Baizuo. Fenomenologia postmarxista
di Roberto Pecchioli - 24/10/2025

Fonte: EreticaMente
Tocca prendere in prestito dal cinese il termine per definire il coacervo di umori, pensieri, disposizioni mentali della sinistra occidentale postborghese, postmarxista, post tutto. Baizuo, ecco la parola chiave: significa “sinistra bianca” e definisce sarcasticamente chi – orfano della sinistra storica – sostiene tutte le cause di uguaglianza/equivalenza, l’immigrazione di massa, il femminismo, le teorie gender e l’omosessualismo, l’animalismo, l’ecologismo spinto, l’ambientalismo antiumano, l’antirazzismo isterico, il fastidio per l’eccellenza e la bellezza. I baizuo sono ipocriti animati da un invincibile senso di superiorità morale, nonché da una visione eurocentrica ignorante ed arrogante; tipi umani che provano pietà per il resto del mondo e si sentono dei salvatori. La saggezza orientale fa centro e regala un neologismo necessario. I baizuo sono progressisti conformisti; criticano l’occidente a nome del resto del mondo, terzomondisti fuori e suprematisti inconsapevoli dentro. Ripetono i luoghi comuni dell’occidente senza rendersi conto di sostenere le cause care al potere globalista. Un blog di sinistra non banale, lafionda.org, parla di soggetti dipendenti dell’“attuale corpus di dogmi etico-politici condiviso dalla sinistra liberal e radical, la psicopolizia progressista delle apericene borghesi e delle serate fricchettone.” Il loro errore è “avere invertito il rapporto struttura/sovrastruttura. Ai vecchi partiti socialisti e comunisti era chiaro che prima viene l’emancipazione economica e sociale della classe lavoratrice, poi seguirà la sua emancipazione culturale e la sua eventuale sensibilità verso certe tematiche. Il tipico sfruttato, anche se buzzurro e retrogrado, era visto come l’elettore strutturale, comunque la pensasse sul mondo. Oggi è praticamente diventato il nemico numero uno delle sinistre, perché giudicato e condannato sul piano culturale-sovrastrutturale.” Colpiti e affondati. Sfugge al Narciso occupato ad ammirarsi allo specchio “che ciò in cui crede è soprattutto retorica imperiale statunitense, con la quale gli Usa compattano il fronte occidentale contro i loro nemici (poverine le donne in Iran, poverini i gay in Russia, poverina la comunità Lgbt in Ungheria, ecc). Non capisce, il baizuo, che qualunque attivismo che combatte più il patriarcato della propaganda allarmista su di esso, più il razzismo della propaganda allarmista su di esso, è funzionale al potere. “ Quando il globalismo a trazione Usa muterà la sua retorica imperiale, “magari perché servirà un linguaggio più maschio per reclutare carne da cannone per la guerra, o perché il politicamente corretto avrà perso definitivamente il suo fascino, improvvisamente spariranno le pedagogiste che spiegano il patriarcato a dodicenni allibiti, spariranno le borse di dottorato sull’intersezionalità, spariranno le campagne di sensibilizzazione nelle scuole, spariranno i conteggi televisivi dei femminicidi, spariranno i figli fluidi dei vip, spariranno gli spettacolini trans nei circoli Arci di provincia.” Non si poteva dire meglio e con maggiore chiarezza.Il baizuo è figlio del lutto per il fallimento del marxismo. Il proletariato si è fuso al ribasso con l’ex piccola borghesia e il comunismo novecentesco è finito, compresa la Cina il cui totalitarismo, dopo la sbornia maoista, è l’aggiornamento del vecchio confucianesimo. Il povero baizuo ha dovuto reinventarsi per continuare ad “essere contro”, unica sua condizione esistenziale. Ha sostituito la difesa del proletariato e la lotta di classe con la difesa delle minoranze e la destrutturazione dell’umano. Il suo tossico brodo di coltura ha vari ingredienti, malvissuti e peggio digeriti. Accennavamo all’ ambientalismo radicale per il quale l’essere umano è il cancro del pianeta. Poi al femminismo aggressivo, in cui la guerra dei sessi è un surrogato della lotta di classe; al migrazionismo, sostituto dell’internazionalismo comunista; all’ ideologia gender che spezzetta l’umano in base a pulsioni, bizzarrie, parafilie, creando minoranze sempre nuove. Avanza l’odio contro la famiglia, la natura e la biologia. I baizuo francesi propongono di abolire l’identificazione del sesso dai documenti di identità. Dicono che è discriminatoria e non riflette l’autopercezione, l’ultima invenzione baizuo. Propugnano la normalizzazione delle devianze, dal consumo di droghe a pratiche sessuali che ogni civiltà di ogni epoca ha definito perversioni. Esigono la regolamentazione della riproduzione (fecondazione artificiale, gestazione surrogata, aborto), dell’alimentazione, la medicalizzazione dell’esistenza (vaccinazioni di massa) sino alla morte, con la banalizzazione dell’eutanasia, il cui approdo sarà la soppressione programmata di parte dell’umanità. Poiché non crede più in nulla di positivo, vitale, il baizuo è entusiasta del controllo sociale attraverso la tecnologia e sostiene la sottrazione dell’educazione alle famiglie per consegnare le generazioni all’inculturazione del potere. Il tutto in una cornice di materialismo e di darwinismo etico sociale che oltrepassa l’ateismo. Pur postmarxista, la prassi baizuo non pratica più la dialettica, che prevedeva un interlocutore da sconfiggere. Gli basta un nemico da bollare come fascista, definizione infinita che racchiude chiunque non corrisponda alla sua rappresentazione del mondo. Sotto il profilo filosofico, la visione baizuo è un mix di liberal-progressismo americano e di strutturalismo francese, correnti di pensiero sviluppatesi dopo il 1968, figlie dell’infezione francofortese, da Adorno a Marcuse. Ossessionato dalla correttezza politica –la lingua piegata alle sue manie –il baizuo è il frutto caduto dall’albero del Sessantotto, la rivoluzione culturale intraborghese a misura del capitalismo ultimo. È quindi oggettivamente – avverbio molto marxista – uno strumento dell’élite finanziaria che domina l’Occidente, il cui piano richiede un ordine mondiale che faccia tabula rasa di ogni passato per creare l’homunculus senza storia, privo di autonomia e di pensiero, colonizzato dalla materia, preda delle pulsioni più basse, indifferente allo spirito e alle domande di senso. A tal fine inventa l’assurdo logico della cultura della cancellazione; azzera le culture comunitarie dei popoli e abolisce progressivamente la democrazia fondata sul contrasto tra idee, progetti e visioni del mondo, unificate nel capitalismo finanziario senza alternative. Per rispondere alla domanda di infinito che alberga nel cuore umano, fonde le religioni in un astratto sincretismo senza cielo e dottrina, mentre applaude la tecnocrazia degli “esperti” cooptati dall’alto. Il baizuo è l’utile idiota dell’ideologia mondialista oligarchica occidentale. Un soggetto carico di risentimento, simbolo della deriva antropologica prodotta dal nichilismo, dal materialismo, dalla colonizzazione dell’immaginario fondata sulla forma merce e sulle pulsioni, ribattezzate diritti. Abbiamo parlato di post-marxismo come orizzonte comune. Il concetto merita di essere chiarito, giacché, come ogni termine composto, include un prefisso – post – e una parola primitiva, marxismo. La nostra tesi è che il marxismo, sconfitto nella prassi economica e nella lotta di classe, sia risultato vincente in occidente, innestato sul tronco del liberalismo, sul piano dei valori civili di massa. Il prefisso post indica una serie di continuità e di rotture. Il post-marxismo non è un’ideologia monolitica, bensì un insieme magmatico, non sistematico di dottrine e suggestioni a cui è opportuno riferirsi al plurale: post-marxismi. Si tratta di un contenitore indistinto, un salvacondotto la cui generica rivendicazione (assente in Marx!) è la parola “sinistra”. Molte correnti e filoni hanno una base antropologica e un orizzonte politico di stampo liberale: tornano alle origini per legittimare posizioni progressiste. All’inizio del XX secolo si diffuse una serie di idee destinate nel tempo, con accelerazioni dopo il 1968 e il 1989 (caduta del modello comunista sovietico) a fondersi con alcuni filoni marxisti, dando origine a singolari ircocervi ideologici. La psicoanalisi nacque con Freud, il kantismo tornò con Max Weber, emersero forme di socialismo riformista e revisionista. Poi ci fu l’ascesa della fenomenologia e dell’esistenzialismo (Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty, Sartre, Jaspers, de Beauvoir). Il marxismo rivoluzionario si ritirava ad est, nonostante l’ascesa dei partiti comunisti in Italia, Spagna, Francia. Dopo il trionfo bolscevico in Russia, cedeva il passo nell’Europa imborghesita. Il marxismo occidentale diventava una teoria da salotto accademico, perdendo gli ancoraggi che lo rendevano una filosofia della prassi. Essenziale è l’analisi svolta dallo storico marxista Perry Anderson ne Il dibattito nel marxismo occidentale (1977): “Il progressivo abbandono delle strutture economiche e politiche come punti focali della teoria fu accompagnato da uno spostamento fondamentale dell’intero baricentro del marxismo europeo, che si orientò verso la filosofia. Il fatto più sorprendente dell’intera tradizione, da Lukács ad Althusser e da Korsch a Colletti, è la schiacciante preponderanza di filosofi professionisti. Socialmente, questo spostamento significò un crescente posizionamento della teoria elaborata nella nuova era.”. Si determinò, cioè, un passaggio dal marxismo-leninismo alle lotte postmaterialiste: la lotta di classe organizzata cedette ai nuovi movimenti sociali e, più tardi, all’attivismo identitario dei diritti individuali, razziali e sessuali. Uno scostamento enorme: le identità sono molteplici, sovrapposte, aspetti che integrano e compongono la personalità. Posso essere uomo, italiano, sessualmente normale, ateo o religioso, operaio o professionista, appartenente alla generazione boomer, di destra o di sinistra, appassionato di teatro e di cucina. Tutto insieme contemporaneamente, senza che nessun elemento della mia identità individuale sia in competizione o escluda gli altri. L’assolutizzazione ha condotto la sinistra a una frenesia identitaria che mina l’identità collettiva. La tesi, sviluppata dalla Nuova Destra, è presente anche in autori neomarxisti come Eric Hobsbawm e lo stesso Perry Anderson. Hobsbawm, autore del fortunato Il secolo breve, la espresse in un intervento del 1996 sulla prestigiosa New Left Review (Rivista della Nuova Sinistra). Lo storico britannico sosteneva che esiste “una tendenza molto comprensibile, ma pericolosa, ancor più nella misura in cui conquistare la maggioranza non equivale a conquistare le minoranze. Ci sono due ragioni pragmatiche per essere contrari alla politica identitaria: in condizioni normali, questa politica non mobilita praticamente mai più di una minoranza. L’altra ragione è che costringere le persone ad assumere un’identità, e una sola, le porta a dividersi tra loro e, quindi, a isolare le [varie] minoranze.” Niente di meno marxista. Le faticose conquiste di diritti sociali e politici furono rapidamente assorbite dal sistema capitalista che seppe riutilizzarle come elementi di legittimazione. Dopo l’integrazione popolare e nazionale i movimenti operai iniziarono a subire le conseguenze del successo. Il culmine della rivoluzione conduce al suo esaurimento, per Augusto del Noce. Ne Il suicidio della rivoluzione (1992) il pensatore torinese sostiene che: “il compimento della rivoluzione coincide con il suo suicidio. L’idea rivoluzionaria implica l’unità di due momenti: quello negativo, come svalutazione dell’ordine tradizionale dei valori, e quello politico, come instaurazione di un nuovo ordine. Il suicidio si verifica se, nel processo di realizzazione, i due momenti vengono scissi, e se devono necessariamente scindersi”. La società di massa si trasformò rapidamente in consumistica e permissiva. A misura di baizuo.

