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Al di là della fuffa (narrativa) Israele vs Gaza

di Maurizio Murelli - 14/11/2023

Al di là della fuffa (narrativa) Israele vs Gaza

Fonte: Maurizio Murelli

La quasi totalità delle crisi geopolitiche e quindi dei conflitti che da oltre un secolo investono Africa, Medio Oriente e Asia trovano origine nell’ideazione del nuovo ordine mondiale scaturito a partire dal primo dopoguerra: fu allora che i vincitori, animati da interessi egemonici e specifici interessi economico-finanziari, chini sulle carte geografiche tracciarono con squadra e righello (spesso inventandoseli) i confini degli Stati facendo strame di ogni senso logico ed etnografico. Il folle progetto si aggravò all’indomani del secondo conflitto mondiale, allorché il mondo fu suddiviso in due zone di influenza geopolitica: nella testa dell’Occidente a trazione angloamericana, fase intermedia e premessa per conseguire, in un secondo tempo, un Ordine Mondiale unipolare, così come poi è risultato del tutto evidente.
Se gli Stati-nazione che si affermarono in Europa erano derivati dalla disgregazione degli Imperi centrali e dunque in qualche misura preservavano una certa omogeneità etnica, linguistica, culturale e religiosa, non così è stato per Africa, Medio Oriente, e sopra tutto per quella parte dell’Asia a ridosso dell’Europa.
Di tutte le creazioni di nuovi Stati, quella rivelatasi più nefasta (per quel che ne è conseguito) è stata l’invenzione di Israele. Un corpo estraneo in un ambiente ostile che ha determinato una crisi di rigetto senza soluzione di continuità. A ben promuoverne la fondazione è stata principalmente l’URSS di Stalin, con l’intento di piantare un chiodo ostile al mondo arabo, allora formato da monarchie. Senonché le monarchie – via una l’altra – furono soppiantate da repubbliche di tipo socialista, cosa che ha dato agio agli USA di attrarre a sé Israele e farne il bastione difensivo degli interessi occidentali e più segnatamente di quelli statunitensi. I Paesi arabi crescevano di potenza e di ricchezza grazie al petrolio e al contempo procedevano al recupero dell’Islam politico: in questa dinamica veniva ad accrescersi il contrasto con gli ebrei fondatori dello Stato di Israele, in massima parte formattati dall’occidentalismo liberale pur preservando l’identità (specificità) ebraica e avendo ormai acquisito la forma mentis dello Stato-nazione a caratura liberale.
Dice il vero chi dice che uno Stato palestinese  non è storicamente mai esistito, ma la stessa cosa vale per lo Stato ebraico. Quando gli ebrei arrivarono in Palestina lì c’erano già i palestinesi, così come nelle Americhe, quando arrivarono gli europei, c’erano già i nativi pellerossa che consideravano sé stessi come nazione. E quando i sionisti fondatori dello Stato di Israele arrivarono in Palestina vi trovarono ebrei di plurimillenaria discendenza ma non sionisti, che erano già lì con i palestinesi. Se proprio uno Stato si doveva imporre alla geografia del mondo, in quel luogo, quello Stato doveva essere edificato con ebrei e palestinesi autoctoni, che solo in seconda battuta avrebbero potuto accogliere ebrei della diaspora ed ebrei i cui antenati non avevano mai neppure visto la Palestina.
Invece è sorta un’entità spuria, edificata da elementi estranei alla Palestina e circondata da Stati e popolazioni ostili, in cui l’avversione reciproca si è andata sempre più accrescendo, con tutto quel che ne è conseguito e di cui siamo ben a conoscenza.
Oggi Israele sta portando avanti una guerra di conquista ossia di ampliamento dei propri confini, una modalità della guerra che potremmo definire classica, sul tipo di quella condotta – per certi versi –dall’Impero Romano o – pari pari e in toto – dalle orde asiatiche di Gengis Khan: la differenza è che Israele pratica una guerra totale, che prevede sottomissione e/o annientamento anche della popolazione civile. È una fesseria la pretesa di costringere la guerra dentro parametri legali sulla base di trattati internazionali che stabilirebbero cosa sono e cosa non sono crimini di guerra, quali armi sono lecite e quali no. La guerra è rottura totale di ogni parametro “legale” e ogni esercito la conduce secondo necessità e quota parte della propria etica. Chi vince, a partire dalla buffonata del processo di Norimberga, stabilisce cosa è e cosa non è criminale.
In questo quadro, tutto quel che ruota attorno alla guerra è fuffa. Fuffa la narrazione del 7 ottobre e la relativa narrazione che ne viene data per supportare quell’accadimento come casus belli (sono accadute quel giorno cose sottaciute); fuffa le proteste, anche quando a scendere in piazza sono folle imponenti come in Pakistan o in Inghilterra; fuffa le propagande contrapposte che certe volte sono pure ridicole (come i cartoni animati diffusi da Israele sulle fortificazioni sotterranee negli ospedali); fuffa l’enfatizzazione dell’antisemitismo (che pure esiste e che però ha anche diverse implicazioni, come l’antisemitismo occidentale contro gli arabi o l’antisemitismo declinato in islamofobia quand’anche esercitato contro laici...). Ma qui entra in campo anche la guerra etimologica, per cui si accorpa tutto in un termine: antisemitismo quando è solo antigiudaismo, antisionismo e antiebraismo. E ancora fuffa la chiamata in campo della Shoah e del nazismo con esternazioni ridicole come quella del presidente israeliano che esibisce una copia del *Mein Kampf* stampato in arabo e che sarebbe stata ritrovata addosso ad un miliziano di Hamas: nel 1996 quel libro è stato stampato anche in ebraico in Israele e nel 2016 il quotidiano italiano filosionista e filoatlantista “Il Giornale” lo ha stampato e distribuito in allegato. Pensa un po’ cosa ne verrebbe fuori se ne venisse trovata copia addosso a un soldato israeliano caduto a Gaza, dove, detto per inciso, sono andati a combattere ebrei con cittadinanza italiana (ipoteticamente anche uno di loro potrebbe avere in tasca l’allegato de “Il Giornale”). Quando sono andati a combattere in Siria, i siriani ospitati in Italia sono poi stati processati come foreign fighters: succederà la stessa cosa per i cittadini italiani di origine ebraica? Dubito.
Ma “fuffa” in che senso? Nel senso che tutta questa gran cassa mediatica, tutta questa manipolazione emotiva, queste proteste, queste chiamate in campo della storiografia dei vincitori etc. non ha alcun peso specifico sulla guerra. Come non ce l’ha il come e perché è sorto lo Stato di Israele nel modo e con le caratteristiche in cui è sorto (come in modo sintetico ho scritto in apertura di questo scritto). Quel che conta e non è fuffa è la guerra – con tutti i suoi atti eroici e orrori – e chi la vincerà. E questa guerra la vincerà Israele, per quanto non sarà l’ultima e non mancherà di un secondo, terzo, quarto tempo dove non è detto che a ri-vincere sarà Israele.
Tutte le questioni a latere, come i bombardamenti disumani, la mattanza di bambini, donne e vecchi, saranno riassorbite nell’immaginario collettivo in seconda battuta, come coda normalizzatrice degli effetti collaterali della guerra, a cominciare da una buona produzione hollywoodiana di film dove con gli israeliani vedremo in azione qualche Rambo, perché – si sa – sono i gloriosi americani che hanno liberato Auschwitz.
Insomma, a torto o ragione oggi Israele, con la copertura USA, può fare quel che vuole e, a parte la copertura degli USA, a essere decisivo sarà il responso della guerra: che è supremazia rispetto alla politica essendo la politica (invertendo l’assioma di von Clausewitz) il proseguimento della guerra con altri mezzi. Le opinioni pubbliche, gli orientamenti delle popolazioni rispetto ai giochi delle élite globaliste dominanti non hanno alcun peso specifico. Le masse comunque ideologizzate, contrariamente a quel che sostengono i marxisti, non contano una fava: fuffa anche loro.
L’unica domanda da porsi è: fino a quando l’aberrazione di questo ordine mondiale che ha avuto per culla il primo conflitto mondiale e per nutrice il totalitarismo liberale reggerà e come imploderà/crollerà? Le premesse per la sua disintegrazione a est dell’Occidente sono state poste. Non sarà una passeggiata, ma se si vuole riporre fiducia nella virtù cristiana della speranza, allora effettivamente questa speranza ha una qualche ragione di sussistere. Di certo una speranza sterile è l’idea dei due Stati indipendenti in Palestina a cui pedissequamente si attaccano i narratori della favola oggi in voga.