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Astenersi?

di Antonio Catalano - 21/08/2022

Astenersi?

Fonte: Antonio Catalano

L’astensionismo è sempre stato il cavallo di battaglia degli anarchici, per essi lo stato è da abbattere e basta, non ci sono vie di mezzo. I comunisti rivoluzionari invece hanno avuto sempre un atteggiamento diverso: si partecipa alle elezioni, se possibile, per mandare nel palazzo “tribuni del popolo”. Nell’Italia prefascista all’interno del partito socialista si formò la frazione comunista astensionista capeggiata da Amadeo Bordiga (che poi diventerà nel 1921 il primo segretario del Partito Comunista d’Italia, Gramsci solo nel 1924), la quale, ritenendo che la situazione fosse pre-rivoluzionaria, considerava errato “distrarre” le classi popolari con le elezioni.
Non mi addentro qui nel dibattito storico, mi piacerebbe pure, ma non è né il momento né tanto meno la sede giusta. Qui voglio solo provare a mostrare la debolezza teorica e politica di un certo astensionismo odierno, in particolare di quello che ritiene centrale il punto di mostrare la propria estraneità a un sistema marcio. Estraneità a un potere che, a quanto pare, allegramente se ne infischia di percentuali sempre più consistenti di elettori disertanti le urne. Allegramente perché non sembra che la questione preoccupi più di tanto, anzi avanzano tesi di chi propone un ritorno a meccanismi più elitari. In ogni caso, la caduta verticale della qualità politica (e morale) della classe politica sistemica è pari all’allontanamento delle decisioni dalle realtà territoriali nazionali.
Le nostre democrazie sono sempre più condizionate da “vincoli esterni”, e noi ne sappiamo qualcosa: ogni qualvolta si sia provato a fare un po’ più di testa nostra i nostri decisori atlantici hanno scatenato immediate “reazioni” (attentato Mattei, bombe su treni piazze e stazioni, mani pulite…). La stessa “ventata populistica” del 2018 è stata risolta in breve: i 5stelle hanno fatto la miserevole fine che abbiamo sotto gli occhi, la Lega completamente normalizzata (altro che felpe con Putin).  Che siamo una nazione priva del tutto di sovranità ce lo ripetono ogni giorno quando ci ricordano i famosi “vincoli esterni”: Ce lo chiedono i Mercati! Ce lo chiede l’Europa! Ce lo chiede il Fondo Monetario Internazionale! Ce lo chiede l’Oms!
Gli Usa decidono di mettere in difficoltà i russi utilizzando gli ucraini come carne da cannone e noi dobbiamo sottostare docilmente, guai a esprimere un’opposizione che sia radicale (pace! è lo slogan dei sostenitori guerrafondai). Decidiamo addirittura di mettere in crisi il nostro sistema energetico per fare un favore allo zio Tom, al quale va bene quella faccia da tolla di ministro degli esteri Di Maio che non distingue un cammello da un orso. Siamo sovrani con le centinaia di basi militari Usa/Nato che occupano interi nostri pezzi di territorio?  Siamo sovrani se la gestione pandemica è gestita su base terroristica e intanto si negano le cure possibile a vantaggio delle grandi multinazionali del farmaco (Pfizer in particolare)? Siamo sovrani se non possiamo decidere la giusta politica sull’immigrazione? Certo si può anche rinunciare a pezzi di sovranità, ma solo se ciò corrisponde al bene della comunità nella quale si è inseriti. Ma qui non vi è nulla che abbia a che fare con una comunità, abbiamo a dettare le condizioni feroci centrali di potere economico-finanziario-militare.
Un argomento molto utilizzato dagli astensionisti contemporanei è che più cresce l’astensionismo più il potere si delegittima. Posizione di una grande ingenuità. Come se questo: a) si facesse lo scrupolo morale di non essere abbastanza rappresentativo; b) non avesse tutte le leve del potere a disposizione per condizionare nel modo voluto la cosiddetta opinione pubblica. La crescita dell’astensionismo di solito serve solo per qualche dibattito sociologico. Molto più comprensibile la posizione di chi semplicemente dice: mi fanno schifo tutti.
Ci sono motivi quindi più che validi per comprendere le ragioni dell’astensionismo. L’importante è sapere che questo astensionismo non è dentro una strategia politica. Perché oggi chi lo propugna attivamente non sembra intenzionato a percorrere la via rivoluzionaria del rovesciamento violento dell’ordine costituito. E se lo facesse mostrerebbe di essere fuori come un balcone. Perché, molto ma molto realisticamente, la situazione nella quale ci troviamo non contiene nessun elemento che possa far credere di trovarsi in una fase pre-rivoluzionaria, unica condizione che potrebbe (potrebbe) giustificare una posizione politica astensionistica. Gli astensionisti attivi contemporanei spesso sono elettoralisti al contrario: stanno lì in attesa dei risultati per contarsi.
Il fronte nemico ha varie facce. Il Pd rappresenta sicuramente quella peggiore. Per cui è un bene che venga seppellito sotto una spessa coltre di cenere e lapilli. I 5 stelle dei progressisti contiani li abbiamo ben conosciuti, emergenzialisti e interventisti, trasformisti e inaffidabili, oltre che clientelari. Il centrodestra (uso queste categorie tanto per far prima) anch’esso ha dimostrato di essere ligio al governo Draghi (anche dall’opposizione), e di essersi sottomesso allo stesso modo all’emergenzialismo sanitario e poi a quello guerrafondaio.
Questi due anni di forti contraddizioni hanno sviluppato un’interessante dialettica, e così il rifiuto del ricatto sanitario, del ricatto sociale e del ricatto bellico ha portato varie organizzazioni a volersi misurare sul terreno elettorale. In sé è un fatto positivo. Il cartello che sembra avere una maggiore visione politica, cioè che non schiaccia il proprio programma su aspetti specifici, è quello di ITALIA SOVRANA E POPOLARE.  Il quale, attraverso le sue varie voci, denuncia: la partecipazione militare alla guerra americana in Ucraina; il regime sanitario che ha impedito di curare e che ha addirittura sospeso decine di migliaia di lavoratori (col silenzio dei sindacati); un mercato del lavoro ritagliato sugli interessi dei grandi gruppi globalizzati (vedi ddl concorrenza), con conseguenze di disoccupazione, precarietà, sottoccupazione, attacco alle piccole e medie imprese; il pericolo delle politiche transumane (gender, utero in affitto…).
Insomma se c’è chi, nonostante tutte le difficoltà, prova a coagulare energie contro un potere pervasivo e distopico, perché non provarci? L’astensionismo come testimonianza esige rispetto, ma la politica non è testimonianza.