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Il bell'Antocri. La società del ministro Di Pietro

di Rita Pennarola - 12/03/2007

Fonte: lavocedellacampania




Un ex fondatore dell’Italia dei Valori spara a zero su Antonio Di Pietro. Del j’accuse, tuttora al vaglio della Procura di Roma, è stato informato in un incontro riservato anche il capo dello Stato. Vediamo i passaggi roventi dell’esposto, che accende i riflettori sul “socio unico” del partito e sulla creatura societaria del ministro, l’immobiliare di famiglia Antocri.

Pesce d’aprile. Nasce nel giorno più burlone dell’anno - parliamo del 2003 - la vispa Antocri, acronimo prescelto da papà Antonio Di Pietro per ricordare, fin dal nome della srl, i suoi tre figli Anna, Toto e Cristiano. Occhio. Perchè il 2003 è anche l’anno in cui cominciano a maturare, nelle casse di Italia dei Valori, le consistenti provvidenze relative al finanziamento pubblico dei partiti, prudentemente rinominate - dopo la clamorosa bocciatura ad opera degli italiani nel referendum del 1993 - rimborso delle spese elettorali. E il partito dell’ex pm di mani pulite nel 2003 è da poco entrato nell’albo d’oro delle compagini che ricevono quelle provvidenze da milioni di euro nelle loro casse. La legge - la numero 157 del giugno ‘99 - prevede infatti che per ottenere il “rimborso” delle spese sostenute in campagna elettorale (qui si parla delle politiche 2001) l’unica condizione sia di aver raggiunto almeno l’1 per cento delle preferenze. Ci siamo.

I rubinetti del finanziamento pubblico sull’Associazione Italia dei Valori - fondata da oltre 300 ardimentosi militanti il 26 settembre del 2000 a Roma, dinanzi al notaio Bruno Cesarini - si aprono per la prima volta a fine 2001, quando arriva il primo mezzo miliardo e passa di vecchie lire. Le somma rappresenta il 40 per cento del “rimborso” complessivo spettante all’associazione-partito per la partecipazione a diverse tornate elettorali, tutte tenutesi in quell’anno: non solo le politiche, ma anche le regionali in Sicilia e quelle del Molise. Nel 2002 arriva l’integrazione: quasi due milioni di euro, cui se ne aggiungono altri 200 mila circa per le elezioni relative al Senato. Qui, una piccola curiosità: alle Politiche 2001 il partito-associazione di Di Pietro elegge un solo senatore, il bergamasco Valerio Carrara. Nemmeno il tempo di accomodarsi a Palazzo Madama, e il Carrara passa nelle fila di Forza Italia. Quando si dice soldi ben spesi...

Ma andiamo avanti. Perchè siamo arrivati al fatidico 2003. Con le casse del partito già rimpinguate dai precedenti “rimborsi elettorali”, più quelli riferiti all’anno in corso (altri 2 milioni e mezzo circa di euro), a novembre il valoroso partito cambia sede. Dalla modesta location di Busto Arsizio in via Milano 14 alla centralissima via Casati 1 di Milano: un appartamento di nove vani al quinto piano, dove Italia dei Valori può finalmente avere una sede adeguata alle sue ambizioni. Il contratto d’affitto? Non è un problema. Perchè proprietaria dell’immobile è proprio Antocri, di cui papà Di Pietro risulta socio unico. «Dopo lunga discussione fra il proprietario Di Pietro e l’inquilino Di Pietro - si leggerà magari nel verbale - si è convenuto un canone mensile pari ad euro 2.800». La cifra non è di fantasia: risulta infatti dichiarata nei bilanci della srl, costituita con l’unico fine di gestire gli immobili. D’accordissimo anche l’inquilino. Perchè nel frattempo, con un’ardita manovra interna, lo statuto dell’associazione è stato modificato: risultano svaniti sia i 300 sostenitori-fondatori sia gli altri organismi di vertice. Diciamolo chiaro: Italia dei Valori si è trasformata in un partito con un unico socio. Antonio Di Pietro.

Si dice dalle parti di Montenero di Bisaccia (e giù giù nel profondo sud) che ‘a cummannà è meglio ca’ fottere. L’antica saggezza popolare calza a pennello sulle due creature dipietriste, Antocri e il partito-associazione, entrambe con socio unico plenipotenziario. Lui.

La storia si ripete. Passa un anno e un nuovo gioiello entra a far parte del patrimonio di Antocri: si tratta dell’appartamento da 10 vani al quinto piano di via Principe Eugenio 31, nella capitale. Guarda caso, proprio in quel periodo del 2004 Italia dei Valori cerca casa a Roma. Proprietario (Di Pietro) e inquilino (sempre lui) si mettono d’accordo sull’affitto e così, previa trasformazione della destinazione d’uso dell’immobile, il partito dei moralizzatori ha una sede confacente anche a Roma. Particolari sui due traslochi si trovano nella relazione allegata al bilancio 2005 di IDV: «si evidenzia il trasferimento della Sede Nazionale di rappresentanza politica del partito, sempre in Roma, da Via dei Prefetti, 17 a Via Principe Eugenio, 31, potenziando allo stesso tempo l’Ufficio Stampa Nazionale con l’assunzione di una nuova unità». «Quanto alla Sede di Milano in Via Casati 1/A - viene aggiunto - si riconferma la sua funzione di Sede legale amministrativa e di segreteria particolare del Presidente del Partito Antonio Di Pietro oltre che di organizzazione e rapporti con le realtà locali». Resterebbe qualche domandina. Intanto sulle straordinarie performances di una srl da 50 mila euro di capitale che riesce in soli due anni ad acquistare immobili di così grande valore. Quanto? Qualcosa ci dice il bilancio 2005 di Antocri che, alla voce “immobilizzazioni materiali” riporta la somma di 1 milione e 788 mila euro. La stessa voce per il 2004 era rappresentata da 619 mila euro. Si tratta di somme evidentemente inferiori al valore di mercato dei due prestigiosi immobili. E che sono, comunque, al netto del mutuo.

Sì. come tutti i saggi capifamiglia Antonio Di Pietro ha un mutuo sulle spalle. Anzi, due. Ecco qua (siamo sempre tra le pagine del bilancio 2005 Antocri): il primo, da 276 mila euro e spiccioli, riguarda l’immobile milanese ed è stato stipulato il 20 aprile 2004; il secondo, per la magione romana, è pari a 386 mila euro circa e risale al 7 giugno 2005. Fanno oltre 660 mila euro di mutuo, stipulato con la BNL, che scadranno fra il 2015 e il 2019. Con rate, supponiamo, non leggerine. Come le paga Antocri, che non svolge nessun’altra attività? Semplice. Con i canoni d’affitto dell’inquilino. Che è Italia dei Valori. Che riceve il finanziamento pubblico.

Tutto a posto? Qualcuno sta cercando di vederci chiaro. Tanto per cominciare, il sostituto procuratore della capitale Giancarlo Amato, sul cui tavolo tutta la vicenda è stata trasmessa dal procuratore capo di Brescia, Giancarlo Tarquini, che aveva raccolto il durissimo j’accuse presentato a ottobre 2005 da Mario Di Domenico, avvocato e co-fondatore dell’associazione Italia dei Valori. Nel documento (vedi box di pagina 9) Di Domenico punta l’indice su «diverse condotte - a parere dello scrivente - tutte penalmente rilevanti e complesse». Gli addebiti a carico dell’attuale ministro del governo Prodi sarebbero - secondo Di Domenico - gravissimi: «dal raggiro alla truffa contrattuale per il fine dell’ingiusto profitto personale», «dall’appropriazione indebita alla truffa nei confronti dello Stato, per l’illegale ricorso al finanziamento pubblico ai partiti politici». Tutti reati documentati dall’avvocato in monumentali allegati all’esposto-denuncia. Sotto i riflettori, in particolare, due circostanze: in primo luogo la modifica dello statuto, definita da Di Domenico arbitraria, grazie alla quale attualmente Di Pietro risulta unico socio dell’associazione Italia dei Valori (tutti da leggere i verbali d’assemblea in cui il socio unico Di Pietro si convoca, discute con se stesso e si approva). E poi naturalmente la storia di Antocri e dei due cespiti immobiliari acquistati a Milano e Roma fra 2004 e 2005 ed affittati come sedi al partito. Tutte circostanze su cui Di Domenico, che era stato ascoltato dal procuratore Tarquini, chiede ora di far chiarezza. Ma non si rivolge solo al pm Amato. E’ datata infatti 9 ottobre 2006 la minuziosa missiva - rimasta finora top secret - in cui, ripercorrendo i principali passaggi della denuncia, Di Domenico pone la patata bollente all’attenzione del capo dello Stato Giorgio Napolitano, del premier Romano Prodi e del guardasigilli Clemente Mastella.

Altri destinatari del j’accuse sono poi l’ex procuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio, oggi in parlamento, ed il battagliero fondatore del Cantiere per il bene comune Elio Veltri, fustigatore nei suoi libri di vizi e reati della politica, dall’Italia agli Stati Uniti, passando per l’Europa. Un paio di mesi fa insieme ad Achille Occhetto, altro esponente di punta del Cantiere, Veltri ha parlato al presidente Napolitano di questa delicata questione. L’incontro, che ha avuto carattere riservato, è avvenuto a Roma. Il capo dello Stato avrebbe suggerito di informare Romano Prodi. Ma la lettera inviata da Elio Veltri al premier - ben prima che sul governo si addensassero le nubi della crisi - non ha mai trovato risposta.

Sull’anomalia tutta italiana di un partito politico amministrato da un “socio unico” qualche chiarimento lo fornisce lo stesso Veltri. «Eravamo circa 300 persone - spiega alla Voce - a sfilare nel 1998 dinanzi al notaio Fanfani di San Sepolcro per dar vita all’associazione Italia dei Valori, che nasceva nel segno del cambiamento. Nel 2000, all’insaputa di noi associati, Antonio Di Pietro modifica lo statuto, trasferendo la gestione ad un comitato ristretto costituito da lui stesso insieme alla fedelissima Silvana Mura e allo stesso Di Domenico. Qualche tempo dopo chiede le dimissioni di entrambi e resta di fatto dominus incontrastato». La Mura, di professione ragioniera, assume nel partito le vesti di tesoriere e firma i bilanci fin dal 2001, quando cominciano ad arrivare - come abbiamo visto - le consistenti provvidenze pubbliche a titolo di rimborso per le spese elettorali.

«E’ assurdo - incalza Veltri - abbiamo passato anni ad attaccare Silvio Berlusconi per i suoi macroscopici conflitti d’interesse ed ora ce ne troviamo in casa uno grande come una portaerei». Un terreno viscido, sul quale arriva subito un’altra mina incandescente: Antocri. «Dopo aver letto l’esposto dell’avvocato Di Domenico - dicono alcuni fuoriusciti dall’Italia dei Valori - abbiamo cominciato a documentarci per capire fino in fondo quali erano, anche sul piano politico, le principali anomalie. Una riguarda per esempio quel mutuo da oltre 600 mila euro per completare il pagamento dei due immobili. In pratica quelle somme saranno riscattate grazie ai canoni d’affitto pagati dal partito». Il quale naturalmente attinge al finanziamento pubblico. Quanto alle somme anticipate da Antocri per l’acquisto, sarà il pubblico ministero Giancarlo Amato ad accertare se provengono anche queste dal finanziamento pubblico o da risorse personali dello stesso Di Pietro. E su questo punto la Procura stia già lavorando.

LA STRANA COPPIA

Ma non sono solo questi, i grattacapi che arrivano nottetempo a turbare il sonno di Antonio Di Pietro. Soprattutto nelle ore convulse della crisi di governo gli deve essere arrivato - e da diverse parti dell’Unione - il “pensiero” non proprio benevolo dei suoi compagni di governo, che difficilmente potranno perdonargli d’ever reclutato in quattro e quattr’otto e catapultato a Palazzo Madama un personaggio politicamente inaffidabile come Sergio De Gregorio. In quale, un minuto dopo, saluta il suo “mentore” e va a votare con la Casa delle Libertà, contribuendo in maniera decisiva a far traballare l’esecutivo Prodi. Un gioco delle tre carte tutto napoletano, che ha permesso allo scaltrito giornalista di balzare alla presidenza della Commissione Difesa e di porsi alla testa del Movimento Italiani nel Mondo, col quale punta a diventare - come di fatto è già avvenuto - l’ago della bilancia cui sono appese le sorti delle due coalizioni. «De Gregorio mi ha dato ampie rassicurazioni, che spero vorrà mantenere, di una condotta futura leale come senatore e come presidente della commissione Difesa nei confronti dell’Unione e a questo, per il momento, voglio attenermi».

Aveva provato a mantenere la calma dopo il voltafaccia, Di Pietro, ma la storia lo ha clamorosamente smentito. «Giuda era e giuda resta - tuona ora - con De Gregorio non abbiamo più nulla a che vedere». E tutti gli credono, si immedesimano nei panni del galantuomo tradito dal suo stesso epigono. Tu quoque, Brute... Ma Bruto, uscito dalla porta, torna dalla finestra. Anzi, se vogliamo essere precisi, in realtà quella finestra non l’ha mai lasciata. Si chiama Italia dei Valori, proprio come il partito, ed è ancora oggi il quotidiano ufficiale del dipietrismo (pronto perciò, come tutti gli organi di partito, a ricevere le generose provvidenze previste dalla legge). Fondato nei mesi caldi del feeling tra l’ex simbolo di mani pulite e il giornalista di provata fede craxiana (fu tra i primi ad accorrere sui lidi d’Hammamet), il quotidiano nasceva sull’onda dell’esperienza editoriale di De Gregorio, alla testa tutt’oggi di corazzate come Italiani nel Mondo reti televisive srl, con la bellezza di oltre 3 milioni di euro nel capitale sociale, e di Italiani nel Mondo Channel (2 milioni e passa). Dalla gerenza del quotidiano dipietrista De Gregorio (che ricopriva all’inizio la carica di direttore editoriale) è formalmente uscito. Resta però nel ruolo di amministratore unico della Editrice Mediterranea srl, il giovane esponente di una famiglia da sempre fedelissima al Verbo degregoriano.

Si tratta di Antonio Lavitola, cugino stretto di quel Walter Lavitola che col corpulento senatore-giornalista partenopeo aveva riesumato l’Avanti!, ottenendo, grazie all’ex gloriosa testata socialista, contributi pubblici che ancora nel 2005 ammontavano a ben 2 milioni e mezzo di euro (solo una domanda: ma l’Avanti! chi l’ha visto?). Quarant’anni, originario di Aversa, in terra natia Antonio Lavitola detiene saldamente il timone di numerosi business dai nomi altisonanti: si va dalla srl Caesar a La Sfinge, fino alla ambiziosa General Building (di cui risulta amministratore unico) che, potendo contare sul canonico capitale di appena 10 mila euro, ambisce addirittura a «realizzare porti, aeroporti, ponti, dighe, acquedotti, oleodotti, metanodotti e reti ferroviarie».

Intanto il giornale - quello che si chiama proprio Italia dei Valori - va. Dalla redazione romana di via della Vite rispondono che non si registrano interruzioni o disguidi: il quotidiano è diffuso in tutte le edicole d’Italia. E in apertura di prima pagina - ad esempio nell’edizione del 27 febbraio - spicca ancora, con tanto di foto, la rubrica dal titolo profetico “L’angolo di Di Pietro”. Ne sa qualcosa, il ministro, che dal sito ufficiale del partito ha preferito cancellare il link d’accesso al quotidiano preferendo indicare, come testata di riferimento, il ruspante periodico Nuovi Orizzonti con redazione a San Giorgio la Molara, nel profondo Sannio? O qualcuno è già pronto a “scippargli” anche il nome, dal momento che fra l’indirizzo internet della versione on line del quotidiano (italiadeivalori.info) e di quella del partito (italiadeivalori.it) ci corre solo un piccolo “info”?

Tutto campano, comunque, il parterre societario della Editrice Mediterranea. A detenere il capitale della srl sono infatti, insieme a Lavitola, l’altro aversano doc Tommaso D’Alesio, 41 anni, e due napoletani: il venticinquenne Marco Capasso e la new entry Guido Malatesta. Quest’ultimo era già socio di Antonio Lavitola nella srl Sud Immobiliare, con sede nel capoluogo partenopeo. E il direttore responsabile del quotidiano? Ne vogliamo parlare? E’ lei, la napoletanissima Delia Cipullo, poco più che trentenne, con solide basi professionali nell’Opus Dei (Pontificia Università della Santa Croce) e soprattutto trascorsi alla corte di socialisti vip come Gianni De Michelis. De Gregorio docet. Napoletani, infine, anche i capi ufficio stampa prescelti da Di Pietro al ministero di piazzale Porta Pia: si tratta di Gianni Occhiello, ex cameramen alla Rai di viale Marconi, e di Lucio Fava Del Piano. I passaggi roventi del j’accuse



ALCUNI FRA I PASSAGGI PIU’ SCOTTANTI dal j’accuse dell’avvocato e co-fondatore dell’Italia dei Valori Mario Di Domenico, contenuto in una missiva inviata al capo dello stato Giorgio Napolitano, a Romano Prodi, al guardasigilli Clemente Mastella, a Gerardo D’Ambrosio e a Elio Veltri, quest’ultimo fra i primissimi a scoperchiare il pentolone di Tangentopoli col libro “La Milano degli scandali” del 1991 ed oggi autore del documentatissimo “Il governo dei confilitti”. «Ho dato vita - ricorda Di Domenico - il 21 marzo 1998 e poi il 26 settembre 2000, unitamente agli onorevoli Antonio Di Pietro e ora onorevole Silvana Mura, al contratto di associazione per la costituzione dell “Italia dei Valori-Lista Di Pietro”, partito politico notoriamente nato e osannato dietro l’onda dell’evento socio-giuridico di “Tangentopoli”, di cui Di Pietro è stato considerato il popolare protagonista. Ho partecipato a quell’iniziativa perché, allora, ho creduto di poter contribuire alla formazione reale di un nuovo Stato di diritto: quello che spero e vorrei ancora lasciare in eredità ai miei figli». Poi passa subito all’attacco. “E’ trascorso circa un anno - scrive Di Domenico - da quando ho presentato esposto-denuncia alla procura della repubblica di Brescia contro i miei ex compagni fondatori del partito politico. Ritenni la competenza della procura di Brescia perché il tesoriere, nonché legale rappresentante dell’associazione partitica (Silvana Mura, ndr) risiede in quel distretto di giustizia.

L’esposto-denuncia era articolato su diverse condotte - a parere dello scrivente - tutte penalmente rilevanti e complesse: si trattava delle arbitrarietà, quindi illegalità, commesse dai dirigenti dell’Italia dei Valori-Lista Di Pietro, costituita e composta da soli tre soci, per volere del presidente: l’on. Di Pietro (presidente), l’on. Mura (tesoriere) ed il sottoscritto (segretario). Sono stato ascoltato più volte e per diverse ore dal procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini e dai suoi sostituti. L’informativa di reato è stata protocollata al procedimento numero 20097/2005. Gli addebiti nei confronti dei miei compagni di partito erano del resto gravi». Quali? Nell’esposto si parla fra l’altro di «raggiro», «truffa contrattuale per il fine dell’ingiusto profitto personale», «abuso della personalità giuridica», «appropriazione indebita», «truffa nei confronti dello stato per l’illegale ricorso al finanziamento pubblico ai partiti politici»: tutti «argomenti articolati, complessi, difficili raccolti in circa 100 allegati, 1000 pagine di atti e 150 pagine tra memorie e motivi aggiunti». La procura di Brescia, comunque, passa la patata bollente a quella di Roma, per motivi di “competenza territoriale”: e l’inchiesta continua.

Così, dal canto suo, prosegue la ricostruzione dell’ex socio ed amico: «Nel frattempo ha indagato anch’io, ho appurato e riferito al pm Amato che il presidente di IDV Di Pietro ha, nelle more, arbitrariamente modificato lo statuto dell’associazione, di talchè essa risulta, tuttora, costituita e rappresentata da un unico socio: l’onorevole Antonio Di Pietro. Tanto è vero che lo scorso bilancio di esercizio è stato approvato con delibera dell’associazione all’unanimità, dal solo ed unico socio Di Pietro. Non solo, ma a ben leggere lo statuto, così modificato, si è potuto ancora avere conferma del fatto che l’associazione IDV (che prende finanziamento pubblico dallo stato) è organismo autonomo e distinto dal partito politico (che partecipa alle elezioni con un gruppo di candidati), anche se reca ambiguamente lo stesso nome IDV e usa lo stesso contrassegno o simbolo elettorale, per il quale peraltro pende altro giudizio dinanzi alla magistratura civile di Roma per l’accertamento della proprietà, della contraffazione e uso illecito dello stesso, in quanto di proprietà del Movimento dei Valori». Così continua l’esposto-denuncia. «Mi domando e vi chiedo: ma di chi sono tutti quei soldi versati a IDV ed al Gruppo, non sono forse soldi che l’erario raccoglie dalle tasche dei cittadini?». L’avvocato-furioso passa quindi a sottolineare le ambiguità contenute, a suo parere, nello statuto di IDV, per cui «gli organi del partito non interagiscono assolutamente con gli organi dell’associazione». Inoltre «il partito politico IDV consiste di vari aderenti con propria assemblea, organi collegiali e autonomia finanziaria nonché diversa rappresentanza legale (il tesoriere Silvana Mura) e coincidente dirigenza presidenziale (Di Pietro)». Gli ultimi due, Mura e Di Pietro, «hanno poi partecipato alla costituzione di una società di capitali denominata AN.TO.CRI srl., in cui socio unico era ed è Di Pietro, mentre membri del consiglio d’amministrazione sono (o sono stati all’atto costitutivo), il tesoriere dell’associazione Silvana Mura nonché del partito politico IDV e tal Claudio Bellotti (compagno di vita o coniuge della Mura)». “Ebbene: nel breve volgere di un solo anno 2004-2005 la An.to.cri., capitalizzata per soli 50.000 euro, ha acquistato, al centro di Milano, un appartamento di 9,5 vani (valore supponibile almeno 900.000 euro) e poi al centro di Roma, altro appartamento di 10,5 vani (valore supponibile almeno 900.000 euro). Si è anche appurato - prosegue l’esposto dell’avvocato Di Domenico - che le uniche due sedi locate dall’associazione Italia dei Valori e per le quali corrisponde l’affitto si trovano una Milano e l’altra a Roma e cioè nei suddetti appartamenti di proprietà della An.to.cri».