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Civiltà del dialogo o civiltà del suicidio?

di Francesco Lamendola - 27/03/2019

Civiltà del dialogo o civiltà del suicidio?

Fonte: Accademia nuova Italia

Dialogo, dialogare, che belle parole: basta sentirle pronunciare e il cuore già si apre; sono come una musica, una carezza per l’anima. Socrate dialogava in palestra, occhieggiando i bei giovinetti sudati che facevano ginnastica, oppure lungo le rive verdeggianti dell’Ilisso; i peripatetici dialogavano, camminando all’ombra, lungo i vialetti del Liceo; la Filosofia dialoga con il povero Boezio, chiuso in carcere in attesa d’esser giustiziato; il maestro dialoga coi discepoli nelle facoltà teologiche, ascolta le loro obiezioni, risponde punto per punto, chiarisce ogni cosa; Salviati, Sagredo e Simplicio dialogano sui massimi sistemi del mondo e intanto fanno passare di soppiatto la rivoluzione copernicana, in barba al monito della santa Inquisizione a Galilei. Insomma, per duemilacinquecento anni è tutto un dialogare, un duettare, un cinguettare. Ma è soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale che si apre una riflessione specifica sulla civiltà moderna come civiltà del dialogo. Ed è curioso che a farsene teorico e massimo esponente sia stato Hans Georg Gadamer, il continuatore e il più illustre discepolo di Martin Heidegger, il quale, finito non per caso, ma in piena coscienza, nelle braccia del nazismo, diviene così, sia pure indirettamente, anche il padre putativo dell’ermeneutica e quindi il precursore della “civiltà del dialogo”. Sono le sorprese che si fanno quando ci si prende la briga di dare un’occhiata all’albero genealogico di certe idee. Sicché, quando si comincia a nutrire il sospetto, dopo settant’anni di lavaggio del cervello democratico, che nella democrazia moderna vi sia un’anima totalitaria, non bisognerebbe poi stupirsi troppo, dato che il suo padre nobile è stato un signore che all’epoca in cui era rettore dell’Università di Friburgo, nel 1933-34, denunciava alla polizia i suoi colleghi e studenti non allineati al nazismo (come il cattolico Max Müller, suo ex allievo, che perse la docenza) e collaborava volonterosamente alla cacciata degli ebrei, benché nel frattempo andasse a letto, lui sposato e padre di famiglia, con una giovane, bella e brillante studentessa ebrea, Hannah Arendt. Ma su ciò, ognuno è libero di pensarla come vuole e di trarre le conclusioni che crede. A noi preme cercar di capire come e perché sia nata l’idea che la civiltà modera deve qualificarsi come la civiltà del dialogo, e quali conseguenze pratiche la cosa ha avuto, e sta avendo, nei confronti della nostra Europa e anche nei confronti della religione che l’ha tenuta a battesimo, l’ha educata e resa adulta: il cristianesimo.

Come è noto, esiste una data di nascita precisa per l’ermeneutica, come nuova stagione della filosofia europea: il celebre paragrafo 32 di Essere e tempo di Heidegger (Sein und Zeit, prima edizione 1927), nel quale il mondo si rivela all’uomo essenzialmente come un mondo di segni, per cui il problema di come interpretare tutti questi segni diventa il problema fondamentale non solo del pensiero, ma dell’intera esistenza umana. Hans-Georg Gadamer, il discepolo di Heidegger, pone perciò l’uomo in primo luogo come essere storico e linguistico, cioè come inserito necessariamente nel tempo e nel linguaggio. Ne consegue che qualunque comprensione delle cose deve aver luogo all’interno del mondo della storia e del mondo del linguaggio, per cui chi comprende la storia e il linguaggio ha le chiavi per comprende il reale, e chi no, no. A ben guardare, la deriva teologica post-conciliare è, in nuce, tutta qui. Attraverso Karl Rahner, altro legittimo discepolo di Heidegger, questo modo di vedere è penetrato nel cuore della teologia e ha radicalmente modificato tutta l’impostazione della vita religiosa. Il fatto centrale, infatti, non è più la divina Rivelazione, ma il modo in cui l’uomo la comprende all’interno del proprio orizzonte storico e linguistico. Ed ecco spiegato per quale ragione Sosa Abascal, il generale dei gesuiti, dice che non si sa cosa disse realmente Gesù, perché, a parte la facezia del registratore (vogliamo almeno sperare che sia stata una facezia, per quanto sciocca e irriverente; se fosse da prendere come argomentazione seria, non sapremmo più che dire), Gesù parlava sempre in un ambiente preciso, a un pubblico definito: le sue parole, anche se fossero fedelmente tramandate dai Vangeli, sarebbero comunque da interpretare, perché bisogna vedere cosa intendeva dire davvero, in quel luogo e in quel tempo.

Anche l’affermazione di Heidegger che il linguaggio è la casa dell’essere conduce nella stessa direzione. A parte la scarsa precisione, e quindi la scarsa serietà scientifica, della definizione (a nostro avviso, o si fa filosofia o si fa poesia; e se un genio come Nietzsche può permettersi di fare filosofia poetando, un pensatore meno geniale, ma brillante, come Heidegger, usa la poesia per nascondere le oscurità del suo pensiero dietro una patina scintillante), resta il fatto che se è così, allora noi non possiamo conoscere l’essere se non attraverso il linguaggio, il che è come dire che non lo possiamo conoscere in se stesso: proprio come, per Kant, noi possiamo conoscere i fenomeni, ma non le cose in se stesse. Fatta la tara, dunque, ai voli poetici heideggeriani, che mascherano la mancanza di rigore dietro immagini fascinose e cariche di pathos, resta che noi non possiamo giungere all’essere, ma solo alla narrazione dell’essere: l’essere si riduce a un fatto ermeneutico, cioè di linguaggio, ma cosa sia in se stesso, non si sa; e allora ha ragione anche Wittgenstein quando afferma, sibillinamente ma non troppo, che bisogna tacere quello che non si può dire. Dall’ontologia all’analisi del linguaggio, dalla metafisica all’ermeneutica: il pensiero non è più chiamato a pensare le cose in se stesse, ma i nomi coi quali descriviamo le cose (il nome della Rosa!). A questa impostazione non sfugge nemmeno la domanda sul nostro essere. Se ci chiediamo chi siamo noi, possiamo solo rispondere con dei dati esteriori, quelli indicati sui documenti di identità, e con l’elenco dei nostri pensieri, stati d’animo, desideri, eccetera: ma chi siano noi alla fine, chi siamo noi in quanto essenze, non possiamo dirlo, perché nessuno lo sa. E questo, che gli ammiratori di Heidegger presentano come un’acquisizione decisiva del pensiero del loro maestro, non è neppure particolarmente originale: lo avevano già detto, e meglio, Bergson e tutti i vitalisti, Nietzsche compreso, i quali riducono l’io a un flusso vitale indistinto, a uno scorrere incessante di pensieri, ricordi, associazioni mentali d’ogni genere.

Ma i filosofi dell’ermeneutica si sono spinti oltre, e hanno identificato l’essere con la stessa ermeneutica, portando la relativizzazione dell’essere al grado zero: una volta che l’essere si identifica con il linguaggio, viene a coincidere con il gioco incessante delle domande e delle risposte che intercorrono fra l’uomo e il suo linguaggio. Nasce da qui la pretesa di porre la civiltà contemporanea come la civiltà del dialogo per eccellenza: dalla strategia, cioè, di fare della questione della verità una questione di esperienza. La verità, nella prospettiva ermeneutica, non è più un dato oggettivo, come per la filosofia classica: adaequatio rei et intellectus, bensì un processo, instabile e mutevole, storicamente e linguisticamente determinato, mediante il quale l’uomo fa esperienza delle cose, ne è trasformato e diviene, a causa di tale contatto, diverso da ciò che era prima. Anche qui, nulla di particolarmente originale: è la triade di tesi, antitesi e sintesi, di hegeliana memoria. Era possibile fermarsi qui, ma Gadamer ha voluto andare sino in fondo alle possibilità insite in questo concetto, e definire la verità come una verità dialogica, cioè come il risultato dell’incontro, e ovviamente del dialogo, fra me e la mia verità, con l’altro e la sua verità. Che bello: così tutti hanno la loro verità; tutti sono rispettati e rispettabili; e la verità come verità oggettiva e assoluta, sparisce per sempre, anzi, viene archiviata, con una nota di biasimo, nel magazzino delle cose che non solo son diventate inutili, ma che hanno anche procurato dei notevoli fastidi, quando andavano per la maggiore. Noi, però, siamo immensamente fortunati, perché gli dèi benevoli han voluto risparmiarci questa somma sciagura: ci capita di vivere al tempo in cui non c’è quasi più un solo filosofo che parli ancora della verità come un assoluto: l’ultimo era Robert Spaemann, morto a novantun anni il 10 dicembre 2018, il quale, guarda caso, è stato un filosofo cattolico, ma non alla Karl Rahner, bensì alla san Tommaso d’Aquino. Ora parlano tutti, al massimo, della coerenza logica del linguaggio, dei significati dell’ermeneutica: ed ecco sedere in trono, sull’Olimpo dei pensatori, dei pensatori lillipuziani come Umberto Eco, il quale, in quanto re della semiologia, è stato considerato, per forza di cose, anche imperatore dell’ermeneutica. Ed è in queste idee, in questa concatenazione di premesse discutibili e di conclusioni ancor più dubbie, che germoglia l’albero del dialogo, il quale è talmente cresciuto nel giardino della teologia, da soffocare tutte le altre piante e da imporsi come il solo, il vero, insomma come il nuovo Albero del Bene e del Male. Se la civiltà moderna si caratterizza come la civiltà del dialogo, come potrebbe il cattolicesimo adulto e aggiornato non porsi come la religione del dialogo? Peccato solo che, a forza di dialogare con questo e con quello, si è dimenticato che cosa sia. Ma anche questo, in effetti, era logico che avvenisse: se l’essere è, in definitiva, nient’altro che la manifestazione del linguaggio, allora come non trarre la conclusione che il vero cristianesimo è dialogo: dialogo con tutti, ma soprattutto dialogo con l’altro, dialogo col diverso, e quindi col non cattolico e col non cristiano? Il falso ecumenismo e il falso dialogo interreligioso, i frutti più velenosi del Concilio Vaticano II, dovuti, a loro volta, al falso principio della libertà religiosa, hanno qui la loro base teorica.

Ci sia permesso riportare poche righe a proposito dell’ermeneutica di Gadamer, tratte dal manuale di Domenico Massaro La meraviglia delle idee (Torino, Paravia, 2015, vol. 3, p. 610):

 

La verità che viene a configurarsi (…) è essenzialmente una verità dialogica, che implica l’incontro con il “diverso”: l’interpretazione non è mai soltanto “mia”, ma sempre anche interpretazione di “altri”, perché io, come i miei interlocutori, sono un soggetto storico, un soggetto situato, insieme a loro, nella medesima apertura linguistica. Si tratta di un dialogo in cui il mio patrimonio culturale si confronta con quello dell’”altro”, inteso come testo, come evento passato, o anche come “straniero”, nel senso di appartenente a un’altra civiltà: l’importante è rendersi aperti a tale “alterità”, dimostrandosi pronti a rivedere, modificare o approfondire il proprio punto di vista.

In tale prospettiva l’ermeneutica, oltre a rappresentare un’importante teoria della conoscenza, si configura come progetto etico: la sua idea di fondo, per cui il linguaggio è il terreno d’incontro con le cose e con gli altri, è anche presupposto per una civiltà del dialogo, della comprensione e della tolleranza, in base alla quale l’altro è riconosciuto come “simile”, ma rispettato nei suoi aspetti di diversità.

 

Molte di queste espressioni non hanno forse un suono familiare? L’importante è rendersi aperti a tale “alterità”, dimostrandosi pronti a rivedere, modificare o approfondire il proprio punto di vista: non ci ricorda forse qualcosa, o qualcuno? A noi ricorda la neochiesa, e specialmente la svolta conciliare: rivedere, modificare, approfondire, non sono i concetti-chiave del Concilio, adoperati come grimaldelli per scardinare e sovvertire duemila anni di dottrina e di Magistero? Ci vorrà qualche anno, diceva impudentemente Karl Rahner, ma alla fine la Chiesa cattolica sarà la chiesa del concilio. E ha avuto ragione, almeno quanto alle strutture esteriori e gerarchiche di essa. Progetto etico, civiltà del dialogo, della comprensione e della tolleranza: e queste espressioni, cosa ci ricordano? Non ricordano la pastorale dei Bassetti, dei Paglia, dei Galantino, dei Bergoglio? Non fanno pensare al documento di Abu Dhabi, sottoscritto dal signore argentino e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahamad al-Tayyb, il 4 febbraio 2019, nel quale si dice che Dio, nella sua saggezza, ha voluto l‘esistenza delle diverse religiosi, evidentemente perché dialoghino e si arricchiscano a vicenda, favorendo la pace universale? Ed ecco che il cerchio si chiude: partendo dalla riduzione dell’essere alle funzioni del linguaggio, da parte di un filosofo nazista, si arriva alla fratellanza massonica che stringe in un vincolo zuccheroso e filantropico la chiesa cattolica e i suoi secolari e mai rassegnati nemici; e contemporaneamente, si fornisce la base ideologica per l’invasione islamica e africana dell’Europa, presentata come una ricerca di dialogo e di confronto col diverso, che però è anche simile. E poi, come suona bene: civiltà del dialogo! Peccato che questi neocattolici dialoganti e modernisti abbiano voglia di dialogare con tutti, ma proprio con tutti, tranne che coi loro confratelli i quali non capiscono perché questo dialogo debba prendere le mosse da una spietata auto-censura, da una continua mortificazione e negazione di sé, da un fardello di sensi di colpa per cui l’Europa e la Chiesa cattolica, e loro soltanto, devono chiedere scusa all’universo mondo per le loro colpe, passate e presenti, liturgia dalla quale sono dispensati tutti gli altri interlocutori del cosiddetto dialogo. Sorge perciò il sospetto, più che fondato, che dietro l’espressione “dialogo” si celi un’insidia; che questo concetto sia usato surrettiziamente, al vero scopo, non confessato, di distruggere il senso della propria appartenenza e della propria identità, per essere completante sostituiti dai “diversi”, invitati a prendere fisicamente il posto degli europei e dei cattolici in via di estinzione. Estinzione voluta, programmata, diretta dall’alto. E se il nome di Heidegger non basta a lumeggiare i retroscena di tale operazione, che dire di questo: Richard von Coudenhove-Kalergi?...