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Condannato Dundar, scoprì l’«autostrada del jihad»

di Alberto Negri - 24/12/2020

Condannato Dundar, scoprì l’«autostrada del jihad»

Fonte: Il Manifesto

La Turchia di Erdogan, membro della Nato, riforniva di armi Al Qaida e l’Isis: gli Usa lo sapevano perfettamente, come pure i servizi occidentali e delle monarchie del Golfo che partecipavano alla destabilizzazione del regime siriano. Condannato a 27 anni il giornalista Dundar che pubblicò le prove.
Fu lui a scoprire le prove, incontrovertibili, sull’«autostrada del jihad». Can Dundar, ex direttore di Cumhuriyet condannato ieri in Turchia a oltre 27 anni di carcere e ora in esilio in Germania, fu il giornalista che nel 2015 pubblicò le immagini di mezzi dell’intelligence di Ankara che attraversavano il confine con la Siria per rifornire di armi i combattenti islamisti. Che erano impegnati nella guerra civile contro Bashar al-Assad. impegnati nella guerra civile contro Bashar al-Assad.
La Turchia di Erdogan, membro della Nato, riforniva Al Qaida, l’Isis e altri gruppi radicali: gli americani lo sapevano perfettamente, come pure i servizi dell’intelligence occidentale e delle monarchie del Golfo che partecipavano alla destabilizzazione del regime siriano. Non solo. La Turchia ha continuato a sostenere i jihadisti nella provincia siriana di Idlib, a usarli contro il curdi del Rojava, quando gli americani nel 2019 si sono ritirati lasciando i loro alleati contro il Califfato al massacro delle truppe filo-turche. Sono gli stessi jihadisti che Erdogan ha lanciato in Libia per appoggiare il «nostro» governo di Tripoli sotto assedio del generale Haftar e che poi sono stati inviati in Nagorno-Karabakh per aiutare l’offensiva azera contro gli armeni.
L’autostrada del jihad ha tante diramazioni, almeno quanti sono gli interessi della geopolitica di Erdogan: ma dalle nostre parti si fa finta di niente anche perché in Libia siamo ospiti del Sultano turco che già deve essere assai irritato dall’inchino del nostro governo a Haftar per liberare i pescatori di Mazara del Vallo.
Il tribunale di Istanbul ha condannato Dundar per spionaggio e per aver sostenuto nel 2016 il fallito golpe attribuito all’Imam Gulen: si tratta delle accuse consuete con cui il regime toglie di mezzo giornalisti scomodi, intellettuali e parlamentari delle opposizioni. Tanto è vero che la condanna di Dundar è stata preceduta da un’altra, il 21 dicembre, del tribunale di Diyarbakir, contro l’ex deputata del partito filo-curdo Hdp, Leyla Guven, che dovrà scontare 22 anni di prigione per «associazione con un’organizzazione terroristica armata» e «propaganda terroristica».
È la solita farsa: in queste ore la Corte di Strasburgo ha ordinato alla Turchia la liberazione del leader curdo dell’Hdp Selahattin Demirtas, in carcere da 4 anni, riscontrando la violazione dei suoi diritti. I giudici europei hanno stabilito che la sua detenzione è destituita da ogni fondamento. La «colpa» di Dundar è stata quella di aver svelato le forniture di armi all’Isis nella guerra contro Assad. Un segreto di Pulcinella, dal momento che decine di migliaia di jihadisti di tutto il mondo raggiungevano comodamente la Siria e l’Iraq passando dagli aeroporti turchi, come pure l’Isis vendeva il petrolio necessario ad alimentare la sua macchina da guerra proprio attraverso la Turchia.
Fu Khaled Meshal, capo di Hamas e allora in esilio a Damasco (e poi in Qatar), a convincere nel 2011 il ministro degli esteri turco Davutoglu e lo stesso Erdogan che la rivolta contro Assad avrebbe avuto successo. Fu allora che si progettò di aprire l’«autostrada del Jihad» dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.
Tutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi come Dundar, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a Homeland Security l’«ambasciatore» del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013. «Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato».
L’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo, obiettivo perduto con l’intervento di Russia e Iran. E quando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi, ha ottenuto in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq. «La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia». Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceva i finanziamenti direttamente dal Qatar.
È questa la storia che Dundar ha raccontato per primo all’opinione pubblica turca e che continua a dare fastidio e non solo alla Turchia di Erdogan.