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Conflitto in Ucraina: quale pace è possibile?

di Stefano Vernole - 08/07/2025

Conflitto in Ucraina: quale pace è possibile?

Fonte: Faro di Roma

Nelle scorse settimane abbiamo assistito ad un’accelerazione significativa nell’agenda diplomatica internazionale riguardante il conflitto in Ucraina.
Il 27 giugno Vladimir Putin ha annunciato la disponibilità della Russia a partecipare ad un terzo “giro” di colloqui con l’Ucraina che potrebbero tenersi nuovamente a Istanbul. Il Presidente russo ha espresso l’auspicio che il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan continui a svolgere un ruolo attivo nel processo negoziale. Durante il terzo round, ha spiegato Putin, “verranno esaminati i rispettivi memorandum proposti dalle due parti come base per una possibile soluzione pacifica del conflitto, anche se ha ammesso che le posizioni restano per ora parecchio divergenti”.

Il Presidente russo ha poi criticato l’impegno della Nato ad aumentare la spesa militare fino al 5% del PIL, definendo tale intenzione “un chiaro segnale di aggressività da parte dell’Occidente”, come ammesso esplicitamente dalla stessa NATO: “Uniti di fronte alle profonde minacce e sfide per la sicurezza, in particolare alla minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la sicurezza euro-atlantica e alla persistente minaccia del terrorismo, gli Alleati si impegnano a investire il 5% del PIL all’anno in requisiti di difesa fondamentali, nonché in spese relative alla difesa e alla sicurezza, entro il 2035, per garantire i nostri obblighi individuali e collettivi, in conformità con l’articolo 3 del Trattato di Washington … Gli Alleati riaffermano il loro impegno sovrano duraturo a fornire supporto all’Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra, e, a tal fine, includeranno i contributi diretti alla difesa dell’Ucraina e alla sua industria della difesa nel calcolo della spesa per la difesa degli Alleati”.

Va ricordato che il 17 febbraio 2025, con l’inaugurazione del Centro Congiunto di Analisi, Formazione e Istruzione (JATEC) a Bydgoszcz, in Polonia, è stata raggiunta una pietra miliare storica nella cooperazione NATO-Ucraina. JATEC sfrutta l’esperienza in tempo reale acquisita durante il conflitto in Ucraina per orientare la pianificazione della difesa della NATO; il Centro è un’entità congiunta NATO-Ucraina, direttamente subordinata al Comandante Supremo Alleato per la Trasformazione, Ammiraglio Pierre Vandier, e guidata dal Generale di Brigata polacco, Wojciech Ozga. Con personale ucraino integrato nella sua struttura, il JATEC coniuga l’esperienza strategica della NATO con quella in prima linea delle truppe di Kiev, ed è il primo centro dell’Alleanza Atlantica esplicitamente dedicato a identificare e applicare gli insegnamenti tratti dalla guerra in Ucraina, abbracciando sia la dimensione militare che quella civile. Le lezioni apprese saranno integrate nelle esercitazioni militari del Joint Warfare Center e del Joint Force Training Centre. Il Centro inizierà a lavorare sull’interoperabilità dell’Ucraina con la NATO, sulla protezione delle infrastrutture civili e “sulla difesa contro le armi che la Russia ha impiegato con successo durante la guerra”, come le munizioni vaganti Lancet e le bombe plananti, ha affermato il contrammiraglio Placido Torresi.

Successivamente, sia il Presidente francese Emmanuel Macron che il Presidente statunitense Donald Trump hanno intrattenuto colloqui telefonici con Vladimir Putin ma, stando a quanto trapelato sulla stampa, senza raggiungere risultati tangibili.
La Russia, ricordando le responsabilità occidentali nell’inizio della SMO e che una soluzione pacifica potrà essere raggiunta soltanto eliminando le cause del conflitto, ha ribadito il principio del riconoscimento della realtà determinatasi sul terreno militare. I Paesi occidentali, U.S.A. compresi, nicchiano ancora su questo punto e chiedono a Mosca un improbabile ritiro dai territori conquistati sul campo di battaglia, richiamandosi a quei principi del diritto internazionale che anche recentemente – vedasi aggressione militare USA-Israele all’Iran – hanno dimostrato di non tenere in minima considerazione quando si tratta di raggiungere i propri obiettivi geopolitici.

Ma senza scomodare il lungo elenco delle violazioni commesse da Washington e Tel Aviv, è sufficiente ricordare due “precedenti” storici che potrebbero attanagliarsi al caso ucraino.
Il primo riguarda la guerra condotta dalla NATO contro la Federazione Jugoslava di Serbia-Montenegro nel 1999; settantotto giorni di bombardamenti dal cielo e di utilizzo della forza mercenaria albanese UCK via terra senza alcuna legittimazione giuridica. Terminato il conflitto grazie agli Accordi di Kumanovo, venne approvata la risoluzione 1244 dell’ONU, con la quale il Kosovo e Metohija passava sotto amministrazione internazionale e la NATO stabiliva la presenza della KFOR “per il mantenimento della pace”. In pratica, le Nazioni Unite “legittimavano” soltanto dopo la fine dell’aggressione atlantica alcune delle richieste che gli Stati Uniti avevano posto a Belgrado prima dell’inizio del conflitto per evitare l’attacco: cioè l’occupazione permanente di una parte del loro territorio, con l’obiettivo di favorire la secessione del Kosovo e Metohija dalla Serbia grazie all’illegittimo referendum del 2008.

Il secondo concerne l’aggressione angloamericana all’Iraq, con partecipazione ucraina, del 2003, anch’essa condotta senza alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Anche in questo caso, soltanto dopo la fine dei bombardamenti statunitensi, la Risoluzione 1483 riconosceva Stati Uniti e Regno Unito come potenze occupanti e invitava alla collaborazione internazionale per la stabilizzazione, mentre la Risoluzione 1511 gettava le basi per la ricostruzione politica ed economica dell’Iraq e il mantenimento della sicurezza, con il coinvolgimento delle Nazioni Unite.

Cosa successe in sostanza? Che le Nazioni Unite, sotto la spinta diplomatica degli Stati Uniti, riconobbero la realtà militare determinatasi sul terreno e cioè esattamente quanto richiesto dalla Russia oggi, alla luce del fallimento di quegli Accordi di Istanbul del 2022 che avrebbero potuto evitare un lungo conflitto se gli Occidentali, inglesi e statunitensi in primis, non li avessero sabotati.

L’Unione Europea, la NATO e gli Stati Uniti, le cui differenze aldilà della retorica è difficile notare, fanno finta di non vedere cosa sta succedendo ma i fatti hanno la testa “dura”.
Da un punto di vista militare, lo stesso capo dell’intelligence militare di Kiev, ha riconosciuto in una recente intervista televisiva al programma “Sulla linea del fuoco”, che una parte del territorio ucraino è irrimediabilmente perduta e che se il conflitto si prolunga la situazione non potrà che peggiorare: “Là dove giungeranno le truppe russe, questo sarà sotto il loro controllo. Pensate che qualcuno non lo comprenda? Io spero che tutti lo capiscano”.

La situazione non va degradandosi irrimediabilmente solo sul piano militare ma anche nell’ambito civile: nel giugno di quest’anno, il tasso di disoccupazione in Ucraina ha raggiunto il 12% e la percentuale di popolazione in povertà ha superato il 25%, senza contare i milioni di profughi sparsi per l’Europa. Questo aspetto, naturalmente, non interessa alle lobby atlantiste che sponsorizzano il conflitto da ben prima dell’inizio dell’Operazione Militare Speciale il 24 febbraio 2022.

L’Osservatorio CPI (l’osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano diretto dal “sistemico” Carlo Cottarelli) ha ricordato pochi mesi fa che nel 2024 la spesa militare europea eccedeva quella russa del 58%; qualsiasi piano di riarmo europeo, perciò, non servirà assolutamente alla difesa continentale da un inesistente “pericolo russo” ma soltanto andrà a vantaggio delle grandi fabbriche di armi. Ebbene, le cinque fabbriche di armi più grandi al mondo sono tutte statunitensi: Lockheed Martin, Raytheon Technologies, Boeing, Northrop Grumman Corporation, General Dynamics. Ciò significa che il piano di riamo europeo andrà a “gonfiare” i profitti delle grandi compagnie multinazionali statunitensi, mentre Trump – conscio ormai dell’impossibilità di sconfiggere la Russia in Ucraina – otterrà comunque l’obiettivo di mantenere impegnata Mosca a spese degli europei, traendone anche profitto commerciale, risparmiando risorse e guadagnando libertà di movimento contro l’Iran e la Cina.

Per la popolazione del Vecchio Continente, al contrario, nessun guadagno reale, anzi. Nessun Paese ha fatto passi in avanti per la costruzione di un esercito europeo, ipotizzando un suo riarmo massiccio che, ovviamente, al di là degli slogan sull’autonomia strategica dagli Stati Uniti, è solo un libro dei sogni in quanto ne mancano le basi politiche, industriali, sociali e culturali. Per l’Italia, in particolare, con il debito pubblico più alto d’Europa, con una crescita economica bassa e un welfare debole, con una produzione industriale che decresce da due anni consecutivi, con il riarmo sarebbe costretta a tagliare investimenti sulla scuola e sull’università, sulla previdenza e sull’assistenza sanitaria, aprendo una pericolosa spaccatura tra classi subalterne al potere politico e quelle meno abbienti.

Per raggiungere l’obiettivo del 3,5% del Pil per le spese militari, l’Italia dovrà investire circa 6-7 miliardi di euro in più ogni anno, per i prossimi dieci anni, fino a triplicare l’investimento attuale, passando così dai 35,3 miliardi di euro del 2025 ai 101,8 del 2035: un vero e proprio flagello sui conti pubblici, le cui conseguenze sono facilmente prevedibili.
Ma oltre al danno, per gli europei arriva anche la beffa. Mentre stanno disperatamente tentando di varare il diciottesimo pacchetto di sanzioni alla Russia – ostacolato solo da Viktor Orban e da Robert Fico che difendono i propri interessi nazionali in tema di sicurezza energetica – il Governo degli Stati Uniti ha autorizzato le banche russe a partecipare al completamento della centrale nucleare di Paks in Ungheria, secondo una licenza del 27 giugno 2025 rilasciata dall’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Secondo la licenza, Gazprombank, Sberbank, VTB, VEB, Sovcombank, Otkritie Bank, Alfa Bank, Rosbank, nonché Zenit e Bank St. Petersburg, possono partecipare fino al 19 dicembre 2025 alle transazioni finanziarie relative al completamento dell’impianto Paks. La licenza copre anche le compagnie assicurative associate a queste banche e al National Clearing Center russo.

A seguito della mossa dell’Amministrazione statunitense, Rosatom, la società statale russa per l’energia nucleare, ha dichiarato che per la prima volta gli Stati Uniti avevano autorizzato i pagamenti per l’impianto di Paks tramite entità sanzionate. Ciò, fondamentalmente, consente alla Rosatom di mettere un piede anche nel futuro mercato unico dell’elettricità europeo, mettendo in chiaro imbarazzo la strategia energetica della UE.

Purtroppo, l’Unione Europea, Germania in testa, si trova sotto il dominio di un’egemonia istituzionalizzata, che opera attraverso quella che Gramsci chiamava la “leadership culturale” di una classe dirigente. Mentre Gramsci analizzava le élite nazionali in rapporto ai loro concittadini, ora ci troviamo di fronte ad una casta transnazionale: politici tedeschi come Jakob Schrot, Lars Klingbeil (co-leader della SPD, vicecancelliere e ministro delle Finanze, ha affermato che affinché la Germania sia “pronta alla guerra”, la Bundeswehr dovrebbe essere più attraente per i potenziali coscritti, ad esempio offrendo la possibilità di ottenere gratuitamente la patente di guida dal Governo federale), tecnocrati olandesi come Rutte (che ha definito “papà” Trump durante il vertice NATO che sancisce il 5% della spesa per la difesa) ed eurocrati francesi le cui biografie, istruzione e incentivi di carriera sono in linea non con i loro cittadini, ma con gli imperativi di mantenere vivo il progetto di unipolarismo statunitense.

Le azioni di queste élite sullo scacchiere geopolitico non sono solo irrazionali: impiantate con il denaro ai vertici governativi, esse rimangono semplicemente fedeli a un gruppo di riferimento diverso.
Questo spiega perché la screditata Ursula Von der Leyen continui ad insistere per una “strategia di logoramento” che secondo le sue previsioni causerebbe il fallimento della Russia e una rivolta politico-sociale al Cremlino.

In realtà, il Fondo Monetario Internazionale con sede a Washington, ha rivisto leggermente al rialzo (di 0,1 punti) il Pil della Russia, portandolo nel 2025 a +1,5%, e allo 0,9% nel 2026; certo meno rispetto al 2024 ma si tratta di un rallentamento dovuto alla necessità di calmierare l’inflazione e che non mette minimamente in discussione le solide basi dell’economia di Mosca: nel giugno di quest’anno le riserve internazionali russe, pari a 687,3 miliardi di dollari, hanno raggiunto un nuovo record e giocano un ruolo essenziale nel mantenimento della stabilità finanziaria del Paese.
Al contrario, le previsioni sono pessime per l’Italia, la cui crescita 2025 è ora indicata allo 0,4% (contro uno 0,7% ipotizzato a gennaio), al di sotto delle stime del Governo di Roma; crescita 0% (zero) per Germania e solo 0,6% per la Francia. Unica eccezione la Spagna: le sue previsioni sono state alzate al 2,5% nel 2025 (+ 0,2%), e, casualmente, si tratta del solo Paese europeo ad aver rifiutato l’innalzamento al 5% del PIL delle spese per la NATO.

Inoltre, se diamo retta al giornalista irlandese Brian McDonald che risiede in Russia da diverso tempo, anche la popolazione sembra aver accettato di buon grado le sanzioni euroatlantiche: “Tutto ciò non significa che la capitale russa non sia cambiata. Lo è, in piccole cose, e alcune non così piccole. Ha ancora un’atmosfera inconfondibilmente europea. Ma è un’Europa fuori dall’UE, che orbita per conto proprio. Molti nomi famosi se ne sono andati. Niente McDonald’s, niente IKEA, niente Zara. Al loro posto, versioni russe, concorrenti cinesi e nuovi arrivati ​​locali che ne imitano l’estetica, se non il prezzo. Eppure Burger King continua a grigliare e KFC è tornato a essere Rostic’s. Starbucks sopravvive in tutto tranne che nel nome, come Stars Coffee.

Il capitalismo non se n’è andato. Ha cambiato abito. Nelle vie principali, marchi turchi e cinesi hanno colmato le lacune. Molti nomi del lusso occidentale persistono ancora – Lacoste, Armani, Saint Laurent – ​​ma oggi condividono lo spazio con marchi che pochi stranieri riconoscerebbero. I profumi di lusso sono facili da trovare. Anche gli iPhone. Anzi, a volte sono più economici qui che nell’UE. I pub sono affollati. La Guinness è un lusso a 950 rubli (12 dollari), quindi la gente beve stout locali come la Black Sheep di San Pietroburgo, a meno della metà del prezzo. I baristi dichiarano di guadagnare circa 150.000 rubli al mese con le mance. Sono circa 1.800 dollari, e a Mosca la cifra è sorprendentemente alta. L’affitto è ancora modesto e un biglietto della metropolitana costa 0,85 dollari. I viaggi mensili illimitati costano 40 dollari. Tre volte più economico che a Berlino. Gli chef si lamentano dell’inflazione, ma il personale di cucina continua a presentarsi e gli stipendi stanno aumentando.

A differenza di gran parte dell’Europa, gli stipendi qui non sono rimasti fermi negli ultimi anni. Il vero cambiamento è umano. Migranti e turisti sono diversi. Gli americani se ne sono andati. Così come i tedeschi. I pub irlandesi che un tempo risuonavano di inglese ora ospitano principalmente russi. Per strada si sente più arabo, persiano e cinese. Mosca sembra più un Sud del mondo che un Occidente del mondo. La cucina racconta la stessa storia. Dieci anni fa, il cibo indiano decente era una rarità. Ora è ovunque: di lusso sulla Tverskaya, o in quelli più economici in periferia. Non solo per gli espatriati. Anche i russi mangiano lì, curiosi e sempre più cosmopoliti nei loro gusti. Politica? Quasi un sussurro. Un tempo d’estate portavano proteste intorno a Trubnaya. Spesso frequentato più da giornalisti occidentali che russi. Ora, silenzio. L’opposizione liberale è in silenzio, all’estero, o timorosa di mostrare la testa.

Il vuoto politico non è gravato da una minaccia. Sembra solo assente. Mosca continua a muoversi, con o senza dramma … Il mondo digitale riflette il nuovo orientamento della città. Mentre i media occidentali come la CNN e il Guardian non sono bloccati e sono ancora accessibili direttamente, altri richiedono una VPN. Lo stesso vale per Instagram, X e YouTube. Questo, tuttavia, suscita un’alzata di spalle da parte della maggior parte dei moscoviti. Dopotutto, è stata l’UE a bloccare per prima i media russi per i propri cittadini, come ricordano. In questo nuovo mondo diviso, le restrizioni reciproche sono solo parte del gioco … Pochi piangono i “distaccati”, come vengono chiamati con disprezzo. Tra coloro che sono rimasti, sono visti come dei rinunciatari – degli idioti presuntuosi che hanno abbandonato la nave e ora scherniscono dalla riva. Nel frattempo, un piccolo gruppo di rimpatriati, in particolare giovani uomini di quella fascia demografica, ha iniziato a ricomparire …

La vita scorre. Le sanzioni avrebbero dovuto isolare. Invece, hanno sottolineato una verità: questa città, con tutte le sue contraddizioni e i suoi fermenti, sta andando per la sua strada. Nessuna fanfara, nessun tormento, poca introspezione. Solo lavoro da fare, soldi da guadagnare, bollette da pagare, sogni da inseguire e tanto da seppellire. Passeggiare per Mosca oggi significa incontrare una capitale che non cerca più l’approvazione dell’Occidente e che potrebbe anche non sentirne la mancanza”.
Nonostante i dati forniti dallo statunitense Institute for the Study of War – “bibbia” dei filo-ucraini italiani – testimonino l’aumento esponenziale del numero di attacchi russi sull’Ucraina tra gennaio e giugno 2025 – segno della crescita e non della diminuzione della forza del complesso industriale-militare di Mosca – la NATO non sembra disposta al compromesso. Lo scorso 2 luglio, il Ministro della Difesa Lettone ha annunciato l’adesione di Ankara all’alleanza internazionale che fornisce droni e tecnologie associate a Kiev; questa coalizione raggruppa circa 20 Paesi e il bilancio previsto per il 2025 è pari 2,75 miliardi di euro, di cui 180 milioni di euro già versati in un fondo centralizzato coordinato da Londra.
Eppure proprio a Istanbul, secondo quanto auspicato dallo stesso Putin, potrebbero svolgersi i futuri colloqui di risoluzione pacifica della questione ucraina; se così non fosse, per l’Europa e la NATO potrebbe aprirsi la strada verso l’inferno. Se le provocazioni “radicali” come l’operazione “spiderweb” – che mettono a forte rischio la strategia di deterrenza nucleare russa – dovessero proseguire, questa volta la risposta di Mosca potrebbe anche essere di carattere “atomico” e si rimpiangerebbe amaramente il non aver ascoltato la “voce della ragione” quando era ancora possibile farlo. Ma anche senza giungere a soluzioni estreme, se la Russia fosse costretta a combattere fino al crollo del fronte militare ucraino, allora le perdite geopolitiche non sarebbero solo quelle territoriali; se a Kiev dovesse ripetersi quanto successo a Kabul il 15 agosto 2021, il danno alla credibilità dell’Occidente diverrebbe irreversibile e a quel punto per Bruxelles suonerebbero definitivamente le “campane a morto”, come paventato dal neocons Robert Kagan pochi mesi fa su “Foreign Affairs”.
Fermarsi ora, prima che sia troppo tardi, conviene a tutti.
Lo hanno ribadito anche i diversi ospiti illustri al convegno che “Theory Magazine” ha organizzato presso l’Istanbul Water Theatre il 6 luglio 2025. Il Contrammiraglio in pensione Deniz Kutluk ha sottolineato che Zelensky e i suoi sostenitori europei stanno vivendo un sogno, mentre il tempo ora gioca a favore dell’Ucraina. L’Europa non ha la forza militare od economica per proteggere completamente l’Ucraina e d’altronde la Russia non vuole occupare la parte occidentale del Paese, perché i suoi confini con gli Stati membri della NATO si allargherebbero. La Turchia ha grandi interessi con la Russia e l’Ucraina separatamente, quindi vuole mantenere l’equilibrio delle attuali relazioni; allo stesso tempo, Ankara non vuole la NATO nel Mar Nero.

Il Colonnello in pensione dell’Aeronautica Militare turca, Ihsan Sefa, ritiene che il principale vincitore di questa guerra siano gli Stati Uniti, anche se i russi hanno occupato importanti territori. Gli USA hanno rilanciato la NATO che si trovava in rovina e l’industria della difesa statunitense, firmando contratti per vendere armi all’Europa fino a 120 miliardi di dollari. Washington ha venduto il suo gas di scisto agli europei anche se è cinque volte più costoso di quello russo, Trump ha “sequestrato” preziose materie prime all’Ucraina con accordi capestro e quando Zelensky non sarà in grado di soddisfarli metterà fine alla guerra.
Tevfik Kadan, caporedattore di Aydınlık, aggiunge di non credere che la guerra finirà completamente: sia la Russia che la NATO non vogliono interrompere la rispettiva politica di contenimento. Aydınlık ha pubblicato documenti secondo i quali l’intelligence ucraina sta conducendo attività contro la Turchia: “I servizi segreti di Kiev stanno nascondendo all’Agenzia Nucleare Internazionale la notizia della fuga di materiale radioattivo da un reattore nucleare in Ucraina. Il popolo ucraino è davvero laborioso e produttivo ma non merita questa amministrazione”.