Un calcio al barattolo... Pieno di sangue
di Enrico Tomaselli - 19/08/2025
Fonte: Giubbe rosse
Alla fine, il secondo round di colloqui tra Trump, Zelensky e i leader europei ha lasciato tutti in un certo senso soddisfatti. Trump si tira fuori dalla guerra ma rimane un fornitore di armi a pagamento. Zelensky rifiuta concessioni territoriali e ottiene la promessa di un incontro con Putin. Gli europei possono continuare la loro narrazione sulla minaccia russa, mentre la Russia persegue i suoi obiettivi con l’Operazione Speciale Militare attraverso la battaglia - che dopo tutto è pur sempre il modo più sicuro - rafforzando nel contempo i rapporti con gli Stati Uniti.
Inutile girarci attorno. Trump sa perfettamente - perché di sicuro Putin glielo ha chiarito - che la Russia non accetterà mai un esercito ucraino forte. Così come non accetterà mai forze di paesi NATO sul suolo ucraino. Quindi, quando conclude un accordo per vendere a Kiev 100 miliardi di dollari in armi, più altri 50 per costruire droni, è consapevole che sta parlando di qualcosa destinato ad essere bruciato in battaglia, non ad armare un esercito post-conflitto. Tra l'altro, il pacchetto da 100 mld prevede anche 10 sistemi Patriot; che, com'è noto, non sono utilizzabili senza un supporto di intelligence satellitare, che solo gli USA possono fornire. E sarebbe interessante capire come intende regolarsi in merito, visto che dice di essere fuori dal conflitto.
Zelensky rifiuta ogni mediazione, insistendo su un cessate il fuoco preventivo, nessuna cessione di territori e risarcimenti di guerra dai beni russi congelati in Europa. E se questo è ciò che viene fuori dal colloquio con Trump, figuriamoci cosa possa venire da un eventuale incontro con Putin.
Gli europei incassano ciò che in fondo era ed è per loro la cosa fondamentale: la guerra non finirà, non a breve almeno. Con un costo semplicemente spaventoso, di cui non si capisce come possano reggere l'impatto sociale. Basta fare due conti: 800 miliardi per il ReArm Europe, 600 miliardi promessi a Trump di investimenti negli Stati Uniti, altre centinaia per acquistare armi statunitensi, altri 150 miliardi di armi per l'Ucraina (perché anche quelli, ovviamente, li paghiamo noi…), contributo NATO al 5% del PIL… E tutto questo mentre ci siamo evirati energeticamente (addio al gas russo a basso costo) e ci siamo fatti castrare economicamente (acquisti massicci di carissimo GNL statunitense, perdita dei mercati di sbocco russo e USA).
Per gli Stati Uniti, è un buon successo tattico, che porta a casa - oltre ad una cospicua fetta di miliardi freschi - dei risultati non da poco. L'Europa, nonostante l'atteggiamento impertinente dei suoi leader, è sempre più subalterna, e sempre meno capaci di tornare ad essere un competitor economico. La guerra continuerà ancora per un po', il che rende sempre più sostenibile la narrazione della "guerra di Biden", da cui Trump ha saputo uscire elegantemente; e manterrà un po' di pressione sulla Russia, che certo non guasta, dal punto di vista statunitense.
Per Zelensky si tratta di una necessità vitale. Sa bene di essere non semplicemente prigioniero del personaggio e del ruolo che interpreta, ma anche, di fatto, degli ultranazionalisti - che controllano sostanzialmente le forze armate ed i servizi segreti - e dei britannici (in questo caso letteralmente, poiché la sua scorta personale è assicurata da ex-militari UK). Non c'è solo la sua carriera politica, in ballo, ma la possibilità di godersi i miliardi imboscati in questi anni, la cui precondizione è arrivare vivo alla fine.
Qualcosa di simile vale per le leadership europee. La fine della guerra - che significa la sconfitta - le travolgerebbe inevitabilmente, non solo mettendo a nudo tutta la fallacia delle affermazioni fatte in questi anni, ma evidenziando il completo fallimento della linea politica così ostinatamente perseguita. Quindi qualsiasi cosa che rimandi la resa dei conti va bene. Anche un semplice calcio al barattolo, affinché si sposti un po' più in avanti. Che sia pieno di sangue, poco importa.