Vediamo in faccia il male della nostra epoca
di Marcello Veneziani - 25/07/2025
Fonte: Marcello Veneziani
Come si chiama alla sua radice il male principale di cui soffre oggi l’umanità, il potere e di riflesso il mondo? Ha un nome oscuro ai più e malinteso da tanti: nichilismo. Si, il male contemporaneo per eccellenza e per antonomasia è il nichilismo. Da cui derivano tante conseguenze.
Prima di capire che cos’è facciamo una premessa. Non viviamo probabilmente nel peggiore dei mondi possibili, come credono da millenni le generazioni soprattutto quando invecchiano. Ogni epoca ha le sue croci, oltre che le sue gioie, e molte volte, ciclicamente, si fa strada la percezione di essere alla fine del mondo, o più ragionevolmente alla fine di un mondo, e di un’epoca. Paragonandolo al fanatismo, alla miseria, alla fame delle epoche passate, alle guerre e agli stermini nella storia dell’umanità, che peraltro non ci facciamo mancare neanche oggi, il nichilismo è forse solo una delle forme che può assumere la pulsione di morte dell’umanità. Ma è quella del nostro tempo. Se dunque ogni epoca, soprattutto quando vive la sua parabola discendente, ha i suoi mali, cos’ha di particolare, di speciale, di inedito l’epoca del nichilismo? Soprattutto due cose. La prima è che dispone di mezzi di autodistruzione che non ha mai avuto, per la sua potenza e la sua potenzialità di coinvolgere il mondo intero. La seconda è che l’epoca del nichilismo non sarà probabilmente il punto più basso nella storia dell’umanità ma si avvicina probabilmente al punto di non ritorno. Ossia un punto oltre il quale non sarà possibile andare indietro, se ne perderà persino la percezione e la facoltà. Perché da un verso l’espansione senza precedenti dei mezzi e la loro forza sovrastante rispetto ai fini, sta configurando un mondo totalmente in balia della tecnica e del suo cieco avanzare che sta sostituendo l’umano. E dall’altro verso la contrazione dell’intelligenza umana, l’atrofizzazione progressiva delle sue capacità di comprensione, di critica, di controllo, sta rendendo automatico, agevole, il passaggio a una disumanizzazione integrale.
Allora torniamo al nichilismo, e facciamone una breve storia. La parola e la percezione nascono un paio di secoli fa. E un dubbio preliminare ci assale: due secoli fa nasce il nichilismo o solo la parola per indicarlo? È un male moderno o un male più antico se non endemico o ciclico nella vita e nella mente umana, a cui abbiamo dato un nuovo nome?
Il primo a intuirlo nella modernità senza chiamarlo nichilismo fu Goethe, riscoprendo la vanitas vanitatum della vita e del mondo. Il primo a pensare il nichilismo in rapporto alla vita e alla morte fu Giacomo Leopardi, anche se lo chiamava ancora il nulla; se la morte era il pensiero dominante, il nulla era il pensiero sottostante. Il primo a rivendicarlo come filosofia di vita fu invece l’implacabile Max Stirner, nel suo libro L’Unico, che esordiva proprio con la frase goethiana: “Io ho fondato la mia causa sul nulla”; la sua anarchia è il regno del niente. Il primo a battezzare il nichilismo, cogliendolo dalla rivolta giovanile e studentesca del suo tempo in Russia fu Ivan Turgenev nella sua opera Padri e figli; e il russo Fedor Dostoevskij fu il primo a tirarlo dal sottosuolo e descriverlo in alcuni suoi personaggi. Poi venne Nietzsche che non scoprì né battezzò il nichilismo ma fu il primo ad annunciare il nichilismo come sorte dell’umanità; quel pensiero diventò con lui annuncio epocale, destino di massa, pensiero dominante del futuro, esito di una civiltà e di una religione perduta. Dalla morte di Dio alla scoperta del Nulla, il passaggio è ai suoi occhi fatale e inevitabile. Ma cos’è poi il nichilismo? Secondo Nietzsche manca un fine, manca la risposta al perché, i valori supremi perdono valore, tutto è insensato. Il nichilismo è non credere in niente e in nessuno, versare il niente nel vuoto, pensare che non esista la verità; il nichilismo è relativista ma spezza ogni relazione, è egoista, utilitarista, cinico. Il nichilismo avanza, distrugge, corrode. “Io descrivo ciò che verrà: l’avvento del nichilismo”, annuncia Nietzsche e ne vede sono segni ovunque ma mancano gli occhi per vederli. Poi aggiunge: “Io non lodo né biasimo questo avvento”. Il vuoto dietro la maschera residua dei valori. E precisa il tempo del nichilismo: “Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli”. Noi ci siamo dentro, in pieno.
Allora scendiamo nel nostro oggi, e scendiamo al pianoterra, la strada. Il nichilismo che fu intuizione di menti acute, profetiche, sensibili, diventa fenomeno di massa, depressione e disperazione diffusa, a volte anche euforica, frenetica, compulsiva, rivolta verso effimeri, mutevoli e infiniti desideri. Il nichilismo è al potere, è nella cultura e nell’arte, è nella vita e nei consumi, è nella tecnica e nella finanza. Non c’è più motivazione ma solo pulsioni, non c’è più un perché ma automatismi, non c’è una proiezione nel passato, nel futuro, nell’eterno o nel mito; non c’è più una memoria e una speranza, c’è solo l’espansione illimitata di una cieca volontà di potenza, per usare l’espressione di Nietzsche. Il fine del mio potere è il potere, cioè la sua durata e la sua espansione; il fine del mio piacere è il piacere, il fine della ricchezza come della tecnica è la espandersi all’infinito. Il fine è nel mezzo, lo scopo è nella sua espansione illimitata. Non più la vecchia, discutibile logica del fine che giustifica i mezzi, ma i mezzi sostituiscono i fini.
Questo è il nichilismo. Se volete approfondirlo ci sono fior di opere, non solo i classici, più di recente basterebbe citare un arco di opere che va da Karl Lovith a Franco Volpi. Se invece, volete cercare testi attuali cito due libri di due filosofi italiani: Costantino Esposito, Il nichilismo del nostro tempo (ed.Carocci), che ha dedicato altri studi al nichiilismo, tra cui un recente The new nihilism. Se invece volete interrogarvi sulla via d’uscita dal nichilismo, che è “la via più suggestiva per arrendersi al mondo”, allora procuratevi Grandezza della metafisica (due volumi editi da Mimesis) di Vittorio Possenti. Un tentativo ambizioso di oltrepassare Heidegger e Nietzsche. I due autori sono credenti. Il ritorno alla metafisica apparirà polveroso ad alcuni ma è essenziale: la metafisica, diceva Gomez Dàvila, “è stata sepolta così tante volte che vien fatto di considerarla immortale”.
Alla radice il problema è l’essere o il nulla, cioè pensare e scommettere sull’essere o sul niente, e ritenere che il divenire sia un andare e venire dal nulla o un andare e venire dall’essere. Ma questo benedetto essere chi è, cos’è? Il principio, l’origine e il destino di ogni cosa, può configurarsi nell’idea di Dio ma è anche ogni cosa, è ogni ente rispetto al niente. Il tema del nostro tempo non è negare il nichilismo o fingere di farlo proclamando fedi e valori; sarebbe illudersi, tergiversare. Ma decidersi a riconoscerlo come l’ombra inseparabile del nostro tempo. E poi decidersi a scommettere se ritenere il nichilismo il punto d’arrivo del mondo e dell’umanità, oltre il quale non si può andare; oppure considerarlo come il punto di partenza per un cammino in cui ricercare di nascere all’essere. Ricercare, dico, con nessuna certezza, muniti solo di una fiducia nell’intelligenza e nell’ordine dell’universo, più l’attesa di sorprese dalla storia e l’aiuto di imprecisati dei.