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Politica estera americana: la rivincita della storia

di Francesco Carlesi - 27/05/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


L’amministrazione Obama ha dimostrato ancora una volta un’impreparazione sorprendente, dopo il caos delle “primavere arabe” e la sconfitta diplomatica in Siria. Persino le guerre e l’aggressività di Bush jr. cambiano colore di fronte a tali smacchi. In Ucrania è stata la forte e inaspettata risposta di Putin a scompaginare le carte in tavola.

marines Usa

«Mantenere  la supremazia degli Stati Uniti, impedire l’ascesa di un nuovo rivale e plasmare l’ordine internazionale coerentemente con i principi e gli interessi americani». Parole tratte dal documentoRebuilding American Defenses: Strategy, Sources and Resources for a New Century elaborato dal PNAC (Project for the New American Century) nel lontano 2000, che gettano ancor oggi una luce chiara sulle linee guida della politica estera americana. Dalle guerre in Afghanistan e Iraq fino alle politiche muscolari attuate in Africa e Ucraina nel periodo attuale. Il PNAC è sempre stato uno dei maggiori think tank impegnato nello studio delle dinamiche internazionali e delle strategie americane, capofila della scuola neoconservatrice vicina ai repubblicani. Impegno mai venuto meno, se è vero che John McCain, lo sfidante di Obama nel 2012, ha versato fiumi di dollari nell’”impresa ucraina” degli Stati Uniti. Ma l’intenzione di destabilizzare il paese chiave dell’Europa orientale, come già fatto in precedenza con la “rivoluzione colorata” di Yulia Tymoschenko, non ha avuto gli effetti sperati.

L’amministrazione Obama ha dimostrato ancora una volta un’impreparazione sorprendente, dopo il caos delle “primavere arabe” e la sconfitta diplomatica in Siria. Persino le guerre e l’aggressività di Bush jr. cambiano colore di fronte a tali smacchi. In Ucrania è stata la forte e inaspettata risposta di Putin a scompaginare le carte in tavola. Dopo il crollo del sistema sovietico e  gli anni bui di Elcin, la Federazione russa si candida a recitare quel ruolo di “nuovo rivale” citato nel testo in apertura, che i massimi  strateghi americani avrebbero voluto evitare a ogni costo. L’accelerata impressa all’avvicinamento di Mosca verso Pechino, poi, è un’ulteriore conseguenza negativa e tutt’altro che prevista.

Lo scenario è mutevole, caldo e in continua evoluzione. In Ucraina la partita rimane aperta, e le tensioni e i morti restano all’ordine del giorno. La “strage di Odessa” di poco tempo fa è stato uno dei casi più drammatici, in cui la stampa del nostro paese si è rivelata maestra nel confondere e minimizzare le colpe delle milizie governative, come messo in evidenza da Daniele Scalea sulle colonne dell’Huffington Post. La retorica dei “diritti umani” di parte occidentale è sempre meno credibile. Essa non appare altro che un’arma tra le altre nel conflitto, usata sul piano della propaganda per delegittimare l’avversario. «E’ parte della guerra stessa; è in senso stretto, uno strumento di strategia militare diretto ad ottenere la vittoria sul nemico», osservò acutamente Danilo Zolo, commentando le imprese americane degli anni ’90 in Iraq e nei Balcani. Allora molti annunciavano trionfalisticamente la vittoria della democrazie e la “fine della storia”, ma oggi, come si è evinto, tutto cambia e viene messo in discussione giorno per giorno. La storia si presa la sua rivincita.