Il presidente cinese, Xi Jinping è impegnato questa settimana in una  visita di cinque giorni in Medio Oriente e in Africa settentrionale per  rafforzare i legami economici e strategici con paesi che nell’ultimo  periodo si trovano al centro di tensioni e accese dispute. In  particolare, due delle tre destinazioni del leader del Partito Comunista  cinese sono Arabia Saudita e Iran, con i cui governi Pechino proverà a  mantenere relazioni fruttuose e cordiali nonostante l’aggravamento delle  divisioni che mettono sempre più su posizioni opposte i due rivali  regionali.
Xi è atterrato a Riyadh nella giornata di martedì e la  più che calorosa accoglienza ricevuta dal regime ha subito messo in  chiaro l’importanza dei rapporti tra i due paesi. L’Arabia Saudita è il  primo fornitore di petrolio e, dal 2013, il più importante partner  commerciale in Asia occidentale della Cina. Gli scambi bilaterali hanno  superato i 69 miliardi di dollari nel 2014, con un incremento di 230  volte dal 1990, anno in cui Cina e Arabia Saudita hanno stabilito  relazioni diplomatiche.
Se il mercato cinese è oggettivamente di  fondamentale importanza per il greggio esportato dalla monarchia  saudita, questi numeri e l’irrobustimento dei legami bilaterali sono  probabilmente da collegare anche alle relative frizioni emerse negli  ultimi anni tra Riyadh e l’alleato americano a causa della divergenza di  vedute di natura tattica con quest’ultimo su varie questioni che hanno  interessato la regione (Egitto, Siria, Iran).
Infatti, dopo il  faccia a faccia di martedì, Xi e il sovrano saudita, Salman bin  Abdulaziz, hanno annunciato un innalzamento delle relazioni bilaterali,  trasformandole ufficialmente in una “partnership strategica  comprensiva”. Come ha raccontato l’agenzia di stampa ufficiale cinese  Xinhua, “le due parti hanno anche sottoscritto un memorandum d’intesa  sulla cooperazione in ambito industriale” e firmato accordi vari nei  settori “aerospaziale, dell’energia, delle comunicazioni, dell’ambiente,  della cultura, della scienza e della tecnologia”.
L’interesse  cinese è d’altra parte quello di integrare l’Arabia Saudita  nell’ambizioso progetto definito “One Belt One Road” per sviluppare  infrastrutture e scambi commerciali est-ovest lungo l’antica “Via della  Seta”.
A livello generale, la visita del presidente Xi rientra  negli sforzi cinesi di intraprendere politiche più attive in Medio  Oriente, principalmente al fine di salvaguardare i propri interessi  energetici. Il petrolio non esaurisce però la questione dei rapporti tra  Pechino e questa parte del continente asiatico, come ha confermato la  presentazione proprio la scorsa settimana del primo documento strategico  relativo al mondo arabo redatto dalla Cina.
La stabilità  dell’area e la sicurezza delle forniture energetiche sono comunque  intrecciate per la leadership Comunista e da ciò deriva l’impegno  diplomatico di Pechino su vari fronti di crisi in Medio Oriente, come  quello del nucleare iraniano e della guerra in Siria.
In  un’intervista rilasciata a Channel News Asia un paio di giorni fa,  Francesco Sisci ha poi ricordato come la Cina abbia un interesse diretto  nel contenimento dello scontro settario in atto in Medio Oriente, vista  l’esposizione al rischio fondamentalista della regione dello Xinjiang,  dove vivono dieci milioni di musulmani Uighuri.
Se l’impulso dato  alle relazioni con l’Arabia Saudita è un fattore relativamente nuovo  per la Cina, più consolidato è invece il rapporto con l’Iran, ultima  meta della trasferta di Xi Jinping dopo Riyadh e Il Cairo. Molti  osservatori, soprattutto in Occidente, hanno sottolineato in questi  giorni la coincidenza della visita a Teheran con la fine delle sanzioni  economiche internazionali applicate alla Repubblica Islamica.
In  questi anni, la Cina ha mantenuto intensi rapporti economici con  l’Iran, sia pure riducendo la quantità di petrolio importato, e  l’obiettivo sembra ora essere quello di mantere la propria influenza in  un paese che sta per aprirsi ai mercati e al capitale internazionale.  Non a caso, Xi sarà il primo leader di una potenza mondiale a recarsi a  Teheran dalla cancellazione delle sanzioni in questo inizio di 2016.
Anche  in questo caso, la questione del petrolio non è l’unica a  caratterizzare l’equazione Cina-Iran. Nel già ricordato piano di  integrazione eurasiatica perseguito da Pechino, la Repubblica Islamica  dovrebbe svolgere un ruolo decisamente di primo piano, vista  l’importanza strategica di un territorio situato all’incrocio di rotte  che collegano il Vicino Oriente e l’Europa con l’Asia centrale e quella  orientale.
Rispetto ai concorrenti europei e asiatici, la Cina  parte dunque da una posizione di vantaggio nella “corsa” all’Iran. Qui,  secondo Bloomberg News, operano già quasi un centinaio di compagnie  cinesi e nel corso della visita di Xi saranno probabilmente siglati  altri accordi economici di rilievo. Per l’agenzia iraniana Tasnim, ad  esempio, sarebbero alle battute finali le trattative per la costruzione  da parte di aziende cinesi di due centrali nucleari in Iran.
In  concomitanza con l’arrivo di Xi Jinping in Medio Oriente, l’organo del  Partito Comunista Cinese in lingua inglese, Global Times, ha pubblicato  un editoriale nel quale ha ribadito i principi che guidano la politica  estera del regime. L’articolo ha insistito sul tradizionale impegno  cinese nel non interferire nelle vicende interne dei propri partner  economici e nell’evitare di mettere i propri interessi davanti a quelli  degli altri paesi.
I principi di uguaglianza e rispetto che  starebbero alla base della condotta cinese all’estero, ha ricordato  Global Times, sono differenti da quelli di altre potenze che, senza che  la testata lo abbia ricordato esplicitamente, hanno enormi reponsabilità  nel caos che regna oggi in Medio Oriente.
Le parole  dell’editoriale uscito martedì servono indubbiamente a cercare di  promuovere l’immagine benevola della Cina nei paesi toccati dalla  presenza del presidente Xi, ma non solo. Esse rivelano anche un certo  nervosismo nella classe dirigente cinese per la sfida che si trova si  fronte in un teatro caldo come quello mediorientale.
La questione  è stata affrontata da un punto di vista diverso soprattutto dai media  occidentali, a cominciare da quelli americani, i quali, equiparando  sostanzialmente le modalità della politica estera USA a quella cinese,  hanno definito senza indugi la visita di Xi come il riflesso della  volontà di Pechino di mostrare i muscoli e, quindi, la propria  influenza, in una regione cruciale per l’intero pianeta.
In  effetti, se la gestione delle questioni internazionali di Stati Uniti e  Cina è totalmente diversa, così come le conseguenze della loro presenza  al di fuori dei rispettivi confini, tra le righe di commenti simili si  può forse intravedere il punto chiave del viaggio del presidente cinese e  delle preoccupazione che stanno alla base delle discussioni in cui è  impegnato questa settimana.
Come  sta accadendo in Estremo Oriente, la crescente influenza della Cina  oltre i propri confini determina una progressiva e inevitabile  escalation del confronto con gli Stati Uniti e i suoi interessi  strategici ed economici. Il tentativo di Pechino di istituire legami più  profondi con i paesi del Medio Oriente rischia perciò di aggravare  ulteriormente lo scontro con Washington, da dove lo sforzo per il  mantenimento della supremazia nel mondo arabo ha già prodotto una lunga  serie di conflitti spesso devastanti.
In un frangente storico  caratterizzato dall’inasprirsi degli scontri e della competizione a  livello internazionale, così, la strategia cinese di mantenere buoni  rapporti con tutti i paesi, sia che siano posizionati dalla stessa parte  o su fronti diversi in un determinato conflitto, potrebbe essere messa  quanto meno a dura prova già nell’immediato futuro.

