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Non errori ma scelte

di Federico Zamboni - 10/03/2015

Fonte: Il Ribelle

 



 

Errori, sbagli, e termini affini. Ormai sono queste le definizioni standard – le scappatoie standard – in cui sempre più persone si rifugiano quando si tratta di riconoscere che qualcosa non è andato per il verso giusto, o anche peggio. La gamma delle applicazioni è pressoché infinita. E tra le categorie che ne fanno maggiore uso ci sono la classe dirigente, a cominciare dai politici di mestiere, e l'apparato mediatico che le regge il gioco.

In ultimo, ad esempio, si è aggiunto il pd Stefano Fassina, che in un’intervista rilasciata al Giornale ha affermato che l’adesione all’Euro è stata appunto «un errore», visto che «la moneta unica ha spaccato l’Eurozona e sta portando il Vecchio continente al naufragio». Più precisamente, l’ex viceministro all’Economia del governo Letta, ha sostenuto che all’epoca «abbiamo fatto degli errori politici. Abbiamo pensato a uno scenario che non si è verificato. Si è sognato un'integrazione politica che non c'è stata. L'euro non solo non ha avvicinato i Paesi, ma anzi li ha allontanati. Ha divaricato le opinioni pubbliche degli Stati. L'integrazione politica è stata minata dall'euro stesso».

Al colpo d’occhio potrebbe sembrare un’assunzione di responsabilità, per quanto tardiva. Finalmente arriva una presa di distanza, in materia, anche da qualcuno che appartiene all’odierno partito di maggioranza, ossia alla formazione più affine al vecchio centrosinistra che nel 1991-92, con Andreotti a Palazzo Chigi e Cossiga al Quirinale, ci portò a sottoscrivere il Trattato di Maastricht. Una revisione critica, o per lo meno un suo accenno, che apre uno spiraglio nel muro di uno dei peggiori dogmi dell’establishment “europeista”: l’intimo e irrinunciabile legame tra l’attuale moneta unica e la sopravvivenza, nonché il successivo sviluppo, delle istituzioni politiche della UE, nella prospettiva di una compiuta federazione tra gli Stati membri.

Vietato abboccare, invece. Al di là dell’ipotetica buonafede dello stesso Fassina, ciò che continua a mancare è l’aspetto più importante. La premessa decisiva. Il presupposto indispensabile per dare credito a questi pseudo ripensamenti. Ciò che continua a mancare è la consapevolezza, e la relativa denuncia, del fatto che dietro la facciata dell’Unione europea, con tutti i suoi vessilli di “democrazia” e di “bene comune”, si cela una precisa strategia di asservimento delle singole nazioni agli interessi di poteri finanziari sovrannazionali.

Limitarsi a parlare di «errori politici», determinati dall’aver «sognato (sic) un'integrazione politica che non c'è stata», significa ignorare la vera natura della questione. E quindi travisarla.

Non si trattò affatto di “errori”, bensì di scelte. Scelte volute, deliberate, ciniche. In quegli anni, che d’altronde facevano seguito al decennio in cui aveva iniziato a dispiegarsi l’offensiva neoliberista sull’asse angloamericano Thatcher/Reagan, venne impostata una rotta ben precisa, benché non sempre uniforme nel suo incedere, e da allora in avanti si è cercato in ogni modo di mantenerla. E di accelerarla. Stante che una rotta, semmai ci fosse bisogno di ricordarlo, nasce di per sé allo scopo di raggiungere una determinata meta, magari toccando via via una serie di vantaggiosi porti intermedi.

Nelle parole di Fassina le apparenze sono quelle dell’autocritica, ma la sostanza è di segno opposto. La sostanza è quella dell’ennesima auto assoluzione, a vantaggio del sistema nel suo complesso. In linea con una collaudatissima tecnica di manipolazione collettiva, vedi innanzitutto gli Stati Uniti d’America e la loro prassi di desecretare i vecchi documenti istituzionali (quando appunto sono abbastanza vecchi da non costituire più un problema), di tanto in tanto si dà atto delle zone d’ombra che si sono attraversate in precedenza. A patto, però, di presentarle/archiviarle quali inciampi involontari, o comunque occasionali. Che proprio in quanto appartenenti al passato, non vanno addebitati al presente. E men che meno al futuro.

Errori, sbagli, roba così.