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Maestri del Comunitarismo europeo: Jacques Maritain

di Lorenzo Maria Pacini - 10/02/2015

Fonte: millennivm


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“La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia.” [1]

Queste le parole di  Jacques Maritain[2], una delle menti cristiani più brillanti del XX secolo, e senza dubbio uno dei pensatori ed attuatori più energici della cosiddetta Dottrina Sociale della Chiesa.

Quest’ ultima, per chi fosse digiuno di Magistero ecclesiale, altro non è che la concretizzazione del messaggio evangelico in chiave pastorale nella società contemporanea.

L’insegnamento di Cristo non concerne la politica, ma lui solo risolve tutte le questioni politiche”[3] ha scritto Tolstoj nei suoi Diari a proposito del legame tra democrazia e cristianesimo. Oltre Atlantico, negli anni Quaranta faceva eco a tale convinzione il vice presidente degli Stati Uniti d’ America Henry A. Wallace: “L’idea della libertà deriva dalla Bibbia. La democrazia è la sola vera espressione politica del cristianesimo.”[4]  Chateaubriand, Bergson e intellettuali di ogni latitudine del mondo hanno espresso in tempi diversi la medesima opinione.

Il Magistero e la Dottrina Sociale della Chiesa hanno sviluppato sul rapporto fra democrazia e cristianesimo una imponente mole di riflessione e di orientamenti sociali, politici, economici, che a loro volta hanno dato vita a innumerevoli lavori di ricerca sulle più diverse implicazioni di tali orientamenti. Come è stato scritto, “La Dottrina Sociale della Chiesa – riflesso e “traduzione” del Vangelo nella storia – è nell’ interezza dei suoi contenuti la bussola orientatrice dell’ impegno laicale nella società. Essa non sostituisce ma accompagna la cultura sociale e politica e quindi il dibattito che essa comporta”[5].

Questo traguardo della storia della Chiesa vede come autore il papa Leone XIII, in data 1891, anno della promulgazione della storica enciclica Rerum Novarum, ancora oggi capofila di una lunga serie di successivi sviluppi e interpretazioni.

Successivamente, il Concilio Ecumenico Vaticano II, con l’insieme dei suoi decreti, costituzioni e dichiarazioni, ha rappresentato un passaggio fondamentale di tale percorso di “aggiornamento” (n.b.: termine poco amato in campo dottrinale dal redattore, ma usato dagli esperti). La questione sociale è stata oggetto di misurazione per tutti i pontefici del Novecento, e, di conseguenza, anche di tutti coloro che, in accordo di fede o per semplice simpatizzazione col messaggio cristiano, si sono confrontati con l’ avvento imperante della modernità.

Maritain se ne interessò sin da subito. La sua formazione spiritualista e positivista, che poi prese la direzione del cattolicesimo ortodosso alla Traditio, gli permise una analisi pluriforme e la conseguente traduzione in opere sia teoriche che pratiche, essendo molto impegnato nel campo della pedagogia, della didattica e della sperimentazione educativa.

Il pensiero di fondo che pone il pensiero di J. Maritain nasce dal suo “isolamento” nel panorama complessivo del pensiero pedagogico del Novecento. La ragione è nota. Egli si trova isolato perché sceglie di collocarsi su una posizione antimoderna rispetto a tre questioni   che investono alla radice l’intero sistema della cultura, della vita individuale e sociale e, dunque, dell’ educazione.

In prima istanza è sua convinzione che il pensiero moderno abbia smarrito le vie del filosofare nella sua autenticità e nella sua stessa essenza, nel momento in cui si è orientato in direzione antimetafisica, disancorando il pensiero dall’ oggettività dell’ Essere.

Come seconda cosa – conseguenza dell’ opzione antimetafisica – l’antropologia si è andata progressivamente impoverendo, delineando un’immagine dell’ uomo ridotta ad una sola dimensione, naturale o sociale, a seconda delle mode o dell’ andamento alterno delle ricerche in psicologia [6] e sociologia.

Da ultimo, il pensiero moderno non è riuscito a liberarsi dei principi che hanno condotto alle tragedie dei totalitarismi novecenteschi: ciò perché la stessa democrazia ha creduto di potersi reggere e sviluppare restando attaccata ai motivi posti dai suoi “padri fondatori”, Locke e Rousseau, ai principi del potere e della sovranità teorizzati da Machiavelli e che tendono, per loro stesa natura, a limitare la libera espansione della persona.

Da qui la prospettiva filosofica, etico-politica e pedagogica avanzata da Maritain, sintesi culturale a più livelli:

  • Filosofico, perché riconduce nell’ alveo della filosofia tutte le direzioni dell’umano sapere;
  • Antropologico, vedendo come unità le dimensioni naturale, sociale e spirituale, le quali si aprono in senso orizzontale (vita politico.sociale) e verticale (esperienza mistica e/o di apertura alla trascendenza);
  • Politico, poiché coordina ancora una volta secondo l’idea di una comunità di analogia tutti i valori etici e politici elaborati della democrazia e annunciati nel Vangelo, in un ordine di pratica convivenza sociale che si istituisce al servizio della persona, nella libertà, nella giustizia e nella tolleranza.

la più celebre applicazione del suo pensiero avvenne nella Pedagogia, con l’ autografo “umanesimo integrale”[7] che coinvolge la totalità delle dimensioni della vita personale e soprattutto fa della persona il fondamento e il fine dell’ educazione.

Alcuni definirono Maritain come “metafisico che parla di pedagogia” (A. Baroni). Una cosa è certa: la sua teorizzazione e la sua prassi hanno marcato il Novecento con una decisiva svolta educativa nelle generazioni che seguirono curricula redatti sulle sue ricerche, e dai frutti si può riconoscere l’ albero.

Il primato della persona, difeso contro ogni antropologismo sterile, psicologismo tecnico e sociologismo disumanizzante, e indicato come criterio animatore e normativo di ogni pratica educativa e di vita sociale  e politica feconda e positiva, è sintonizzato sulla frequenza della Dottrina Sociale della Chiesa, e che volendo si può anche leggere come una Dottrina Sociale più laicizzata. La centralità della persona, considerata, accolta, compresa e messa in gioco nella sua integralità d’essere, vuole significare il dare vita nuova a una ragione sociale che promuova il progresso del bene comune per il raggiungimento della felicità personale e collettiva. Lungi da ogni attivismo fine a se stesso, che sì prevedeva (in campo pedagogico-filosofico) la rivendicazione dell’ autorità dello scolaro sulla sua autoformazione attiva (Dewey), la proposta di Jacques Maritain guarda all’ essenza del singolo, che nella pluralità deve saper distinguere per unire [8]  le potenzialità in potenza di ciascuno affinché passino ad atto.

Seguendo le fila della Dottrina Sociale accolta, approfondita e rilanciata dal nostro pensatore, la politica diviene quindi una vera e propria vocazione al bene comune e alla salvezza della società. Un bene che non può non proiettarsi nel futuro. Ecco perché tanto interesse per la pedagogia, per l’educazione delle nuove generazioni, perché il futuro è degli attori che verranno.

Nella società di oggi, occuparsi di giovani e politica rischia di apparire un esercizio di stile. Riguardo al ruolo dei giovani nella politica, infatti, secondo una prima linea di pensiero, vi sarebbe l’ utopia come unica strada, cioè la speranza di un futuro migliore e tuttavia ogni giorno più lontano. Una seconda impostazione denuncia al contrario il rischio di atarassia, ossia di una disaffezione dei giovani per la politica e l’indifferenza verso un mondo percepito come chiuso al cambiamento, o a nuovi sistemi di pensiero o di azione. Forse alla base di ciò vi è la mancanza di chiarezza di cosa è la politica.” [9]

La Dottrina Sociale non si presenta come un prontuario di soluzioni predefinite. Essa propone un modello di azione e di educazione politica che si esprime, per Maritain, in tre momenti: vedere, giudicare, agire.

Diceva Giovanni Paolo II “Rilevazione delle situazioni, valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttiva nelle situazioni secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano.”[10]

A risaltare su tutti i principi, vi è la dignità della persona umana. In questo Maritain fu palesemente anti-modernista, anti-materialista e coraggioso nell’ addentrarsi nei meandri della riflessione educativa del suo tempo. Se è vero che “tutta la vita sociale è espressione della sua inconfondibile protagonista. La persona umana”[11], allora l’ umanesimo integrale che Maritain voleva veder prendere piede nella società ha ben valore di essere.

Utilizzando una felice espressione di Kant, potremmo dire che l’uomo è sempre il fine e mai il mezzo della politica: “L’uomo esiste come fine in sé, non soltanto come mezzo adoperabile a piacere per questa o quella volontà […]. L’ uomo non è una cosa, e quindi non è qualcosa che può essere adoperato solo come mezzo […]. Dunque io non posso disporre dell’ uomo nella mia persona, non posso mutilarlo, danneggiarlo, ucciderlo”.[12] Dalla visione dell’ uomo si comprende la stessa natura della visione politica.

I due successivi capisaldi della Dottrina Sociale, ovvero la solidarietà e la sussidiarietà, Maritain non solo bene li conosceva, ma anche li applicava con zelo nei suoi programmi didattici per gli istituti di formazione. In particolare la seconda, la sussidiarietà, era già stata ben espressa da Leone XIII nella Rerum Novarum, dove il pontefice carpinetano dichiarava che per effetto della sussidiarietà, le istanze sociali superiori devono porsi in un atteggiamento di subsidium, di sostegno, promozione e sviluppo rispetto a quelle di ordine minore. I corpi intermedi possono e quindi devono svolgere le funzioni che loro competono, senza cederle tout court ai corpi superiori, dai quali finirebbero per essere assorbiti o privati di dignità e di spazio vitale.

Guardando al passato e a coloro che vengono da molti rintracciati come i due capostipiti della riflessione filosofico-politica rinascimentale, Tommaso Moro e Nicolò Machiavelli, è possibile macroscopicamente individuare nel secondo nome, precisamente nel secondo Sistema, l’ ingranaggio chiave dello sviluppo della paideia politica dei secoli successivi, forse addirittura fino a noi. E Maritain li aveva studiati con cura, tanto da citarli a più riprese nei suoi libri e nelle sue lezioni, in quella obiettività che si addice ad ogni autentico ricercatore, che tutto prende e tutto vaglia minuziosamente.

Machiavelli, afferma Maritain, ha avuto la grandezza di mettere a nudo quello che gli uomini fanno, “ma fra quello che fanno e quello che dovrebbero fare c’è differenza.”[13] Ecco perché una prospettiva simil-bergsoniana si confà meglio a esplicare il dispiegamento del bene comune nella storia di una società. La politica è chiamata a confrontarsi con la fragilità dell’ uomo, che apprende dagli errori del passato e del presente, ma sempre coltivando la responsabilità dell’ avvenire, da orientare alla Virtus, la virtù della giustizia. Egli fece proprio il noto motto di Moro che diceva “Dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, e di avere soprattutto l’ intelligenza di saperle distinguere.

 

Per concludere, possiamo brevemente riassumere la Dottrina Sociale di Maritain come un esercizio responsabile di carità verso il prossimo. E da questo nasce la politica, secondo il pensatore francese, ovvero il prendersi cura del bene e della cosa comune.

Il poliedrico Jacques Maritain morì lasciando una vastissima opera improntata sui binari di una riflessione sobria e concreta e di una messa in pratica diligente e instancabile, tanto che i suoi numerosi testi, specialmente i manuali, sono tutt’oggi sorgente preziosa, per gli addetti ai lavori della pedagogia, della didattica, della antropologia e della filosofia, ma anche per chi mosso da una certa curiosità e da un sincero desiderio di ricerca e sana riflessione vuole scoprire il messaggio, sempre antico e sempre nuovo, di un grande personaggio del Novecento.

 

Note:

[1] Jacques Maritain, Cristianesimo e Democrazia, Edizioni Comunità di Milano 1953.

[2] <<Jacques Maritain (Parigi, 18 novembre 1882 – Tolosa, 28 aprile 1973) è stato un filosofo francese, allievo di Henry Bergson e convertitosi al cattolicesimo.Autore di più di 60 opere, è generalmente considerato come uno dei massimi esponenti del neotomismo nei primi decenni del XX secolo e uno tra i più grandi pensatori cattolici del secolo. Fu anche il filosofo che più di ogni altro avvicinò gli intellettuali cattolici alla democrazia allontanandoli da posizioni più tradizionaliste. Papa Paolo VI lo considerò il proprio ispiratore. A conferma di ciò, alla chiusura del Concilio Vaticano II fu a Maritain, quale rappresentante degli intellettuali, che Paolo VI consegnò simbolicamente il proprio messaggio agli uomini di scienza e del pensiero.>> Tratto da Wikipedia, Enciclopedia libera on-line

[3] Lev Tolstoj, Diari, 29 maggio 1906, Sankara 2005

[4] Citato in: vedi nota 1

[5] Estratto dal radiomessaggio di papa Pio XII, reperibile in L’ attività della Santa Sede dal 15 dicembre 1943 al 15 dicembre 1994, TPV 1945

[6] J. Maritain fu sempre molto critico nei confronti della psicologia e dei suoi metodi, tanto da pubblicare diversi scritti contro S. Freud e i suoi seguaci.

[7] A questo proposito, si suggerisce la lettura di Umanesimo Integrale, opera edita nel 1935, che raccoglie sei lezioni tenute presso l a Università di Santander

[8] Vedi l’opera: J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere, pubblicata nel 1932

[9] Cardinal Tarcisio Bertone, Discorso al Raduno annuale di Rete Italia, Riccione 2010

[10] Papa Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Mater et Magistra, Roma 2000

[11] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa,  Città del Vaticano 2004

[12] Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, 1765

[13] J. Maritain, La persona umana e il bene comune, Brescia 1995