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Pianificazione familiare cinese

di Simone Torresani - 02/11/2015

Fonte: Il giornale del Ribelle

 


 

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Prendendo una decisione storica, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha abolito l' impopolare "politica del figlio unico", concepita inizialmente da Mao nel 1962 per frenare la crescita demografica e ulteriormente perfezionata, nel 1979, da Deng Xiaoping.

Questa legge severa, che per quasi un quarantennio si è intrufolata nella vita di una massa enorme di famiglie cinesi, ha contribuito secondo alcuni demografi ad evitare che la popolazione raggiungesse la cifra paurosa di 1.800.000.000 di abitanti (attualmente siamo a 1.360.000.000, ma si crede che alcuni milioni di cinesi sfuggano all' anagrafe).

I cittadini cinesi esultano, forse qualcuno che teme la Cina un poco meno; qualcuno è perplesso e teme un "boom" demografico che porterebbe a squilibri malthusiani ora che è possibile fare due figli per coppia.

In realtà non pensiamo che l' abolizione di tale norma restrittiva giunga a portare squilibri demografici nella nazione più popolosa della Terra: in primo luogo, era una legge che permetteva parecchie deroghe -a minoranze etniche, oppure a contadini con una figlia femmina e in diversi altri casi- quindi è scorretto dire che "tutti i cinesi" dovessero avere solo un pargolo e nonostante ciò la popolazione è rallentata come crescita e in secondo luogo, sappiamo bene che la crescita demografica rallenta ove sale il tenore di vita e tale tendenza era in atto pure nei primi anni Ottanta, all' indomani della pianificazione familiare, quando gli effetti delle restrizioni ancor non s'erano palesati.

Oggi la Cina ha una classe media superiore agli Stati Uniti ormai, che aumenta ogni anno ed è nel complesso una società, anche nelle zone meno sviluppate, lontana anni luce da quella di Mao e del post-maoismo.

Difficilmente le famiglie cinesi, alle prese come quelle occidentali coi problemi di  costi non indifferenti  per il mantenimento dei figli (e in Cina gli alimenti per bambini in 8 casi su 10 sono ordinati all' estero, quindi più cari per le spese di spedizione) passato l' entusiasmo iniziale e data un' occhiata al portafogli, si concederanno il lusso di una seconda culla, con spese annesse e connesse: già tanto, in molti casi, che si riesca a crescerne uno solo e inoltre i frenetici e schizofrenici ritmi di vita del Paese asiatico, specie nelle sue allucinanti e claustrofobiche megalopoli, mal si concilia con gli spazi della famiglia.

Deve invece far riflettere una delle motivazioni, rilanciate anche dalla stampa internazionale, circa l'abrogazione del divieto: nuove braccia per l'industria.

Sappiamo che il PIL cinese deve crescere almeno oltre il 6% annuo per permettere l'assorbimento dell'immigrazione dalle campagne alla città, ma non sappiamo quanto tempo servirà ancora allo sviluppo tecnologico per raggiungere e superare il "Job's Peak", ossia il punto in cui il lavoro creato dalla tecnologia è maggiore di quello distrutto.

Già oggi siamo vicinissimi al picco e si sa che una volta passato la velocità diverrà esponenziale, creando squilibri e diseguaglianze ancor più marcate.

Cosa succederà quando le palate supplementari di qualche decina di milioni di nuovi nati cinesi non potranno più usare le braccia, perché sostituiti nelle fabbriche dalla robotica e in generale dalla rivoluzione digitale?

E come faranno i nuovi nati a tenere in piedi un sistema previdenziale per anziani, quando il lavoro scarseggerà?

Siamo molto scettici che un sistema come quello cinese, tra vent' anni, metta in agenda il reddito di cittadinanza...

Si tratta di una delle mille contraddizioni della nostra epoca impazzita e riguarderà tutto il mondo industrializzato e informatizzato (difficilmente avrà ripercussioni sui contadini dell'Eritrea o del Burkina Faso) oltre che la Cina. Addurre quindi tra le motivazioni dell'abrogazione l' "avere delle braccia per le fabbriche" è il sintomo di un mondo schizofrenico che continua a fantasticare sulle " magnifiche sorti e progressive" del futuro ragionando ancora come nel passato, in attesa di un traumatico ed epocale risveglio.