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Le spie dell’Impero: attenzione alle organizzazioni affiliate all’ONU

di Kit Klarenberg - 30/06/2025

Le spie dell’Impero: attenzione alle organizzazioni affiliate all’ONU

Fonte: Come Don Chisciotte

Il 13 giugno, l’entità sionista ha effettuato un attacco militare criminale e non provocato contro l’Iran. Sebbene il suo impatto sia stato limitato, e il contrattacco di Teheran molto più devastante, l’assassinio mirato di alcuni scienziati nucleari iraniani da parte di Israele fa capire che Tel Aviv conosceva con una certa precisione la loro identità e la loro posizione. Per coincidenza, un giorno prima dell’attacco dell’entità, Press TV, basandosi su documenti pubblicati, aveva affermato che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica aveva precedentemente fornito all’intelligence israeliana i nomi di diversi scienziati nucleari iraniani, scienziati che erano poi stati uccisi.
Altri documenti indicano che il capo dell’AIEA, Rafael Grossi, ha una stretta relazione clandestina con funzionari israeliani e ha spesso agito su loro ordine. Il Ministero dell’Intelligence iraniano è in possesso di un  ampio dossier che contiene informazioni senza precedenti sulla capacità segreta e illegale di Tel Aviv di produrre armi nucleari e sui suoi rapporti con l’Europa, gli Stati Uniti e vari Paesi, oltre ad altro materiale incredibilmente interessante. Questi documenti potrebbero fare ulteriore luce sulla sfacciata e omicida collusione dell’AIEA con l’entità sionista.
Un’altra cosa sembra rafforzare ulteriormente la sensazione che l’AIEA abbia in qualche modo contribuito all’attacco israeliano del 13 giugno contro l’Iran: il giorno prima il Consiglio dei governatori dell’Associazione aveva dichiarato che Teheran “aveva violato i suoi obblighi di non proliferazione”. La base di questa “scoperta”, che aveva fornito a Tel Aviv il pretesto propagandistico per il suo attacco illegale, era un rapporto dell’AIEA pubblicato due settimane prima. Il documento non forniva nuove informazioni – le sue dubbie accuse riguardavano “attività risalenti a decenni fa” in tre siti dove, presumibilmente, fino ai primi anni 2000, sarebbe stato trattato “materiale nucleare non dichiarato”.
Secondo i termini dell’accordo stipulato da Teheran con l’amministrazione Obama nel luglio 2015, per anni all’AIEA è stato concesso un accesso senza restrizioni ai complessi nucleari iraniani, per garantire che la Repubblica Islamica non usasse le strutture per sviluppare armi nucleari. Gli ispettori dell’Associazione avevano raccolto una grande quantità di informazioni sui siti, all’esterno e all’interno, tra cui foto scattate dalle telecamere di sorveglianza, dati di misurazione e documenti. La questione se questi dati siano stati condivisi con l’entità sionista e se abbiano in qualche modo aiutato l’attacco del 13 giugno è aperta e ovvia.
Con la “guerra dei 12 giorni” tra l’Iran, Israele e i suoi burattinai occidentali ormai conclusa, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso ottimismo sulla possibilità di mediare la pace tra Teheran e l’entità sionista e di finalizzare un nuovo accordo sul nucleare con la Repubblica Islamica. Entrambi i risultati sembrano assai implausibili. Come minimo, ci sono poche possibilità che gli ispettori dell’AIEA possano nuovamente avvicinarsi ai siti nucleari iraniani, data l’intima e segreta relazione dell’Associazione con i funzionari di Tel Aviv e la sua complicità negli attacchi israeliani passati, e probabilmente anche in quelli futuri.
È bene che gli Stati di tutto il mondo – in particolare quelli che si trovano nel mirino dell’Impero, e dei suoi vari proxy e burattini, ci pensino due volte prima di concedere l’ingresso a rappresentanti non solo dell’AIEA, ma anche di una panoplia di organizzazioni intergovernative internazionali che si spacciano per neutrali. Soprattutto se cercano di accedere a informazioni e installazioni sensibili. È quasi inevitabile che qualsiasi informazione ottenuta da queste operazioni venga condivisa, con immenso danno per i Paesi e i governi che avranno permesso a queste entità di accedere al loro territorio.
Fondata nel 1975, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa è un’entità intergovernativa con Stati membri in Asia, Europa e Nord America. In tutto il mondo i suoi osservatori controllano le elezioni e il rispetto dei diritti umani da parte dei governi di Paesi stranieri e sono spesso inviati in zone di guerra e disordini per osservare gli eventi sul campo. La sua missione ufficiale è la gestione delle crisi e la prevenzione dei conflitti. Tuttavia, le attività dell’OSCE in Jugoslavia alla fine degli anni ’90 dimostrano ampiamente la sua utilità nel fomentare i conflitti.
Nella seconda metà di quel decennio, le autorità jugoslave erano impegnate in una brutale opera di contenimento nei confronti dell’Esercito di liberazione del Kosovo (KLA). Il gruppo estremista, legato ad Al Qaeda, armato, finanziato e addestrato dalla CIA e dall’MI6, cercava di costruire una “Grande Albania” etnicamente pura – un progetto irredentista di ispirazione nazista, che avrebbe unito Tirana a vari territori in Grecia, Macedonia, Montenegro e Serbia attraverso la violenza insurrezionale. Nel settembre 1998, le ostilità erano sfociate in una guerra totale. In quel mese, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva chiesto alle due parti di concordare un cessate il fuoco.
Le forze militari jugoslave erano state rigorosamente ritirate dalla provincia – il KLA aveva invece sfruttato l’assenza dell’esercito iugoslavo per intensificare la sua sanguinosa lotta, conquistando ulteriori territori ed eliminando gli abitanti non albanesi. Per garantire il rispetto del cessate il fuoco da parte di Belgrado era stata creata un’unità OSCE dedicata, la Missione di Verifica del Kosovo (KVM). Alla KVM era stata concessa la piena libertà di movimento ovunque desiderasse a livello locale. La sua presenza si sarebbe rivelata fondamentale non solo per la selvaggia crociata del KLA, ma anche per i successivi bombardamenti criminali della NATO sulla Jugoslavia nel periodo marzo-giugno 1999.
Come si legge in un rapporto della commissione parlamentare britannica del maggio 2000, la KVM “era partita lentamente” il 25 ottobre 1998, con solo 50 persone. Questa cifra però era rapidamente cambiata, mentre Londra “era in testa agli sforzi per portare sul terreno il più rapidamente possibile i verificatori”, la maggior parte dei quali era costituita da “personale militare”. In breve tempo, la missione dell’OSCE era arrivata a comprendere 1.500 persone e, cosa non menzionata nel rapporto, molti osservatori della KVM erano veterani dei servizi segreti provenienti dai ranghi degli Stati membri della NATO, tra cui una preponderanza di spie della CIA.
Nel marzo dello stesso anno, il Times aveva rivelato come la KVM fosse stata “fagocitata” dalla CIA, che aveva perseguito in modo concertato una “agenda” che rendeva “inevitabili gli attacchi aerei”. Gli agenti dell’Agenzia incorporati nell’OSCE “avevano ammesso di aver contribuito all’addestramento” del KLA e di aver “minato le iniziative per una soluzione politica del conflitto” in Kosovo. Ciò includeva “la fornitura alla milizia separatista di manuali di addestramento militare americani e di consigli sul campo per combattere l’esercito jugoslavo e la polizia serba”. Un agente della CIA aveva definito la KVM “un fronte della CIA”. Un altro aveva ammesso che:
“Dicevo [al KLA] quale collina evitare, in quale bosco ripararsi, questo genere di cose”.
Il Times aveva anche rivelato che, prima dell’inizio dei bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, “molti” dei “telefoni satellitari e dei sistemi di posizionamento globale della KVM erano stati segretamente consegnati al KLA, facendo in modo che i comandanti della guerriglia potessero rimanere in contatto con la NATO e con Washington” durante tutta la campagna. Fino al punto che “diversi leader del KLA” erano in possesso del numero di cellulare del generale statunitense Wesley Clark, il diretto responsabile dei bombardamenti. Inoltre, le informazioni raccolte dall’OSCE durante la sua missione in Kosovo si erano rivelate fondamentali per la pianificazione dell’operazione distruttiva.
Durante il processo al leader jugoslavo Slobodan Milosevic presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, numerosi testimoni della difesa e dell’accusa – tra cui veterani dell’OSCE – avevano testimoniato sul ruolo maligno della KVM nel gettare le basi per il bombardamento di Belgrado da parte della NATO. Un colonnello dell’esercito jugoslavo, che soffriva di gravi problemi di salute a causa dell’uso illegale dell’uranio impoverito da parte della NATO durante la campagna, aveva offerto un’ampia panoramica su come i membri della Missione ispezionassero di frequente le strutture militari jugoslave, prendendo sempre appunti dettagliati:
“[La NATO] disponeva di dati molto precisi… [per l’acquisizione dei bersagli] che erano stati raccolti nel 1998 e nel 1999… dai membri della commissione di verifica… [La KVM] veniva a visitare la [mia] caserma molto spesso, molto frequentemente… Li vedevo spesso prendere le coordinate delle strutture e disegnare mappe della rete di comunicazione, ed erano ben addestrati… C’erano molti ufficiali in pensione. Avevano mappe eccellenti, mappe satellitari. Avevano il GPS… per la determinazione automatica delle coordinate sul territorio”.
Nel marzo 2014, gli osservatori dell’OSCE erano stati inviati in Ucraina, mentre l’est e il sud del Paese stavano precipitando nella guerra civile dopo il colpo di Stato del Maidan orchestrato dall’Occidente. Nonostante otto anni di presenza sul campo, la loro esistenza e il loro ruolo nel conflitto erano stati a malapena riconosciuti dai media tradizionali. Gli osservatori erano stati ritirati nel marzo 2022, dopo lo scoppio di un conflitto per procura nel Paese, un mese prima.
Si potrebbe ipotizzare che l’omertà generalizzata dei media sulle attività dell’OSCE nel Donbass derivasse dalle loro osservazioni che minavano completamente la posizione ufficiale di diversi governi, militari e servizi di intelligence occidentali, della stessa Ucraina e degli organi di informazione occidentali. Vale a dire, che la guerra del Donbass non era un’invasione russa, ma una brutale repressione da parte di Kiev della popolazione russofona della regione. Nell’ottobre 2018, Alexander Hug, vice capo della missione locale dell’OSCE, era stato interpellato da Foreign Policy sulla “posizione ufficiale della sua agenzia sul coinvolgimento della Russia”.
Hug aveva dichiarato con fermezza che l’OSCE non aveva “alcuna prova diretta” di ciò. Sospettosamente, l’articolo era stato successivamente aggiornato modificando la risposta di Hug, che aveva poi affermato di aver visto “convogli” di natura indeterminata “uscire ed entrare in Ucraina” di notte, “tipi specifici di armi”, presunti prigionieri russi in custodia e individui che indossavano giacche “con le insegne della Federazione Russa”. Aveva tuttavia sottolineato che queste ultime potevano essere acquistate “ovunque” e di aver anche visto nel Donbass indumenti militari con le insegne di “Germania, Spagna e altri Paesi”.
Non sorprenderebbe se queste magre informazioni fossero state trasmesse a Foreign Policy da un Hug sotto pressione da parte di oscuri attori. Tuttavia, la sua risposta iniziale non preparata è tanto più degna di nota se si considera che la missione OSCE in Ucraina era stata pesantemente compromessa e infiltrata dalle potenze occidentali. I suoi osservatori non solo non avevano registrato i gravi abusi e le violazioni del cessate il fuoco da parte di Kiev, ma avevano fornito informazioni sensibili alle forze NATO e ucraine.
Nel settembre 2023, un osservatore britannico dell’OSCE era stato condannato in contumacia da un tribunale russo per aver fornito alla NATO mappe satellitari dettagliate delle installazioni militari gestite dalla Repubblica Popolare di Lugansk. Questo spionaggio aveva permesso alle forze ucraine di effettuare attacchi di precisione contro questi siti, causando perdite umane e danni materiali. Secondo l’ex ambasciatore della Grecia a Kiev, una tale condivisione di intelligence da parte dell’OSCE era assolutamente di routine. Era stato anche affermato che l’assassinio di un osservatore russo dell’OSCE, avvenuto nel 2017 tramite un’autobomba, era stato esplicitamente compiuto per allontanarlo dalla missione.
L’Iran, saggiamente, non è membro dell’OSCE e non permette ai suoi “osservatori” di accedere al proprio territorio. Ciononostante, l’Organizzazione si è interessata molto al presunto programma di armi nucleari di Teheran. Nel giugno 2012, una delegazione dell’OSCE aveva dichiarato: “Non possiamo più ignorare le implicazioni per la sicurezza internazionale di un Iran nucleare”. Era stato anche sottolineato che l’Iran confina con alcuni Paesi membri dell’OSCE, Armenia, Azerbaigian, Turchia e Turkmenistan, suggerendo che questi Stati potrebbero in qualche modo contribuire a neutralizzare le presunte ambizioni nucleari della Repubblica islamica.
Date le recenti rivelazioni bomba sulla collusione dell’AIEA con Israele e i deplorevoli precedenti delle altre organizzazioni “intergovernative” affiliate all’ONU (come l’OSCE), è inconcepibile che Teheran sia disposta a permettere a qualsiasi entità internazionale di svolgere un ruolo di mediazione nel suo conflitto con Israele. Tutti i Paesi non occidentali dovrebbero avere il buon senso di seguire l’esempio dell’Iran.

Fonte: kitklarenberg.com
Link: https://www.kitklarenberg.com/p/spies-of-empire-beware-un-affiliated
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org