce sotto l'impulso dell'utilità e i suoi rami principali sono la tecnica e l'economia, la civiltà si fonda invece sulla grazia dell'inutile; è consonanza di stile, principî e tradizioni che attingono alla cultura, all'anima e al carattere dei popoli e non al loro utile pratico. Il mito, il rito, il simbolo, la liturgia, sono le navate superiori dell'Inutile. Il primato dell'Inutile rimette radicalmente in discussione le basi del modello occidentale e ora globale, non solo il mercatismo e l'utilitarismo, anche l'uso della vita e del tempo.

Sono stati in tanti, prima di Nuccio Ordine, a elogiare l'inutile. La tradizione platonica ha generato millenari frutti. Nel tempo è sorto pure un inutilitarismo tragico ed eroico, di matrice non idealistica né metafisica, fondato sulla magnifica gratuità della vita, che va dal don Chisciotte allo Zarathustra nietzscheano, fino allo splendido e inquietante I limiti dell'utile di George Bataille (Adelphi, 2000). I comportamenti utili, sostiene Bataille, non hanno in sé alcun valore, solo i comportamenti gloriosi arrecano luce alla vita. E in mancanza di fini gloriosi, seguita Bataille, gli uomini non possono sentirsi solidali e neanche uomini, se fra di loro rimane solo «la separante avidità dei beni». È dunque nel dispendio inutile, nello sperpero, la gloria e il senso della vita; «la paura di morire è il principio dell'avarizia».

In questi giorni è stato ripubblicato un libro di Giuseppe Rensi, La morale come pazzia (Castelvecchi, pagg. 142, euor 18,50) che è una seria, radicale critica all'utilitarismo e un elogio di quella che anni fa, coniando il termine inutilitarismo, in un mio libro definì «la morale dell'insuccesso»: ovvero, ogni idea o azione che ha successo è destinata a scadere, la sua nobiltà è nella sconfitta, o nella purezza dell'irrealizzato, cioè nel non appartenere del tutto a questo mondo. Il saggio di Rensi fu inizialmente concepito nel 1920 e poi uscì compiuto solo in versione postuma nel 1942. Poi la critica alla ragione utilitaria traslocò dalla filosofia all'economia e alla sociologia: si pensi ad Alain Caillé e al MAUSS, a Serge Latouche, o a Karl Polany e al filone dell'economia del dono. Rensi si spingeva oltre la sfera pratico-economica e convocava Platone e San Paolo, Dioniso e il Vangelo, la divina mania dei filosofi e la pazzia della Croce, Leopardi e Schopenhauer, nella sua crociata della morale folle contro la ragione dell'utile.

Oltre che i filosofi, adepti dell'Inutile, tocca ai poeti, oracoli dell'Inutile, il compito di essere, come scriveva Shelley «i legislatori del mondo». Tocca a loro sancire il primato leopardiano del dilettevole sull'utile, la necessità del superfluo di cui parlava Karl Kraus o sostenere con Baudelaire che «il commercio è satanico perché è una delle forme più basse e più vili di egoismo». A questa folle missione del poeta si dedicò Ezra Pound che cercò di calare la poesia nell'economia, la tradizione confuciana e dantesca nell'epoca dell'utile. Al suo delirio profetico e al suo pensiero «che salverà il mondo», ha dedicato un bel saggio Adriano Scianca, Ezra fa surf (Zero 91, pagg. 320, euro 15). Ma i poeti, più che salvare il mondo, salvano dal mondo.

Oltre Pound cogliamo la portata rivoluzionaria del messaggio anti-utilitarista: il primato dell'Inutile conduce infatti a un rovesciamento o, come direbbe Nietzsche, a una trasvalutazione dei valori dominanti nel presente globale. L'inutile decreta il primato del pensare sul fare, dell'agire disinteressato sull'agire mercantile, il primato della visione del mondo sulla specializzazione di settore, della cultura sull'economia, della gloria sul profitto, del sacro sul conveniente, della comunità sul contratto sociale, dei beni reali sulla finanza, dell'eternità sul tempo, tradotto dall'usura in servitù e interesse.

Perciò dicevo che chi ha elogiato le tesi del libro di Ordine forse non si rende conto da dove provengono e dove conducono: a rovesciare i presupposti della società globale, del sistema occidentale e dell'Europa dominata dalla tecnocrazia e dalla finanza. L'elogio dell'inutile sorge dalla capacità di «vedere il mare e non solo la propria tazza di tè», come diceva Pound. Cioè vivere mirando al cielo e non al proprio ombelico. La divina pazzia dell'Inutile.