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Alcune riflessioni sulle rivendicazioni delle “piccole patrie”

di Giorgio Da Gai - 22/10/2017

Alcune riflessioni sulle rivendicazioni delle “piccole patrie”

Fonte: Giorgio Da Gai

VENETO “AUTONOMO” E CATALOGNA “INDIPENDENTE”


Domenica 22 ottobre in Veneto e in Lombardia si terrà un referendum consultivo per dare a alle nostre Regioni una maggiore autonomia. Il quesito referendario del Veneto è volutamente generico: «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia?». Questa “genericità” riflette lo scopo della consultazione: promuovere una riforma legislativa e non abrogare o modificare una legge. In Veneto il quorum richiede la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Trattandosi di un referendum “politico” la partecipazione dovrebbe superare il 60 per cento, accompagnata dalla schiacciante maggioranza dei SI. Il fine del nostro referendum è mandare un segnale forte al governo e alle Regioni del Sud: il Veneto e la Lombardia ambiscono a un modello di autonomia pari a quello delle regioni a statuto speciale; vogliono trattenere per se la maggior parte dei tributi raccolti e avere maggiori poteri per governare il territorio. Richieste legittime e sensate, per questo andrò a votare e inviterò a farlo.
Il Veneto e la Lombardia votano per l’autonomia, la Catalogna ha votato per l’indipendenza. L’autonomia non lede l’unità nazionale, è un solo un trasferimento di poteri dallo Stato agli enti territoriali minori (Regioni e Comuni) accompagnato da una diversa spartizione delle risorse tra centro e periferia. L’indipendenza prevede invece la rottura dell’unità nazionale: attraverso la secessione di una parte del territorio e la nascita di una nuova nazione (la disgregazione dell’ex Jugoslavia, l’indipendentismo catalano e quello curdo); oppure, con la modifica dei confini nazionali in base ad aggregazioni etnico - linguistiche (l’irredentismo italiano).
Il nostro ordinamento non riconosce al Veneto e alle altre Regioni il diritto di “secessione”. L’Italia è una e indivisibile recita l’articolo 5 della Costituzione. Un principio che il trattato di Osimo del 1975 non ha disatteso cedendo la nostra Istria alla Jugoslavia. Quello di Osimo è un trattato internazionale che ha modificato i confini nazionali a seguito di una guerra perduta, fattispecie prevista dall’art. 80 della Costituzione: «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi». In base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni con l’eccezzione di Zara (a maggioranza italiana) e delle isole di Lagosta, Cherso e Lussino che furono date all’Italia. L’Istria a seguito della vittoria italiana nella prima guerra mondiale divenne parte del regno di Italia: trattato di Saint Germain en Laye (1919) e trattato di Rapallo (1920).
Il referendum sull’indipendenza catalana è illegittimo perche l’art 2 della Costituzione spagnola sancisce l’indivisibilità della Spagna. Il governo di Madrid ha represso con violenza ingiustificata una manifestazione pacifica e democratica; i cittadini catalani sono stati colpiti con manganelli e proiettili di gomma, come si trattasse di teppaglia; oltre 800 sono stati i feriti, l’arresto arbitrario di alcuni indipendentisti. Il governo spagnolo si è comporto come la dittatura franchista o le peggiori dittature sudamericane, l’Argentina dei militari e il Venezuela di Maduro. Questa non è democrazia. La violenta repressione di Madrid è avvenuta nell’indifferenza delle istituzioni europee incapaci di gestire le proprie crisi: dall’immigrazione all’emergenza terrorismo; o di riconquistare il consenso che alimenta i “populismi”. Gli Stati Uniti e l’Europa sostengono i movimenti secessionisti solo quando sono funzionali ai loro interessi: SI al Kosovo e al Kurdistan; ma NO alla Crimea, all’Ossezia del Sud e all’Abkhazia. Ipocriti cialtroni senza vergogna.
Il principio di autodeterminazione dei popoli, contenuto nell’art 1 paragrafo 2 e negli articoli 55 e 56 dello Statuto dell’ONU (1945) e nella Dichiarazione dell’Assemblea Generale sull’indipendenza dei popoli coloniali (1960) non è applicabile al Veneto, alla Catalogna e nemmeno al Kosovo. Tale principio si applica solo ai popoli sottoposti a dominazione coloniale, discriminazione razziale (apartheid) e occupazione straniera. In base a tale principio i popoli possono determinare il proprio status internazionale, come costituire una nazione sovrana e indipendente. Il principio di autodeterminazione dei popoli è nato e si è consolidato per regolare la decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia, non per regolare i conflitti interni degli Stati esistenti. Diversamente assisteremo alla rapida disgregazione degli stessi, travolti dalla nascita di tante “piccole patrie” quanti sono i popoli che li compongono.
Il principio di autodeterminazione dei popoli non è applicabile al Kosovo. Belgrado nel 1989 tolse agli albanesi l’autonomia e gli stessi subirono la violenza serba; ma nel 2008, quando dichiararono l’indipendenza, l’autonomia l’avevano riacquistata e si trovavano sotto la protezione della Kosovo Force (KFOR) la forza militare guidata dalla NATO. Inoltre, la costituzione jugoslava negava al Kosovo lo status di Repubblica, quest’ultimo era una provincia autonoma che godeva di ampia autonomia (un proprio parlamento, il bilinguismo) ma non del diritto di staccarsi dalla federazione, le “repubbliche” che la componevano: Croazia, Slovenia, Bosnia, ecc. Fino al giorno dell’autoproclamata indipendenza (17 febbraio 2008) il Kosovo era parte della Federazione Jugoslava o meglio della Serbia, che era il successore riconosciuto (Dichiarazione 1244/1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).
La Corte di Giustizia Internazionale del 22 luglio 2010, ha stabilito che la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo non viola il diritto internazionale. La sentenza della Corte non si è espressa sulla legittimità della secessione kosovara; ma solo sulla legittimità a dichiarare una situazione di indipendenza già esistente. Quindi tale sentenza non crea un precedente giuridico alla secessione delle “piccole patrie”. Un cavillo giuridico motivato da interessi politici?
Il Kosovo è un precedente politico e non giuridico alla “secessione” delle “piccole patrie”. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno aggredito la Serbia e riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, non per ragioni umanitarie (fermare la pulizia etnica dei serbi a danno degli albanesi) ma per interessi politici o meglio geopolitici, il controllo dei Balcani: strategici per l’allargamento ad est della Nato in funzione anti russa (vedi la base militare americana di Camp Bondsteel a Urosevac in Kosovo); strategici per il passaggio del gas e del petrolio, che dall’Asia Centrale arriva in Europa; strategici per la Germania unita, potenza egemone dell’Europa; strategici per la politica “neottomana” della Turchia di Erdogan. La Serbia nazionalista e filorussa era l’unico ostacolo ai loro interessi.
A derminare la nascita di nuove nazioni e la digregazione di quelle esistenti sono gli interessi dei principali attori internazionali (Russia, Cina, Stati Uniti, Unione Europea) e dei loro alleati locali, gli esempi si sprecano: la digregazione della Jugoslavia; la crisi siriana e la futura nascita del Kurdistan; l’annessione della Crimea alla Russia, la perdita dell’Ossezia del Sud e dell’Abkazia da parte della Georgia. Se questa è la regola possiamo aspettarci di tutto, anche la nascita di uno Stato catalano o veneto. Una possibilità in questo senso già esiste e si chiama Kerneuropa (Dario Fabbri “Limes” 4/2017). La Germania potenza regionale dell’Europa potrebbe riunire intorno a se le nazioni e le regioni più vicine, per posizione geografica o per legami economici: Austria, Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia e Italia settentrionale. Un’area geoeconomica che in futuro potrebbe trasformarsi in soggetto politico e modificare lo scenario politico dell’Europa e del mondo intero: la nascita di un blocco euroasiatico (Kerneuropa Russia e Cina) che metterebbe fine all’egemonia degli Stati Uniti.
L’Italia è una nazione “fragile” con la nascita della Kerneuropa rischierebbe di perdere il Nord. L’Italia è una nazione “fragile: divisa da un profondo un divario socio-economico, priva di una forte coscienza nazionale, governata da una casta parassitaria incapace di difendere gli interessi nazionali (crisi libica, sanzioni alla Russia, migranti, ecc.) o di attuare una riforma federalista che renderebbe più unito ed efficiente il Paese.
Nel mio libro Kosovo monito per l’Europa (Aviani Editore 2014) ho spiegato che è la crisi generata dalla globalizzazione a favorire la digregazione dell’Unione Europea e delle nazioni più “fragili” che la compongono. Una crisi che è politica, il declino degli Stati nazionali a favore dei poteri sovranazionali (FMI, Banca Centrale Europea, Commissione Europea, ecc.); economica, la delocalizzazazione, la disoccupazione e il precariato; e infine sociale, l’immigrazione e lo smantellamento del Welfare State. I popoli minacciati nell’identità, nella sicurezza e nel benessere si rifugiano nel secessionismo delle “piccole patrie”, nel nazionalismo antieuropeo (la Brexit) o votano per i partiti “populisti”. Non possiamo biasimarli, non hanno scelta.