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“Inquinamento” dieci anni dopo: avevo ragione io…

di Enrico Galoppini - 28/12/2015

Fonte: Il Discrimine


torino_smogDopo più di due mesi che non si vede una goccia d’acqua, senza nemmeno un alito di vento, la Pianura Padana è ridotta ad un’enorme “camera a gas”. Le sue città sono si sono trasformate in una trappola mortale, dove morire è il meno che possa accadere: i danni all’apparato respiratorio, e non solo quelli, producono legioni di malati cronici, per la sopravvivenza della casta dei “dispensatori di salute” e di quei ‘mecenati’ che indebitano per statuto gli enti pubblici, altri malati cronici in perenne debito d’ossigeno. In queste condizioni, più che vivere si sopravvive, e il tanto sbandierato allungamento della “speranza di vita” si trasforma in una beffa.

Ma a prescindere dalle avverse condizioni meteorologiche, e da chi si diverte a giocare sulle nostre teste col pretesto del “controllo del clima”, va anche detto che a terra non è che si brilli per acume e lungimiranza.

L’abuso dell’automobile è una piaga dalla quale non ci si riesce a liberare, specialmente perché tutto converge solidalmente e criminalmente nell’incitamento a sostenere le case produttrici. “Mafia, per non dire Capitalismo”, avrebbe commentato l’amico Carmelo R. Viola.

Qui però c’è anche dell’altro. C’è la stupidità umana. E lo sanno bene quelli che “invitano” a non prendere l’auto e che “consigliano” di tenere il riscaldamento domestico entro i 20 gradi. Tutte misure sensate, per carità, ma mai nessuno che prendesse la situazione di petto. Non sia mai detto che il “libero mercato” e il mito del comfort vengano intralciati… Non si può fare nulla: al punto che un serio piano di mobilità pubblica finirebbe in odor di “Stato etico”.

torino_apparenzeLa salute pubblica non può mettersi davanti alla marcia del Progresso! E allora avanti tutta, con dosi sempre più massicce di “polveri sottili”, misurate da “agenzie” placebo, dove altra gente ha trovato un “impiego”. “Agenzie” che misurano solo le particelle di inquinamento superiori ad una certa dimensione (le famose pm10), mentre dall’alto veniamo sistematicamente irrorati con nanoparticolato d’alluminio ed altre delizie dell’ordine delle pm2.

Stabilito che nulla cambierà perché così deve andare avanti, cos’altro aggiungere? Nulla, tranne una piccola, amara soddisfazione personale. Dieci anni fa avevo descritto e spiegato esattamente l’attuale situazione che di nuovo riempie i palinsesti dei notiziari tanto per parlare di qualcosa ed allungare il proverbiale “brodo”. Nessun politico o “amministratore” locale mi ha ascoltato. Al che, passati dieci anni tondi, ripropongo – a mo’ di lunghissima nota a piè di pagina – tre articoli scritti per un giornale pisano che denuncia ancora errori ed orrori della cosiddetta “politica” locale.

Avrei certamente preferito non dover ripubblicare nulla.

***

I danni dell’ideologia liberale: l’abuso dell’automobile

di Enrico Galoppini

(“Luci sulla città”, a. 1, n. 1, gennaio 2005; ripubblicato su “Il Consapevole”, n. 2, 2005)

È un fatto, che ogni ideologia, prima d’addentrarsi in prescrizioni d’ordine economico, sociale, culturale e politico, si fonda su un’antropologia, ovvero postula un preciso ‘discorso’ sull’uomo: “l’uomo è per sua natura buono”, “l’uomo è fondamentalmente egoista”, “l’uomo è così e cosà” e via astraendo… In tutti i casi, si tratta di un discorso invariabilmente fallace perché riduttivo, soprattutto poiché tende a forzare, illusoriamente, l’uomo in una pretesa ‘realtà’. Così, la realtà, che per quanto attiene l’ambito delle relazioni interumane si risolve in un continuo divenire, deve purtroppo adattarsi sempre all’ideologia e ai capricci di coloro che se ne fanno portatori, ma se l’esperienza ci pone di fronte al palese scacco delle premesse ideologiche (e quindi antropologiche) in voga, tanto peggio per la realtà!

Ora, il liberalismo, che in tutte le sue varianti di destra, di centro e di sinistra è l’ideologia dominante del momento (sebbene sia piuttosto abile a camuffarsi come a-ideologico), non fa certo eccezione a questa ferrea e perversa regola. Il liberalismo, com’è noto, postula un’antropologia di tipo utilitaristico: l’uomo persegue sempre il maggior vantaggio per sé, e la somma di tale tensione individuale al massimo benessere dovrebbe, come per incantesimo, produrre un risultato positivo per gli altri, quindi per l’intera collettività. A temperare le eventuali disfunzioni del «sistema» (forse qualche dubbio anche i liberali devono averlo…) basterebbe la raccomandazione per cui “la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”.

L’immagine che per tal via i liberali intendono evocare è quella di una società di persone rispettose l’una dell’altra, di cittadini dall’elevato senso civico. Eppure, ad una neanche troppo approfondita osservazione del quotidiano tutto ciò si rivela per quel che è: una favola. In campo economico, col «liberismo», la prima favola è quella della «mano invisibile» del «mercato»: si pensi proprio ai produttori d’automobili, che senza lo Stato così solerte nel predisporre strade ed autostrade mai e poi mai avrebbero potuto «liberamente imporsi» nel settore industriale…[1]. Quindi, la «tensione utilitaristica» dei produttori d’auto ha prodotto – pensate un po’ – innanzitutto un diretto vantaggio per loro. Mentre al resto, alla «massa», tutto un apparato d’imbonimento collettivo messo su allo scopo deve comunicare l’impressione d’essere coinvolto in questa cuccagna. Si pensi ai lavoratori del settore dell’auto, settore che ha segnato l’avvio della «produzione in serie» (l’«organizzazione scientifica del lavoro» altrimenti definita come taylorismo), la quale a sua volta ha aggiogato l’operaio («specializzato») alla catena di montaggio. Ciò ha coinciso con l’invenzione dell’utilitaria, dell’«automobile per tutti», la «Ford T» prodotta nell’America degli anni Venti e Trenta in milioni di esemplari e, fatto rilevante, venduta a prezzi accessibili ai più, compresi gli stessi operai che vedevano aumentare i propri salari proprio per essere introdotti nella spirale del consumismo[2]. Risulta dunque chiaro che in tutto questo c’è solo qualcuno, una élite, che ha tratto un netto beneficio…

Ma a questo punto interviene il provvidenziale apparato pubblicitario della «creazione dei bisogni». Alzi la mano chi non ha associato, almeno una volta, «libertà» a «liberalismo» e «liberismo». L’ho fatto anch’io. Fino a che ho preso coscienza che l’unica libertà oggi concepita (e difesa: “è in gioco il nostro tenore di vita”, si è artatamente agitato in occasione della banditesca aggressione all’Iraq) è quella di «consumare»[3]. Nel caso specifico dell’automobile si tratta di una libertà che si esplica in una dipendenza sempre crescente dalle esigenze (indotte dalla pubblicità dei «solo per te», «tu vali» ecc.) dello strumento che si presupponeva dovesse affrancare l’uomo da supposte limitazioni poste alla sua «libertà» (ad es. «di spostamento»). Eppure, a fronte del crescente inurbamento, che consiglierebbe una razionale politica di trasporti pubblici, si assiste all’esponenziale crescita del traffico automobilistico (e scooteristico), con le nostre (e non dei gruppi di pressione e dei loro esecutori d’ordini) città che s’avviano a trasformarsi in terrificanti distese di parcheggi quando invece ci sarebbe bisogno di ben altro.

Inoltre l’«automobilista» è uno che alla «libertà» ci tiene. E, soprattutto, va a votare. Per questo nessun politico assennato prenderà mai provvedimenti che possano contrariarlo. Se aggiungiamo che anche i gruppi di pressione dei produttori d’auto (e delle compagnie petrolifere) sono parimenti intoccabili, si capisce perché l’invivibilità generata dal traffico urbano è – come chiunque può osservare – in progressivo aumento. Con i cantori dello «sviluppo sostenibile» intenti a stendere provvidenziali ‘cortine fumogene’ volte ad indorare la proverbiale pillola…

Ma ancora non si è andati al fondo del problema. Accade difatti che anche un’antropologia fasulla alla lunga impone un tipo umano. Come quel tale del proverbio, che a forza di frequentare lo zoppo impara a zoppicare. L’uomo informato dal paradigma liberale è in pratica il trionfo delle premesse a-sociali del liberalismo, l’apoteosi dell’individualismo, degenerazione di una naturale tendenza a curare anche il proprio tornaconto. Con buona pace dell’antica e sana idea di societas, organizzata in base ad una «morale societaria» nella quale sono contemplate e contemperate le idee (e quindi gli apporti) di tutti i cittadini che, naturalmente, vogliono «vivere insieme». L’esatto contrario è quel che avviene oggi, dove l’unico punto di vista ammesso è quello di coloro che abbracciano il paradigma dell’ideologia liberale… col risultato che “la mia libertà” non “finisce” più, o meglio è finita nel Far West del traffico!

Il punto di non ritorno di un’autentica sovversione della natura viene infine raggiunto quando anche coloro che in linea di principio sarebbero contrari alla distruttiva e masochista tendenza impostasi si rendono conto d’essere legati mani e piedi a ciò che contestano. Ecco che, a causa dell’incuria verso ogni coscienziosa e risolutiva politica del trasporto urbano, anche i più fieri paladini di un corretto uso dell’automobile devono arrendersi e conformarsi all’andazzo generale. Ovverosia l’esatto contrario delle premesse dell’ideologia liberale: la tensione al «massimo vantaggio per sé» ha prodotto una sommatoria di «svantaggi individuali», causa di un «massimo svantaggio» per la comunità nel suo complesso.

L’angosciante delirio collettivo delle file chilometriche di dannati del traffico, con i relativi danni ambientali – e alla salute di chi non abusa dell’auto – e le perdite secche sul piano energetico, nonché di tempo per chi passa anni della propria vita chiuso in un abitacolo (dotato di tutti i comfort!), è solo la manifestazione ultima di una patologia sociale, o meglio di un disordine antropologico.

Note:

[1] Cfr. J. Kleeves, La leggenda del capitalismo e del libero mercato, “Italicum”, nov.-dic. 2000 (http://www.centroitalicum.it/giornale_2000/kleeves1112_00.htm).

[2] Cfr. il dossier Contro l’automobile, curato da A. de Benoist per il n. 86, 1996, della rivista “Eléments” e tradotto sul n. 232, gen. 2000 (pp. 4-21), del mensile “Diorama Letterario” (http://www.diorama.it/n232.html).

[3] Cfr. Ch. Champetier, Homo consumans. Morte e rinascita del dono, (trad. it.) Arianna, Casalecchio di Reno 1999.

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Curiose coincidenze: «targhe alterne» e auto «euro 4»

di Enrico Galoppini

(“Luci sulla città”, a. 1, n. 5, maggio-giugno 2005)

I recenti provvedimenti istitutivi della circolazione «a targhe alterne» sono stati presi, ufficialmente, per attenuare i nocivi effetti dell’«emergenza smog». Ma come ciascuno di noi, per esperienza diretta, può osservare, tali provvedimenti risultano inadeguati a fronteggiare quello che – come ho già scritto su questo giornale (v. n. 0, gennaio 2005) – non è una semplice e passeggera «disfunzione del sistema», bensì un problema d’ordine strutturale, ovvero antropologico, sociologico e politico. Per tornare a respirare finalmente dell’aria buona in città, si dovrebbe perciò «cambiare mentalità». Altrimenti, le «targhe alterne», oltre che a non servire a nulla (anche perché i controlli latitano e molti automobilisti fanno i furbi), vengono percepite dai cittadini come un ostacolo imposto all’espletamento delle loro quotidiane esigenze. Con un certo margine di ragione, in mancanza di una risolutiva politica dei trasporti pubblici

Dunque, ricapitolando, la situazione è questa: esiste un’«emergenza smog» alla quale chi governa (cioè è delegato dal popolo a governare) oppone dei palliativi, mentre la mentalità diffusa resta ancorata ad un insano individualismo (perché ne esiste anche uno sano!), che a sua volta alimenta tale «emergenza».

Bisogna dunque spezzare questo circolo vizioso, colpendo i vari anelli della catena ed individuandone le connessioni, più o meno dirette e/o volontarie. Ad esempio, risulta di una solare evidenza la sincronia dell’istituzione – in tutta Italia – delle «targhe alterne» col lancio delle campagne pubblicitarie delle auto «euro 4», quelle che, come recita una réclame, possono circolare «anche quando vigono le targhe alterne»…

In un mondo normale, il potere politico, di fronte ad una così smaccata sconfessione dei suoi sforzi per tutelare la salute pubblica, dovrebbe intervenire e proibire simili messaggi pubblicitari. Ma, si dirà, non si può, perché c’è il «libero mercato», la «libertà d’espressione» ecc. ecc. Tutte chiacchiere. Il mio sospetto è invece che le cose siano ben peggiori ed inconfessabili: le «targhe alterne», in mancanza di mezzi pubblici adeguati, creano effettivamente solo delle difficoltà, quindi non è esatto dire che non servono a nulla… servono invece a far vendere nuove automobili, immancabilmente presentate come «ecologiche», «verdi» e via raggirando. Ripeto, la simultaneità delle «targhe alterne» (che potevano essere istituite in qualsiasi altro momento) e del lancio delle auto «euro4», entrambi a livello nazionale, induce a pensar male.

Così anche per questa volta, verrà salvato l’interesse delle lobby petrolifere, dei costruttori d’auto, e dei politici stessi, che remando contro l’interesse generale (la tutela della salute pubblica) puntano a garantirsi la rielezione. Dopo le «rottamazioni» di qualche anno fa, gli italiani dovranno tirare fuori altri quattrini, sentendosi raccontare che tutto ciò è in «sostegno dell’industria nazionale» e in difesa dei posti di lavoro dei lavoratori delle industrie automobilistiche e di quelli dell’indotto[1]. Il solito ricatto, dunque, quando invece se si puntasse ad una sostanziale riconversione del settore in funzione della costruzione di mezzi per il trasporto pubblico (treni, autobus, navette, taxi collettivi ecc.) tutti gli interessi verrebbero tutelati. Quello generale, con la salute in primo luogo, e anche quelli particolari dei lavoratori e degli imprenditori, coi politici che, in uno scenario di questo tipo, finalmente tornerebbero a svolgere la loro funzione naturale.

Note:

[1] Ma ciò è falso, ed è dimostrato dalla situazione catastrofica della Fiat emersa dopo le «rottamazioni». Intendiamoci, «catastrofica» per le maestranze, poiché, com’è prassi nel «libero mercato», si privatizzano gli utili – tra pochi – e si socializzano le perdite! Eppure c’è un articolo 46 della Costituzione, mai attuato, che recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

***

Il traffico a Pisa e i palliativi del Comune

di Enrico Galoppini

(“Luci sulla città”, a. II, n. 2, feb.-mar. 2006)

Risolvere il grave problema dell’inquinamento da traffico automobilistico non è facile. Ci vuol poco a proclamare: «tutti a piedi!», oppure, «tutti in bici!», con buona pace di chi, onestamente, non può essere posto di fronte all’unica realtà di ‘arrangiarsi’ se poi non ha a disposizione mezzi pubblici comodi ed efficienti per recarsi, ad esempio, sul luogo di lavoro. Ma la questione, non essendo meramente ‘tecnica’, va affrontata da svariati punti di vista, e soprattutto c’è da intervenire sulla «mentalità collettiva», su quelle inveterate abitudini che malgrado a prima vista ci sembrino irrinunciabili, ad una più attenta disamina si rivelano degli autentici suicidi collettivi. Al fondo dell’abuso dell’automobile (v. «Luci sulla città», n. 1, gennaio 2005) c’è infatti un problema di mentalità. Un tipo umano che evidentemente concepisce molte delle funzioni importanti della propria vita associate all’auto. Alla base dell’abuso dell’auto vi sono determinate concezioni del tempo, della socialità, della mobilità, dello spazio e della città.

Tanto per fare un esempio, non è vero che andando in macchina «si guadagna tempo»: sfido chiunque, ad un’ora di punta, a recarsi dalla periferia di Pisa al centro o viceversa, io in bici e lui in macchina, a svolgere una commissione (non parliamo di due o tre) e tornare indietro: vediamo chi ci mette meno (e chi spende meno!), tra file, semafori e parcheggi.

Certo, non si può attendere che tutti quanti «capiscano» per iniziare a voltar pagina… infatti, il vecchio sistema del «bastone» e della «carota» funziona sempre: è frequente il caso di provvedimenti inizialmente percepiti come gravosi e negativi, ma che poi, rivelandosi di nessun peso e positivi, finiscono per modificare le abitudini e quindi la mentalità.

Ma a Pisa non si corre pericolo che questo accada. Qui la regola è la ‘fuga in avanti’: sperare che con «miglioramenti», «interventi correttivi» ed altre meraviglie «sostenibili» si possa andar avanti con questa follia di massa che è l’autoavvelenamento di una comunità per il (lungimirante) tornaconto materiale di pochi e il (miope) menefreghismo di molti. Così, tanto per non affrontare il nodo cruciale del trasporto pubblico (e pure delle piste ciclabili), il Comune ha pensato bene di far ‘spalmare’ su alcuni chilometri-campione di strade cittadine un prodotto che dovrebbe trattenere buona parte delle c.d. polveri sottili. Qualcuno si è già posto interrogativi sulla eventuale tossicità del miracoloso composto e sulle sue ricadute sulla sicurezza del manto stradale. Ma non è questo il punto. La cosa veramente incredibile è che in pratica (come del resto già dimostrato con la costruzione del mega-parcheggio in Piazza Vittorio) il Comune non crede che il ridimensionamento dell’uso dell’auto sia una cosa civile e utile (si pensi anche all’inquinamento acustico, ovvero al boato che fa da colonna sonora a molte zone di Pisa), ma ribadisce per l’ennesima volta che tutto, in fondo, va bene così; con la maggior parte dei cittadini che probabilmente gradiranno la suddetta sperimentazione-palliativo perché, poveretti, non hanno mai potuto sperimentare altro: perché la mentalità dominante, appunto, è ferma agli anni Settanta o giù di lì, quando quasi si pretendeva di salire in casa con la macchina.

Riflettiamoci un po’ su questo delirio: è come se una casa fosse abitata da gente che mangia pasta e fagioli a pranzo e a cena, con l’aria che diventa irrespirabile, ed uno, per risolvere il problema, anziché far cambiar dieta, proponesse una spruzzatina di profumo!