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A Gaza non vince nessuno. Perdono tutti

di Daniele Perra - 09/10/2025

A Gaza non vince nessuno. Perdono tutti

Fonte: Daniele Perra

È quasi inutile fare disquisizioni geopolitiche di fronte ad una tragedia di simili proporzioni (la più grave del XXI secolo, insieme a quella dimenticata dello Yemen). A Gaza non vince nessuno. Perdono tutti.
Yahya Sinwar, nel suo romanzo autobiografico "La spina ed il garofano", scriveva che è meglio morire combattendo che vivere giornalmente, in eterno, la realtà dell'oppressione sionista". Ed ancora che la terra di Palestina, conquistata all'Islam dal sangue dei compagni del Profeta, sarebbe ad esso ritornata bagnata dal sangue di nuovi martiri. Hanno senso queste parole di fronte a quanto accaduto in questi due anni? Può Hamas affermare di aver vinto? Di sicuro, ha dimostrato una capacità di resistenza senza precedenti di fronte ad un avversario (inutile dirlo) superiore militarmente e tecnologicamente (ma in questo consiste il "gioco" della guerra asimmetrica), nonostante la totale (o quasi) decapitazione dei suoi vertici politici e militari. Inoltre, oggi, ottiene quello che voleva sin dal 7 ottobre: la liberazione di 2000 prigionieri politici palestinesi (compresi alcuni ergastolani). L'eventuale scarcerazione di Marwan Barghouti sarebbe indubbiamente un notevole successo. Ma a quale costo? Hamas ha agito in pieno rispetto dell'insegnamento di Ho Chi Minh: "ucciderete dieci di noi. Uccideremo uno di voi, ma vi stancherete prima di noi". Idea alla base della vittoria vietnamita contro Francia e Stati Uniti.
Ma la tregua è assai fragile e la macchina bellica israeliana tornerà ad operare presto, perché il Piano Trump prevede punti che Hamas (demilitarizzazione, abbandono politica attiva, Tony Blair) non può accettare.
Ancora, l'eventuale liberazione di Barghouti sarebbe un problema per Israele, dopo che lo stesso era stato minacciato di morte in carcere da Ben-Gvir. Barghouti, di fatto, rimane l'ultimo capo politico di al-Fatah con una qualche legittimazione popolare. Inoltre, ha sempre sostenuto la necessità dell'unità palestinese e di superare le fratture interne, a differenza dell'impresentabile Abu Mazen.
Israele, al momento, dopo due anni di massacri indiscriminati, ottiene nulla. Hamas non è distrutto, il contrario. E gli viene imposto un ritiro temporaneo (che non rispetterà). La "pulizia etnica" è solo rimandata. Allo stesso tempo, la liberazione degli ostaggi dà respiro all'esecutivo di Netanyahu che, seppur assai poco interessato alla loro sorte, è assediato da parte dell'opinione pubblica interna e da quella internazionale. I soldi spesi in influencer hanno fruttato assai poco. Migliora invece la posizione degli Stati Uniti che potranno vantarsi di aver raggiunto un accordo (parziale) e di aver agito da pacificatori (retorica propagandistica dell'amministrazione Trump), dopo che hanno ampiamente sostenuto lo "sforzo" distruttivo sionista. Nonostante ciò l'"everlasting peace" di cui parla lo stesso Trump è solo un lontano miraggio.