Mission impossible
di Enrico Tomaselli - 23/10/2025
Fonte: Giubbe rosse
Secondo un recente documento del think tank della Rand Corporation, gli Stati Uniti devono occuparsi principalmente dell'emisfero occidentale - cioè in buona sostanza delle Americhe - e la recente 'guerra alla droga' avviata da Trump e Rubio è chiaramente da ascriversi a questo disegno strategico: riprendere il controllo ferreo, soprattutto del sub-continente latino-americano, dove negli ultimi anni l'influenza russa e cinese è cresciuta significativamente.
L'impresa, però, non è per niente facile. Anche se si può ascrivere come un successo la recente vittoria del candidato di centro-destra in Bolivia, che ha messo fine alla lunga stagione del MaS, è indubbio che è stato dovuto soprattutto al 'suicidio politico' del Movimento al Socialismo, che si è spaccato in lotte fratricide. Ma in generale il quadro non è dei migliori. Dei quattro paesi strategicamente più importanti - Brasile, Argentina, Messico e Venezuela - solo Buenos Aires è dalla parte di Washington, ma l'anarco-liberista Milei (uno dei presidenti più filoamericani e filosionisti della storia argentina) è uno che combina disastri, e occorre pompare valanghe di dollari per impedirne il tracollo. Brasilia, Caracas e Città del Messico, sia pure ciascuna a suo modo, non sono di certo assimilabili al modello gradito alla Casa Bianca. E se poi si aggiungono Cuba, Nicaragua e Colombia, ci si fa un quadro non particolarmente favorevole della situazione.
Dunque l'idea della 'guerra alla droga' di nixoniana memoria, non è altro che il pretestuoso cavallo di troia attraverso il quale gli USA contano di ripristinare la propria egemonia. E ovviamente il bersaglio principale non poteva che essere il Venezuela. Non perché abbia un ruolo chiave nel narcotraffico (anche il cosiddetto 'cartello del los soles' di cui blatera Trump è in realtà una vecchia creatura della CIA); il paese è infatti assolutamente marginale, sono semmai Messico e Colombia, come pure l'Ecuador, i centri del traffico di droga. Ma ovviamente il Venezuela ha ben altro: un governo socialista ed un mare di petrolio. Due ottime ragioni, dal punto di vista statunitense, per riprenderne il controllo.
La partita però non è per niente facile. Il pressing politico-militare USA non ha sinora sortito alcun effetto, se non quelli negativi. La Repubblica Bolivariana non mostra alcun segno di cedimento (ed ha appena firmato un accordo di cooperazione strategica con la Federazione Russa), ed i paesi sud-americani solidarizzano con Caracas (al punto che il presidente colombiano Petro, il più deciso in tal senso, è stato a sua volta accusato di essere un narcos come Maduro).
La faccenda sta ormai assumendo toni grotteschi. Da oltre un mese, un'intera flotta statunitense (*) staziona in vista delle coste del Venezuela, migliaia di marines sono imbarcati sulle navi, e l'aviazione USA continua ad effettuare voli provocatori; ma tutto questo si è tradotto nell'affondamento di 8 barche. Otto. Anche ammesso che fossero davvero tutte di narcotrafficanti, come afferma Washington senza fornire alcuna prova, è un po' come uccidere le zanzare con una calibro 45. In ogni caso, tutto questo spiegamento militare, ed i relativi costi, appaiono chiaramente sproporzionati all'affondamento di qualche barchetta, quindi o Washington deciderà di fare un passo ulteriore - con tutti i rischi che comporta - o dovrà mettere fine ingloriosamente alla missione. Un altro grande successo si profila all'orizzonte.
* Gruppo Anfibio (Amphibious Ready Group - ARG), composto da USS Iwo Jima (LHD-7), USS San Antonio (LPD-17), USS Fort Lauderdale (LPD-28). Quattro cacciatorpediniere Classe Arleigh Burke (Aegis): USS Gravely (DDG-107), USS Jason Dunham (DDG-109), USS Sampson (DDG-102), USS Stockdale (DDG-106). E inoltre, l'incrociatore lanciamissili (classe Ticonderoga) USS Lake Erie (CG-70), la nave da combattimento litoranea USS Wichita (LCS-13), la nave per operazioni speciali MV Ocean Trader, ed il sottomarino d'attacco a propulsione nucleare (SSN) USS Newport News.