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Rimozione della morte

di Simone Torresani - 10/01/2016

Fonte: Il giornale del Ribelle

 


 

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Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha recentemente inviato ispettori in alcuni ospedali italiani per cercare di capire le cause di cinque decessi in sala parto, avvenuti indistintamente da nord a sud nel breve lasso di pochi giorni e suscitando grossi allarmismi. Lo stesso ministro ha inoltre commentato che " non è e non deve essere più possibile, in Italia, morire di parto".

E quando mai?

E dove sta scritta, questa sentenza?

Estrapolando dati riferiti al biennio 2013-2014, si evince come le morti di parto siano state 39, su un totale di circa un milione di nascite (mediamente ogni anno in Italia nascono 500.000 bambini): in pratica, per la legge dei grandi numeri, molto più facile che venga svaligiato l'appartamento o rubata l' automobile anziché essere vittime di sepsi, emorragie e complicazioni nelle sale parto dei reparti di ostetricia.

Capiamo benissimo che l'uomo postmoderno, nella sua ansia nevrotica ed ossessiva, vorrebbe del tutto eliminare queste complicazioni in sala travaglio, ma come sa chiunque abbia partecipato anche una sola volta ad un corso di normative antinfortunistiche sul lavoro, è fisicamente e matematicamente impossibile arrivare a zero e all' eliminazione totale degli infortuni: la sola cosa che si può fare, infatti, è quella di sforzarsi e di cercare di contenere la cifra entro una soglia tollerabile.

Perché si possono benissimo avere sale parto ultratecnologiche, con musica rilassante di sottofondo, personale con competenze ferree, specializzato, eticamente e deontologicamente irreprensibile, ma l' imprevisto, il caso, la sfortuna, il destino, il Fato (quello che gli antichi greci, nella loro immensa saggezza, dicevano essere financo superiore a Zeus), patologie silenti e latenti mai diagnosticate, saranno sempre pronte a mettersi di traverso e ad armare la triste falce della morte, che davanti a nulla si ferma, nemmeno ad una medicina che oggi sembra fare miracoli mai uditi.

Vi saranno sempre morti di parto, nonostante tutti i protocolli che si adotteranno e noi uomini dobbiamo solo accettare le regole del gioco della Natura oppure, per utilizzare una frase più volte detta da re Umberto I -il quale rifiutava categoricamente rigide misure di prevenzione - "gli incerti del mestiere".

Fatte queste doverose precisazioni, vorremmo ora sottolineare una delle più eclatanti storture della società postmoderna: la rimozione della Morte, la sua riduzione a tabù, quasi a vergogna, il suo volerla nascondere e tenerla lontana dal mondo e dal quotidiano.

Siamo l'unica epoca che sta rimuovendo la Morte, perché si sa che nell' efficienza e negli ingranaggi della postmodernità ha un valore solo chi produce reddito, non di certo chi lascia questa terra per affrontare quello che Indro Montanelli, in una bellissima pagina della sua "Storia d' Italia" riferita alla morte di Filippo II, chiamava "Il Gran Mistero".

Tra gli elementi atti a definire una "civiltà", nella Storia umana, si annoverano la sepoltura dei cadaveri, i rituali funebri più o meno complessi, il culto dei morti, la credenza religiosa o metafisica in un "oltre" ove i defunti possano trovare una seconda vita e anche, magari, interagire coi vivi.

Ancora sin verso la metà del XX secolo il lutto aveva una fortissima valenza antropologico-culturale, che si sublimava non solo nella esteriorità delle esequie (abiti neri, lamenti, partecipazione sentita e conviviale di amici, parenti, conoscenti) ma nelle stesse architetture funebri cimiteriali: certamente non tutti avevano i mezzi per farsi scolpire statue dal Thorwaldsen o da artisti di grido, ma camminando tra le vecchie tombe di un cimitero, anche i loculi della gente comune avevano dettagli curati o piccoli segni di lusso- le foto, ad esempio, molto spesso, specie in casi di bambini, scattate "post-mortem"- in un' epoca in cui i lussi erano prerogativa di pochi.

Oggi tutto è asettico, burocratico, freddo. Le pompe funebri sono solo imprese che spillano quattrini ai parenti del "de cuius", i funerali, anche quelli più spartani, si aggirano sulle migliaia di euro, si firmano solo chili di carte e certificati, le cerimonie (a meno che non siano i mafiosi, a morire) sono intime, raccolte, nascoste, con un numero medio-basso di partecipanti, quasi vi sia vergogna ad esternare il dolore.

La cruda verità è che l'uomo di oggi, nel suo delirio di onnipotenza su tutto e su tutti, nella sua guerra contro la Natura, non accetta la morte, la vuole esorcizzare, tabuizzare, nascondere.

Teme la morte perché non crede più a nulla, perché troppo legato ad effimeri piaceri materiali e soprattutto perché, nella sua nevrosi perenne, vive male.

E solo chi vive male ha paura di lasciare questa terra, in quanto ha una consapevolezza inconscia di sprecare, nel nulla, ogni giorno della sua esistenza.