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La visione del mondo espressa nell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco

di Maurizio Pallante - 30/11/2015

Fonte: Movimento decrescita felice


Pubblichiamo di seguito uno scritto di Maurizio Pallante sull’ultima encilica papale “Laudato Si”. Uno scritto, quello del Papa che non è stato ancora ben affrontato o meglio inquadrato nella sua valenza e nel profondo cambiamento di visione del mondo che esso porta.

Lo scritto che segue, anche se un po’ lungo, è molto approfondito e cerca di gettare luce su quanto lo scritto del Papa può portare nel mondo contemporaneo.

Ricordiamo anche che l’articolo che segue è  una scheda del libro “Destra e sinistra addio. Per una nuova declinazione dell’idea di decrescita”, Lindau editore, che sarà in libreria a gennaio.

Buona lettura.

L’Enciclica Laudato si’ analizza le cause e gli effetti dei piùgravi problemi ambientali con un’accuratezza scientifica che non trova riscontri in nessun altro documento firmato da un leader politico o religioso. Tuttavia èriduttivo considerarla un testo ecologista, perchéla crisi ecologica viene analizzata come la manifestazione piùgrave di una crisi di civiltàche sta causando sofferenze sempre maggiori non solo alla specie umana, ma a tutte le specie viventi. «Ciòche sta accadendo –scrive Papa Francesco nel punto 114 – ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale».[1] E, citando la Carta della Terra, approvata all’Aja nel 2000, afferma: «Come mai prima d’ora nella storia il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio».[2] In tutta l’Enciclica questo concetto viene ribadito piùvolte: siamo alla fine di un’epoca storica ed ènecessario costruire su fondamenta culturali completamente diverse una nuova fase della storia umana.

 

Nella premessa, al punto 16 vengono indicati gli assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica:

 l’intima relazione tra i poveri e la fragilitàdel pianeta; la convinzione che tutto nel mondo èintimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessitàdi dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilitàdella politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita.

 

Il secondo di questi assi, «la convinzione che tutto nel mondo èintimamente connesso», che ogni specie vivente ha una funzione insostituibile nella fitta rete di relazioni in cui tutte sono inserite, ha il suo fondamento nell’ecologia, la disciplina scientifica che studia le interazioni degli organismi viventi tra loro e con gli ambienti in cui vivono, fondata nella seconda metàdel diciannovesimo secolo dal biologo e zoologo tedesco Ernst Haeckel. Da questa concezione fondata scientificamente deriva una conseguenza di carattere filosofico, da cui il papa deduce anche un’indicazione etica e comportamentale.[3]

 

Poichétutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna deve essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ogni territorio ha una responsabilitànella cura di questa famiglia, per cui dovrebbe fare un accurato inventario delle specie che ospita, in vista di sviluppare programmi e strategie di protezione, curando con particolare attenzione le specie in via d’estinzione.

 

 Nell’Enciclica il valore in sédi ogni specie vivente non viene riconosciuto soltanto filosoficamente sulla base delle acquisizioni scientifiche dell’ecologia, ma riceve una connotazione spirituale, derivante dalla concezione del mondo come creato e dei viventi come creature, a cui il Creatore ha assegnato una collocazione specifica nel suo disegno divino. Non ènecessario credere nella visione religiosa di Papa Francesco per capire che in questo contesto tutti i viventi ricevono una valorizzazione ulteriore.[4]

 

 Dunque, si capisce meglio l’importanza e il significato di qualsiasi creatura, se la si contempla nell’insieme del piano di Dio. Questo insegna il catechismo: «L’interdipendenza delle creature èvoluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversitàe diseguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre».

 

Se ogni specie vivente ha una funzione insostituibile nella rete delle relazioni che la interconnettono a tutte le altre, tutte sono necessarie. Pertanto, il male subito da ognuna di esse si ripercuote su tutte, anche su chi lo commette:[5]

essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo ècome una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione». [dall'Evangeli gaudium]

 

La consapevolezza della pari dignitàdi ogni specie vivente e della necessitàdi ognuna di esse nella fitta trama delle relazioni che le connettono tra loro e con i luoghi della terra in cui vivono, non consente di considerarle risorse al servizio della specie umana, come èstato fino ad ora nelle societàindustriali.[6]

 

 Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in se stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Cosìi Vescovi della Germania hanno spiegato che per le altre creature «si potrebbe parlare di prioritàdell’essere sull’essere utili».

 

La convinzione che tutte le specie viventi siano al servizio della specie umana, non èsoltanto la causa di fondo della crisi ecologica, ma genera anche gravi conseguenze sociali, perchéinduce gli esseri umani a competere per impadronirsene e favorisce i piùforti a danno dei piùdeboli.[7]

 

 Sarebbe [...] sbagliato pensare che gli altri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense diseguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato, o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto. L’ideale di armonia, di giustizia, di fraternità e di pace che Gesù propone è agli antipodi di tale modello, e così Egli lo esprimeva ai poteri del suo tempo: «I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra di voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore»(Mt, 20, 25-26).

 

La visione del mondo e dei rapporti tra la specie umana e le altre specie viventi delineata da questi passaggi dell’Enciclica capovolge i due capisaldi, strettamente interconnessi tra loro, su cui si èfondata la cultura europea a partire dal diciassettesimo secolo e si èsuccessivamente sviluppata la rivoluzione industriale:

 

- una concezione dell’antropocentrismo come superioritàontologica della specie umana su tutte le altre specie viventi, da cui deriverebbe il suo diritto di utilizzarle ai suoi fini, che trovòla sua formulazione filosofica piùcompiuta nel pensiero del filosofo francese RenéDescartes (Discorso sul metodo, 1637);

 

- una concezione della scienza e della tecnologia come strumenti di dominio della specie umana nei confronti di tutte le altre specie viventi, che fu formulata dal filosofo inglese Francis Bacon qualche anno prima (Novum Organum, 1620).

 

Questa concezione dell’antropocentrismo, che papa Francesco definisce deviato, èstata dedotta da un’interpretazione di due passi del libro della Genesi in cui viene descritta la creazione dell’uomo. Nel primo (Gn 1,26) si legge che Dio, dopo averlo creato a sua immagine e somiglianza, gli affidòil compito «di dominare sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e sulle fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».Nel secondo (Gn 2,15) èscritto che «il Signore rapìl’uomo e lo depose nel giardino dell’Eden perchélo lavorasse e lo custodisse». Commentando questi passaggi, Papa Francesco respinge l’interpretazione che attribuiscano agli esseri umani il compito, e quindi il diritto, di dominare e utilizzare ai propri fini gli altri viventi, come èstato sostenuto in passato dalla Chiesa stessa, ma sostiene che il potere derivante dal fatto di essere gli unici viventi ad essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio, un Dio che agisce per amore («l’amor che move il sole e l’altre stelle», scrive il papa citando Dante al punto 77), conferisca ad essi la responsabilitàdi proteggere e avere cura di tutti gli altri:[8]

 

 dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. […] Mentre coltivare significa arare o coltivare un terreno, «custodire»vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciòimplica una relazione di reciprocitàresponsabile tra essere umano e natura. Ogni comunitàpuòprendere dalla bontàdella terra ciòdi cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e di garantire la continuitàdella sua fertilitàper le generazioni future. In definitiva, «del Signore èla terra»(Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene»(Dt 10,14). PerciòDio nega ogni pretesa di proprietàassoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perchéla terra èmia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti»(Lv 25,23).

 

 

Non solo Papa Francesco respinge la lettura antropocentrica di questi passaggi biblici, ma ne ricava due indicazioni che conferiscono una connotazione spirituale alle scelte comportamentali e politiche rispettose confronti della terra. La prima: «Ogni comunitàpuòprendere dalla bontàdella terra ciòdi cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuitàdella sua fertilitàper le generazioni future», definisce la differenza tra l’agricoltura organica, che potenzia e regolarizza la naturale fertilitàdei suoli arricchendone il contenuto humico, e l’agricoltura chimica, che per estrarne la maggiore produzione possibile li impoverisce mineralizzandoli.

La seconda: «Dio nega ogni pretesa di proprietàassoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perchéla terra èmia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti”(Lv 25, 23)», conferisce un valore universale a scelte storiche e giuridiche come l’articolo 42, comma 2, della Costituzione italiana, che recita: «La proprietàprivata èriconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

 

Per capire la rivoluzione culturale insita nella lettura fatta da Papa Francesco di questi passaggi della Bibbia, occorre leggere l’interpretazione che ne èstata, data appena cinquant’anni prima, da un altro Papa, Paolo VI, nell’Enciclica Populorum progressio.[9]

 

 «Riempite la terra e assoggettatela», (Gn 1, 28): la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera èper l’uomo, cui èdemandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla a valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per cosìdire, sottomettendola al suo servizio. [...] Il recente concilio l’ha ricordato: «Dio ha destinato la terra e tutto ciòche contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, di modo che i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’èinseparabile dalla carità. (Const. past. Gaudium et spes, n. 69).

 

Paolo VI era indotto a scrivere queste righe nel 1967 dalla constatazione delle profonde diseguaglianze esistenti tra una minoranza dell’umanità, i popoli ricchi, che disponeva di una quantitàsovrabbondante di beni, e la maggioranza dei popoli, a cui mancava il necessario per vivere dignitosamente, o semplicemente per vivere. Attraverso l’Enciclica chiedeva ai popoli ricchi, che dal 1949, a partire dal discorso d’insediamento alla Casa Bianca del presidente americano Harry Truman, venivano definiti sviluppati, di aiutare i popoli poveri a superare la miseria in cui vivevano, di favorire il loro sviluppo, fornendo ad essi l’assistenza tecnologica necessaria per ricavare dalla natura le risorse necessarie ad aumentare la quantitàdi beni a loro disposizione. Paolo VI ha esercitato i suoi mandati al vertice della Chiesa cattolica, come pro-segretario di Stato dal 1944 al 1954, come arcivescovo di Milano dal 1954 al 1963 e come papa dal 1963 al 1978: nei trent’anni dal 1945 al 1975 che gli economisti francesi chiamano gloriosi, in cui nei paesi europei e negli Stati Uniti si èrealizzata una crescita economica straordinaria, priva di corrispettivo negli altri Paesi del mondo. La cultura progressista di quel periodo riteneva che il modello economico e produttivo dei paesi ricchi fosse buono, anzi il migliore mai apparso nella storia, perchécreava ricchezza, ma che fosse ingiusto perchénon la distribuiva equamente. A partire da queste premesse Paolo VI sollecitava i Paesi sviluppati a sostenere con l’apporto delle loro tecnologie i paesi sottosviluppati, affinchépotessero aumentare la loro capacitàdi sfruttare le risorse della terra e trasformarle in beni. Le componenti progressiste della cultura industriale pensavano che l’obbiettivo etico di una maggiore equitàtra gli esseri umani si potesse ottenere aumentando il dominio della specie umana sulle altre specie viventi, perchéla percezione che questo dominio fosse una iniquitàera stata cancellata dalla convinzione che esse nell’ordine divino fossero state poste al suo servizio. In meno di cinquant’anni le applicazioni tecnologiche fondate su un antropocentrismo cosìduro e assoluto hanno sortito l’effetto contrario di impoverire sempre di piùi popoli sottosviluppati, a cui i popoli sviluppati hanno sottratto in misura sempre maggiore «i beni della creazione»per alimentare la loro crescita economica, hanno persuaso i popoli sviluppati che il senso della vita consista nell’acquistare quantitàsempre maggiori di merci da buttare nei rifiuti sempre piùin fretta, hanno causato sofferenze indicibili a un numero sempre piùampio di specie animali, hanno superato la capacitàdella terra di fornire alla megamacchina industriale le materie prime da trasformare in merci e di metabolizzare gli scarti generati dalla produzione e dall’uso delle merci. Oltre ad aggravare le ingiustizie nei confronti dei popoli sottosviluppati, le tecnologie finalizzate ad accrescere il dominio della specie umana sulla natura, hanno provocato alterazioni sempre piùgravi degli ecosistemi, in particolare dei fattori climatici, che verranno pagate in misura sempre maggiore dai popoli sottosviluppati, accrescendo ulteriormente le loro sofferenze e la loro povertà. L’iniquitàdella specie umana nei confronti di tutte le altre specie viventi oltre ad essere stata la principale causa della crisi ecologica, ha aumentato anche le iniquitàtra gli esseri umani.

 

A cinquant’anni di distanza, Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ capovolge la visione antropocentrica sostenuta da Paolo VI affermando che tutto nel mondo èintimamente connesso, che le altre specie viventi non sono risorse a disposizione della specie umana, ma hanno la loro necessitàe la loro dignità, che il male fatto a ognuna di esse si ripercuote su tutte le altre, esseri umani compresi, in particolare sui piùpoveri. E ne deduce che la riduzione delle iniquitàtra gli esseri umani e la riduzione delle iniquitàtra la specie umana e le altre specie viventi sono intrinsecamente correlate, che non si puòperseguire l’una senza perseguire anche l’altra, che l’aggravamento di una aggrava anche l’altra. Nel Cantico delle Creature la percezione dei legami che connettono tutte le specie viventi tra loro, con i fattori abiotici e con i luoghi in cui vivono, èespressa da San Francesco in termini di rapporti fraterni. Dàuna valenza ulteriore, empatica ed etica, alla consapevolezza scientifica che ne abbiamo oggi. Scrive il papa che salendo al soglio pontificio ha voluto prendere il nome del poverello di Assisi:

 

 […] quando il cuore èveramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno èescluso da tale fraternità. Di conseguenza, èvero anche che l’indifferenza o la crudeltàverso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani. Il cuore èuno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone.[10]

 

 

Il modo di perseguire l’equitàindicato da Paolo VI costituisce la variante progressista cattolica della cultura industriale. Il modo indicato da Francesco Ièuna critica radicale del modo di produzione industriale. Se, per riprendere le argomentazioni sviluppate da Norberto Bobbio nel suo libro Destra e sinistra: ragioni e significati di una distinzione politica, la destra rappresenta la tendenza culturale e politica che valorizza le diseguaglianze esistenti tra gli esseri umani, e la sinistra la tendenza opposta che tende a favorire l’eguaglianza, la posizione di Paolo VI, per quanto possa sembrare strano sostenerlo, rientra culturalmente nell’ambito della sinistra. Èla componente della sinistra che fonda la pulsione all’eguaglianza sull’idea della fratellanza umana. Non ha niente a che fare con la componente della sinistra che si propone di perseguirla con la lotta di classe, anzi ne èsempre stata l’antagonista vincente. La posizione di Papa Francesco non rientra nella sinistra, anche se èstata interpretata così, sia dalla sinistra, sia dalla destra, perchénon si limita a criticare l’iniquitàcon cui i piùforti gestiscono ai danni dei piùdeboli un modello economico di cui si valuta positivamente la capacitàdi creare ricchezza e benessere, ma indica esplicitamente nella finalizzazione della produzione al profitto, che caratterizza questo modello, la causa sia dell’iniquitàsociale, sia del degrado ambientale che accresce ulteriormente l’iniquitàsociale perchéle sue conseguenze piùgravi vengono pagate dai più poveri.[11]

 

Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, èuna distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversitào aumentare l’inquinamento.

 

Individuando la causa del degrado ambientale nella finalizzazione dell’economia al profitto, la critica di Papa Francesco non si appunta sul capitalismo, che non viene mai nominato nella Laudato si‘ (a differenza della Populorum Progressio, che invece lo chiama in causa), ma si riferisce al modo di produzione industriale, di cui il capitalismo èla variante vincente a livello mondiale, dopo la sconfitta della variante socialista, sancita definitivamente nel 1989 dall’abbattimento del muro di Berlino. La sua critica ha per oggetto la razionalitàstrumentale, da cui sono accomunate entrambe le varianti del modo di produzione industriale: il capitalismo e il socialismo.[12]

 

La razionalitàstrumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtàin funzione delle necessitàdel momento, èpresente sia quando assegnare le risorse èil mercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore.

 

L’Enciclica di papa Francesco supera la contrapposizione tra l’ideologia liberista e l’ideologia socialista, che ha caratterizzato la dialettica culturale e politica nell’epoca storica in cui si èsviluppato e si ègradualmente esteso a tutto il mondo il modo di produzione industriale. Indica nella finalizzazione dell’economia al profitto la causa di una crisi ambientale e di una crisi sociale interdipendenti tra loro, che non possono essere risolte all’interno di questo modello economico e produttivo. Propone alcuni cambiamenti radicali, nella tecnologia, negli stili di vita, nella concezione del progresso, nel sistema dei valori, come anticipazioni di un paradigma culturale alternativo da costruire. «Si attende ancora – scrive il papa – lo sviluppo di una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli». Impossibile non capire che si riferisca alla contrapposizione tra le varianti dell’ideologia liberista e le varianti dell’ideologia socialista. Inevitabile che suscitasse diffuse incomprensioni, per lo piùda sinistra, critiche rabbiose, per lo piùda destra, interpretazioni distorte. Ma anche un grande interesse in tutti coloro che non sono stati appiattiti dal consumismo sulla dimensione materialistica della vita e hanno mantenuto viva la loro spiritualità. Di coloro che non ritengono che lo scopo della vita sia produrre sempre di piùper consumare sempre di piùe consumare sempre di piùper poter continuare a produrre sempre di più.

 

La finalizzazione dell’economia alla crescita del profitto richiede l’uso di tecnologie sempre piùpotenti che accrescano in continuazione la produzione di merci. E di conseguenza il prelievo di risorse da utilizzare nei processi produttivi e le emissioni di sostanze non metabolizzabili dalla biosfera. Se l’economia continueràad essere finalizzata alla crescita, la crisi ecologica e la crisi sociale si aggraveranno fino al collasso perchéle risorse della terra non sono infinite, néèinfinita la sua capacitàdi metabolizzare le emissioni dei cicli produttivi e dell’uso dei prodotti.[13]

 

 

 

Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciòsuppone la menzogna circa la disponibilitàinfinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esiste una quantitàillimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione èpossibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti». [Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 462].

 

 

 

Anche se non ne èdiffusa la consapevolezza, scrive Papa Francesco, la causa di fondo della crisi ecologica èla crescita economica. E, se la crisi ecologica èstrettamente interconnessa con la crisi sociale, come viene ripetuto piùvolte nell’Enciclica, èinevitabile dedurne che èanche la causa delle iniquitàtra gli esseri umani e tra i popoli. «Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici piùprofonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica».[14]

 

Non dovrebbe stupire che da queste premesse il pontefice abbia dedotto, suscitando l’indignazione delle vestali della crescita e di chi ne ricava benefici e potere, che sia «[...] arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perchési possa crescere in modo sano in altre parti».[15] In questa frase i termini crescita e decrescita non vengono usati nel loro significato economico di aumento e diminuzione del valore monetario dei beni finali scambiati con denaro nel corso di un anno, e quindi con l’aumento e la diminuzione del reddito pro-capite, perché, se cosìfosse, si ricadrebbe nell’interpretazione dell’equitàcome estensione ai popoli poveri del modello economico dei popoli ricchi, basato sulla crescita dell’iniquitànei confronti di tutti gli altri viventi. Il concetto èespresso in termini di risorse, cioèdi una diminuzione dei consumi di risorse della terra da parte dei popoli che hanno piùdel necessario, al fine di aumentare la quantitàdi risorse utilizzabili dai popoli che hanno meno del necessario per sostenere una loro crescita economica sana, cioèdiversa da quella non sana dei popoli ricchi. Non èsana una crescita economica che riduce la fertilitàdei suoli e li avvelena, riduce la biodiversitàe dimezza la fauna ittica, coltiva un terzo dei suoli agricoli per alimentare in allevamenti lager centinaia di milioni di animali di cui si nutre un quarto della popolazione mondiale, e butta un terzo del cibo che produce, riducendo alla fame il resto dell’umanità. Non èsana una crescita economica che altera il clima con le emissioni di anidride carbonica generate dall’uso di fonti fossili, scatena guerre per controllarne i giacimenti e spreca il 70 per cento dell’energia che ne ricava.

 

Con l’Enciclica Laudato si’ la decrescita riceve per la prima volta un riconoscimento della massima autorevolezza morale e viene indicata come la condizione indispensabile per realizzare in questa fase della storia la pulsione all’eguaglianza insita nell’animo umano, che costituisce l’elemento caratterizzante dell’insegnamento di Cristo. Dopo due secoli e mezzo di esaltazione acritica della crescita da parte di tutte le correnti di pensiero, di destra, di sinistra e della stessa Chiesa cattolica, a fronte dell’irrisione riservata sino ad ora alla decrescita da politici, imprenditori e intellettuali che pure si vantano della loro formazione cattolica (e, per quanta buona volontàci mettano, non riescono dal 2008 a far ripartire la crescita economica), questa affermazione di Papa Francesco segna l’inizio di una svolta storica. Come ricorda lui stesso citando la giàricordata Carta della Terra, approvata all’Aia nel marzo del 2000: «Come mai prima d’ora nella storia, il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio».