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Veleni nucleari: il commercio mortale

di The Observer (a cura di) - 10/12/2006


 
 
   

L’assassinio di Alexander Litvinenko con il polonio 210 ha fatto grande scalpore in tutto il mondo. Ha anche sollevato domande inquietanti riguardo agli agenti segreti russi ed al letale e crescente mercato nero di scorie nucleari.

Non somigliava proprio ad un caso di spionaggio internazionale. Il giorno in cui fu avvelenato, Alexander Litvinenko, ex spia russa, lo aveva passato discorrrendo di calcio, corse di cani e, come si fa nel suo Paese adottivo, del tempo.

A metà pomeriggio circa Litvinenko si era incontrato con Dmitry Kovtun e Andrei Lugovoi, due uomini d’affari russi che dicono che Litvinenko non bevve nulla mentre era con loro. Poco dopo Kovtun lasciò l’ingresso del Millennium Hotel a Grosvenor Square (Londra) per recarsi più a nord a guardare la partita CSKA Mosca contro l’Arsenal. Litvinenko tornò a casa sotto la pioggerellina di Muswell Hill. Il suo tragitto è stato ripreso da alcune telecamere a circuito chiuso che hanno fornito sgranati filmati tuttora sotto lo scrutinio di Scotland Yard.

Non si sarebbero mai più incontrati. Ancor prima del fischio finale Litvinenko si sentì strano. Il giorno dopo chiamò Kovtun per cancellare il loro incontro. Si sentì peggio. Il 43enne dissidente russo non aveva idea che stava per morire, né poteva pensare di essere stato vittima di quello che potrebbe essere uno dei più elaborati assassinii politici di tutti i tempi, un omicidio mai visto sul suolo britannico, orchestrato con tale audacia da sbigottire persino i più esperti investigatori di Scotland Yard.

Per gli inquirenti questo promette di essere uno dei più sorprendenti e diplomaticamente intriganti casi nella storia della polizia londinese. Un paio di giorni dopo che Litvinenko morì diventando il primo essere umano ucciso con un raro, potente e tossico materiale radioattivo chiamato polonio 210, le indagini si sono spostate migliaia di miglia ad est, nei vasti territori all’interno delle steppe russe, in modo particolare tra i resti arrugginiti del commercio nucleare sovietico e del suo fiorente mercato nero di materiali radioattivi.

La grande difficoltà di acquistare il polonio 210 ha, per ora, spostato l’interesse su scienziati governativi al lavoro in laboratori di ricerca russi e nei grandi impianti di rielaborazione nucleare. Secondo la (IAEA) Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ottenere quel tipo di materiale necessiterebbe di un livello di accesso altissimo, a cui soltanto gli individui più introdotti, forse addirittura sponsorizzati dal governo stesso, potrebbero arrivare.

Un rappresentante delle Nazioni Unite, esperto nel commercio di materiale nucleare, asserisce che il livello di sofisticazione richiesto per poter utilizzare il velenosissimo polonio come arma del delitto significa che l’omicidio non può essere stato commesso da un solo individuo, magari un pazzoide con un vecchio conto in sospeso da soddisfare. Tale è la difficoltà di procurarsi materiale radioattivo che soltanto qualcuno molto abile e con conoscenze potenti avrebbe potuto farlo. E chiunque esso o essi siano, hanno potuto procurarsene un quantitativo tale da assicurarsi che i dottori ne avrebbero scoperto una “dose massiccia” nel fragile, emaciato corpo di Litvinenko. Questo materiale, sostengono gli esperti, avrebbe potuto arrivare soltanto dalle grosse strutture nucleari dell’ex Unione Sovietica, dove, durante il collasso dell’impero, la sicurezza era spesso sacrificata. Il polonio può solo essere estratto da tali impianti di rielaborazione o da simili, complessi impianti di ricerca nucleare. Non si può certo comprare dalla malavita locale.

Ci si aspetta che le Nazioni Unite inizino presto ad investigare da quale degli impianti di rielaborazione nucleare può essere derivato il polonio 210 che distrusse gli organi interni dell’esiliato russo.

Il primo sarà l’impianto principale di Krasnoyarsk, 600 chilometri ad est di Tomsk, un’imponente e remota struttura nota per la contaminazione radioattiva dei più grandi fiumi siberiani. Nonostante i funzionari delle Nazioni Unite ne siano scettici, si pensa che il materiale potrebbe essere stato procurato attraverso il mercato nero, infatti la polizia inglese, d’accordo con l’IAEA, sta ipotizzando che il raro isotopo potrebbe arrivare proprio dal fiorente mercato clandestino di materiale radioattivo.

Dopo tutto, negli ultimi 15 anni, la polizia russa ha intercettato contrabbandieri nell’atto di trafugare quel tipo di materiale radioattivo fuori dal Paese. Nel 1999 un ufficiale fu “pescato” mentre cercava di passare il confine tra il Kazakistan e l’Uzbekistan portandosi una capsula di vetro etichettata “RA 23-54” ed un barattolo metallico coperto da una lamina di piombo. Sotto interrogatorio ammise che conteneva una mistura radioattiva di polonio e berillio, usato in Russia per innescare reazioni a catena. Aveva rubato il materiale dal cosmodromo di Baikonur, dove lavorava, con l’intenzione di venderlo in Uzbekistan. Altri casi simili riguardavano il furto di numerosi barattoli di polonio 210 da un centro di ricerca di Sarov, chiamato Istituto Russo di Ricerca sulla Fisica Sperimentale, un esteso complesso conosciuto come la Los Alamos russa. Si dice che isotopi di polonio vi siano tuttora prodotti, dietro la protezione di filo spinato e pattuglie armate. Nel 1993 il Bollettino degli Scienziati Atomici comunicò che 10 chili di polonio erano scomparsi dallo stabilimento. Due anni fa l’IAEA comprovò che l’Iran stava conducendo esperimenti con il polonio 210 come parte di un programma nucleare, probabilmente usando materiale ottenuto dalla Russia.

Nel frattempo, la National Threat Initiative (Iniziativa per la Minaccia Nazionale) di Washington mette in guardia sul fatto che i confini russi, facilmente valicabili, presentano pochi ostacoli a contrabbandieri che portano sostanze radioattive fuori dal Paese e che la preoccupazione che dai grandi depositi russi il materiale radioattivo stia scivolando verso il mercato nero internazionale rimane alta. Alcuni giorni fa Vladimir Slivyak dell’organizzazione Eco-Difesa di Mosca, ha fatto presente che le sostanze radioattive sono spesso poco presidiate, e quindi vulnerabili al furto, tuttavia l’IAEA asserisce di non aver mai avuto conferma di un solo caso di polonio 210 rinvenuto sul mercato nero, indirettamente avvalorando l’accusa che la morte di Litvinenko sia stata un affare di stato.

Ma la morte di Litvinenko ha un eco ben più grande. Voci che un’organizzazione terroristica è riuscita ad acquistare del raro e potente materiale radioattivo che ha poi contrabbandato in Gran Bretagna dove è stato usato con effetto letale hanno causato grave preoccupazione tra i servizi segreti del Regno Unito. I funzionari temono che la prossima volta l’obiettivo potrebbe essere ben altro che gli organi interni di un singolo essere umano.

L’Intelligence dice che ultimamente ha ricevuto conferma che al –Qaida sta intensificando gli sforzi per ottenere un qualche tipo di dispositivo radioattivo, proprio quando i dati svelano che il mercato nero di materiale radioattivo sta prosperando.

Negli ultimi quattro anni sono stati fermati più di 300 contrabbandieri di materiale nucleare, il che raddoppia il numero di tali confische. C’è quindi poco da sorprendersi nell’apprendere che l’investigatore messo a capo dell’indagine sulla morte di Litvinenko sia Peter Clarke, vice commissario di Scotland Yard e incaricato di proteggere la Gran Bretagna dalla minaccia del terrorismo islamico. Si pensa che Clarke sia convinto che rintracciare l’origine del polonio 210 trovato nel corpo di Litvinenko sia l’elemento chiave per trovare la soluzione alla sua morte, confidando nel fatto che la rarità del materiale tossico sia ciò che condurrà la polizia ai responsabili.

Funzionari del Dipartimento Armi Atomiche di Aldermaston e Porton Down, il Laboratorio di Scienza e Tecnologia per la Difesa del governo britannico, continuano a studiare campioni di materiale radioattivo trovato sulla tovaglia del ristorante giapponese dove Litvinenko mangiò il giorno in cui morì.
Gli esperti sostengono che il campione abbia in sé una propria “impronta digitale” che può essere utilizzata per arrivare all’origine del polonio. Quanto ci possono dire per ora è che il polonio 210 sembra arrivare dalla Russia ed essere stato portato in Gran Bretagna di recente; ha una mezza vita (misura di tempo in cui la sua radioattività diminuisce del 50 per cento) di soli 138 giorni. Chiunque sia il responsabile sa quello che faceva, conoscendo la facilità e la sicurezza con cui il materiale può essere trasportato, ad esempio in un barattolo di vetro, senza che il portatore corra alcun rischio.

“Per chiunque voglia uccidere usando materiale nucleare, il polonio 210 è l’isotopo radioattivo da scegliere”, dice un funzionario dell’IAEA.

L’assassino può essere arrivato in Gran Bretagna poco prima del 1° novembre, la data in cui si pensa che Litvinenko sia stato avvelenato, e una delle piste d’indagine è che sia volato via da Londra dopo aver somministrato la dose letale, sapendo bene che appena i primi raggi alfa fossero entrati in circolo, Litvinenko non avrebbe avuto scampo.

Nessuno disputa che Litvinenko si era anche fatto molti nemici. Alcuni pericolosi, altri meno, eppure se si potrà far luce o meno nella nebulosa e complessa vicenda di questo caso è difficile a predirsi. Gli amici dissidenti di Litvinenko danno la colpa al Cremlino, il Cremlino dà la colpa a loro. Si sono fatti nomi di agenti russi truffaldini, ma finora non è emerso un netto sospetto su alcuno.

Si pensa che Scotland Yard abbia cercato il primo tentativo di aiuto dal Cremlino attraverso il Ministero degli Esteri. Gli investigatori stanno anche esaminando quattro pagine A4 passate a Litvinenko dall’avvocato italiano Mario Scaramella il giorno in cui il russo fu avvelenato. Le pagine svelano che i servizi segreti russi “hanno deciso di usare la forza” contro Litvinenko per le sue “continue attività anti-russe”. Ma, in linea col resto del caso, è impossibile determinare se i documenti sono genuini oppure no. Una delle teorie più bizzarre è che gli stessi alleati di Litvinenko possano essere i suoi assassini. Persino per gli standard machiavellici della politica russa questo complotto raggiungerebbe uno stadio superiore.

L’élite di Mosca è rimasta allibita di fronte alla risposta britannica a questo scandalo, tra sospetti che il tutto sia soltanto un’elaborata bugia per screditare la Russia post-sovietica. Vladimir Kuznetsov, già capo dell’agenzia russa statale per il controllo dell’energia atomica è persino arrivato a dire che la morte di Litvinenko tramite somministrazione di polonio 210 sia “pura invenzione giornalistica”. Tirano anche in ballo il fatto che la reazione della polizia inglese all’assassinio sia bruscamente cambiata da investigazione su di un “sospetto avvelenamento” a “come quest’uomo si è ammalato”. Gli investigatori di Scotland Yard devono ancora aprire un’inchiesta di omicidio, dicendo che ancora non hanno sufficienti prove per escludere che la morte di Litvinenko non sia accidentale o suicida. Potrebbe davvero trattarsi di suicidio?
Potrebbe essere stato l’ultimo atto di un uomo emarginato dalla società per cui il suo messaggio anti-Cremlino dipendeva dall’ossigeno della pubblicità? Certo è che Litvinenko non è mai stato così in auge. Persino le sue più infiammate accuse al Cremlino avevano avuto poco riscontro in Russia. Tuttavia la sua descrizione di Putin come un presidente “barbaro e spietato” fatta dal letto di morte è stata vista da milioni di persone a livello mondiale. E, indifferentemente da che piega prenda questo caso, l’inchiesta, accompagnata dall’attacco a Putin dai dissidenti, promette nuovi imbarazzi per il presidente russo.

Anche il coinvolgimento dei servizi segreti russi è sprezzantemente negato dal Cremlino, infatti il portavoce dello SVR, una delle organizzazioni che ha rimpiazzato il KGB dice che l’accusa di assassinio progettato dai servizi segreti russi è nient’altro che “fantascienza”. Sergei Markov, analista e consulente del Cremlino ha puntato il dito su elementi rivoltosi tra i servizi segreti, che si sarebbero vendicati per le accuse di corruzione ed omicidio tra le agenzie russe di Intelligence rivolte loro da Litvinenko, aggiungendo che asserire che sia stato il Cremlino a pianificare l’avvelenamento è assurdo: “Questo è solo un sintomo di ‘russofobia’, uno dei principali pregiudizi adesso in voga in Europa”.

La polizia esaminerà anche la cosiddetta connessione cecena, lavorando con il separatista ceceno Akhmed Zakayev, che vive nella stessa strada di Muswell Hill in cui viveva Litvinenko e che si dice sia anche lui sulla lista nera dopo che il parlamento russo ha varato una legge che approva l’eliminazione di terroristi all’estero.

Eppure in questa faccenda c’è qualcosa che non torna e tormenta chi ci guarda dentro: Litvinenko era un pesce piccolo, un esiliato i cui commenti anti-Cremlino erano perlopiù ignorati in Russia. A Londra era conosciuto solo ai suoi amici. “Litvinenko non ne valeva la pena, non rappresentava una minaccia”, dice all’Observer un veterano dell’FSB.

Forse non sapremo mai il danno causato dal polonio agli organi interni di Litvinenko, perché il suo corpo è così contaminato che è considerato troppo tossico da toccare. Come dice un suo amico, Alex Goldfarb: “E’ come essere esposti a Chernobyl, non da fuori, ma da dentro”.

Questa settimana la polizia inizierà ad interrogare i testimoni, ed è probabile che Kovtun sia uno di questi, per verificare esattamente cosa sia successo al Millennium Hotel. Sarà sentito anche il suo socio in affari, Andrei Lugovoi, che ha anche incontrato Litvinenko il 1° novembre. Siccome tracce di polonio 210 sono state trovate in diverse parti di Londra, Kotvun ha detto ieri che questo convalida la sua estraneità all’avvelenamento di Litvinenko.

L’ex ufficiale del KGB ha detto all’Observer che quel giorno incontrò Litvinenko soprattutto per discutere di un progetto commerciale. “E’ chiarissimo che noi non abbiamo nulla a che vedere con tutto questo” ha aggiunto. “Ovviamente saremmo molto felici che i sospetti si allontanassero da noi, ma d’altra parte c’è questo nuovo fattore, che anche noi potremmo essere stati contaminati incontrandolo [Litvinenko]”.
Non ci sono arresti nell’immediato, ma fonti della polizia metropolitana informano che si sta preparando una lista di testimoni – e al Ministero degli Esteri non si aspettano che il Cremlino si intrometta o rifiuti di collaborare.

Figure chiave in un complotto che sa di guerra fredda

Mario Scaramella – Accademico ed esperto di sicurezza che fa parte di un’inchiesta parlamentare italiana sulle attività del KGB. Dice di aver incontrato Litvinenko il giorno in cui si ammalò (1° novembre) per un pranzo della durata di 35 minuti in un sushi bar di Piccadilly. Asserisce di averlo incontrato per mostrargli una e-mail ricevuta in cui i loro nomi comparivano in una lista nera. Scotland Yard vuole sentirlo.

Alex Goldfarb – Amico di Litvinenko. Dirige la Fondazione Internazionale per le Libertà Civili, un gruppo di diritti umani fondato da Boris Berezovsky, l’oligarca russo emigrato a Londra e critico di Vladimir Putin. Berezovsky è l’uomo che Litvinenko disse di essere stato incaricato dal FSB, successore del KGB, di eliminare. Goldfarb ha accusato il Cremlino di aver ordinato l’assassinio del suo amico e accusa Andrei Lugovoi.

Andrei Lugovoi e Dmitry Kovtun – Lugovoi, un altro agente ex-KGB, e Kovtun, un altro russo, incontrarono Litvinenko al Millennium Hotel in Grosvenor Square, subito dopo il suo incontro con Scaramella. Lugovoi, che adesso lavora come addetto alla sicurezza a Mosca, insiste che non ha niente a che fare con l’avvelenamento e che il trio s’incontrò per discutere di affari. Dice che Litvinenko non bevve nulla quando era con loro ed è pronto a collaborare con la polizia.

Anna Politkovskaya – Giornalista russa di rilievo, lavorava per la Novaya Gazeta. Fu uccisa nel suo condominio a Mosca il 7 ottobre 2006. Si sa che Litvinenko stava indagando sulla sua morte quando fu avvelenato. Era una coraggiosa e schietta critica del presidente Putin e della sua politica nei sulla Cecenia. Scriveva regolarmente di abusi sui diritti umani. Nel 2004 vinse il premio Olof Palme per il suo lavoro proprio nell’ambito dei diritti umani. Politkovskaya aveva già ricevuto minacce di morte per via del suo lavoro.

The Observer
Fonte: http://www.observer.co.uk/
Link: http://www.guardian.co.uk/russia/article/0,,1957466,00.html
26.11.2006

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA