Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / A proposito di un certo tono di destra di alcuni intellettuali di sinistra

A proposito di un certo tono di destra di alcuni intellettuali di sinistra

di Adriano Scianca - 02/09/2021

A proposito di un certo tono di destra di alcuni intellettuali di sinistra

Fonte: Adriano Scianca

A sinistra c'è una figura che va sempre molto di moda, soprattutto negli ultimi anni di furore sovranista: il progressista che le canta ai progressisti e assume la postura del realista cinico, talvolta, ma non sempre, accompagnandola con toni virilisti. In altre parole, è l'intellettuale di sinistra che spiega ai suoi che il mondo non va avanti a forza di gattini puffolosi. Mi vengono in mente Rampini, ma ancor più Fabbri di Limes, che peraltro seguo anche io con grande interesse (e che non so se ha un pedigree di sinistra, ma comunque parla a quel mondo lì).
Ora, se l'hobbesiano di sinistra genera interesse nel suo mondo in quanto anomalia che comunque evidenzia un vulnus autentico ed esorcizza un tabù culturale storico, quindi dà al suo pubblico qualcosa di cui esso è affamato, con la sicurezza però di non avvelenarlo, perché la fonte è sicura – a destra egli viene sbrigativamente arruolato per altri meccanismi atavici: il complesso di inferiorità verso l'intellettuale di sinistra, la sete di accreditamento che deve necessariamente derivare da quel versante etc.
Ma non è tanto questo il punto. Il punto è che il pensatore di sinistra che comincia a dire cose di destra diventa semplicemente... di destra. Con tutti gli aspetti controversi che questo comporta.
Faccio questa riflessione dopo aver sentito una pur interessante disamina di Fabbri sull'esercito europeo, in cui lo stesso bullizza un po' la sinistra macroniana che vuole i soldati europei ma ha rimosso culturalmente la guerra. Ovviamente rispetto a quel mondo la critica ha un suo senso e un suo appeal, ma il risultato finale è tipicamente di destra: gli assetti sociali, culturali, militari, geopolitici sono immodificabili. Per contraddire la sinistra che vorrebbe cambiare il mondo con i gessetti colorati, si finisce per dire che il mondo non si può cambiare.
Lo stesso vale per le analisi di Rampini sulla realtà sociale americana, con critiche annesse alla sinistra che campa di party esclusivi e appelli hollywoodiani e poi non capisce gli operai che votano Trump. Dopo aver (giustamente) bastonato la sinistra animata ipocritamente da propositi di redenzione sociale ma incapace di interloquire con i bifolchi, la destra però si limita all'elogio acritico dei bifolchi e a crogiolarsi nella sua assenza di propositi di redenzione sociale.
È l'altro lato del realismo politico: basta sogni, i poveri restano poveri e le colonie restano colonie.
Ecco perché sarebbe importante non smarrire la centralità e radicarsi in un discorso ideologico che ha *anche* una componente progressista (come un recente saggio sulle radici filosofiche di un noto politico romagnolo insegna). Anche perché a fare tutti questi giri per ritrovarsi a essere gli stessi stronzi reazionari di prima, tanto valeva stare fermi, no?