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Considerazioni sulle elezioni in Emilia Romagna: nulla di nuovo dalla contea Hobbit

di Alessandro Cavazza - 28/01/2020

Considerazioni sulle elezioni in Emilia Romagna: nulla di nuovo dalla contea Hobbit

Fonte: Il Paradigma

BONACCINI UN “POPULISTA DI CENTROSINISTRA”? E COLPA DI SULEIMANI!

 Escludendo il giornalismo ufficiale che ormai andrebbe profiquamente interpretato solo in quanto ufficio stampa del potere, è altresì un fenomeno recente quello dell’analisi a caldissimo di molti commentatori sia individuali da social sia più strutturati e con ambizioni da media alternativo.

Viviamo tutti a rimorchio della bulimia informativa dell’era dei social che impone solo commenti in tempo reale. In assenza di redazioni strutturate e specialisti in buona fede che si confrontano, rimane la sola buona volontà dei singoli, il genio individuale. In questo senso mi sembra paradigmatica l’analisi di Diego Fusaro sulle ultime elezioni regionali in Emiilia Romagna.

Diego Fusaro ha ad esempio ascritto la vittoria di Bonaccini alla pacatezza del candidato del PD arrivando a definirlo addirittura un populista di centrosinistra “rivelando grande contatto con i territori”. Immagino ci si riferisca a qualche sagra o alle visite ai centri anziani.

In realtà Bonaccini è solo un uomo come tanti di un partito uso a gestire una rete ereditaria come sistema nervoso di una regione pacificata da sempre e “la vicinanza coi territori” altro non è che una stanca ritualità ereditata dal PCI. Io ricordo personalmente anche una fotografia di Napolitano di un ventennio fa  con grembiule a servire in mezzo ai tavoli di una festa dell’unità. Lo potremmo definire per questo un populista? Negli anni ciqnuanta se un dirigente del PCI si presentava con l’autista ad un comizio veniva aggredito dali operai, oggi ci si accontenta della comparsata dell’aristocratico che porta il proprio generoso saluto ai mezzadri gongolanti (e perlopiù settantenni). Altro che populismo di sinistra!

A nostro avviso nella rivalutazione della campagna elettorale di Bonaccini sospettiamo forse solo un pretesto per attaccare Salvini che, effettivamente, sembra divenuto il capitano chiassoso di una nave mossa sempre più dalle correnti del momento e non di rado verso mari davvero infrequentabili.

Del resto sono evidenti i limiti del sovranismo elettorale salviniano e non solo, il più decisivo dei quali è la adesione incondizionata al liberalismo che di fatto è antisovranismo senza contare le aperture a Draghi e le orribili e servili dichiarazioni in occasione della morte di Suleimani con il consueto corollario rituale attorno alla giornata del memoria in un momento di massima tensione tra Iran ed Israele.

Ma per tali limiti evidenti reputare che dall’altro lato della barricata vi sia stato un concorrente credibile e pseudo populista è semplice non conoscenza del contesto emiliano.

 EMILIA ROMAGNA: TRA MILITANZE PASSATE E BOGOTTISMO PRESENTE

Gustave Le Bon diceva che quando una idea diventa un sentimento essa è invincibile e solo un altro sentimento può scalzarlo, ma ciò in genere avviene dopo dei traumi che impongono ripensamenti. Questo pricnipio si collega direttamente alle elezioni emiliano romagnole.

L’Emilia Romagna è una zona assai insidiosa per un analista in quanto è un cortocircuito perenne tra la immagine che ha e da di sé e la realtà. Sembra tutto chiaro ma invece è tutto sfumato quando non torbido.

Intanto un elemento di carattere antropologico:  gli emiliano romagnoli sono laboriosi, non di rado geniali ma straordinariamente conformisti e pavidi. Ovvero sono il proptotipo del moderato bigotto solo che in questa regione il moderato ha fatto propria l’estetica del combattente partigiano come il bigotto faceva propria l’immagine severa della Chiesa. Qui il bigotto attivo non crede in dio, è ateo e nichilista, quello passivo crede in tutto ciò che è conveniente credere. Perché non vuole rogne, soprattutto con sé stesso e qui lo chiamano “sapersi godere la vita”.

La militanza poi in queste ex (?) paludi è un mero fattore estetico che si nutre unicamente  dell’inorgoglito ricordo di feroci lotte passate (sindacali, bracciantili, partigiane, antifasciste) e che assolvono i contemporanei soprattutto di pseudo sinistra, dal dovere prendere una posizione sulla guerra anzi sull’assedio che da decenni ormai viviamo sia come individui, sia come padri e madri che come famiglie che come nazione. Qui il pensiero è: i nostri nonni ci hanno dato la “democrazia”, siamo pari per i prossimi mille anni un po’ come fece Gesù che con il suo sacrificio stornò dall’umanità la “fine che viene”. Quindi palla al centro.

La verità è che non ha vinto Bonaccini e non ha vinto il PD ma ha vinto un sistema che dopo settantacinque anni di monocolore partitico ha creato vere e proprie dinastie di funzionari pubblici o pseudopubblici ed un intreccio con diversi settori economici contigui che si sono estesi ulteriormente dopo la svolta turboliberista del PCI.  Questo intreccio che potremmo chiamare Modello Emiliano 2.0 ha saputo determinare un vero e proprio mutamento antropologico, così il cambiamento, qualsiasi cambiamento, o viene ignorato e deriso o, quando ti viene a suonare in modo sguaiato (ma giustificato) al campanello di casa,  è  percepito come una minaccia a posizioni, soprattutto psicologiche,  consolidate.  Qui si toccano i sentimenti di un popolo ed il sentimento più vivo, qui, è la fiacca e il desiderio di piccoli confort. Altro che voglia di sparigliare le carte in tavola. Del resto basti ricordare quanto erano baciapile i bolognesi prima dell’arrivo di Napoleone o fascistissimi prima dell’arrivo degli alleati. Sappiamo come andò a finire: divennero giacobini prima e comunisti poi.

BOLOGNA: NULLA DI NUOVO DALLA CONTEA HOBBIT

Per molti versi l’Emila Romagna e Bologna in particolare ricordano la Contea degli Hobbit nel Signore degli Anelli, questo popolo di persone piccole...di statura, laboriose, molto interessate ai fatti prori e diffidenti verso l’esterno. La differenza è che  da noi la contea è in piena Mordor e il “Nero Cancello” protegge molti dal freddo mondo esterno che, spesso, gli emiliano romagnoli vedono come peggiore o non vedono affatto salvo che per farvi emigrare i figli laureati perché, altro plinto morale che si sta radicando in regione, la fuga dei cervelli non è il degradarsi di legami familiari e nazionali ma manifestazione di orgoglio europeista o saggio adatamento al progresso.

La verità è che il vincitore in Emilia Romagna è l’Apparato e la mentalità che ha diffuso e ciò lo rivela il fatto che dei 180000 voti in più ottenuti dal centrosinistra, 130000 siano a Bologna, ovvero la città degli apparati, del polo ospedaliero con funzionari pubblici e medici dall’alto stipendio o comunque dalla maggiore stabilità economica pseudo pubblica, dei fuorisede residenti che sin dai tempi della università son stati educatio a mostrare indifferenza quando non aperto  disprezzo verso l’identità popolare locale del resto da decenni ridotta a mero folklore calcistico o culinario, è la città degli uffici regionali e comunali e del polo ferroviario, della convenzione tra centri sociali occupati e comune,  è la città dell’Unipol e di UGF Banca, e la sede di molte importanti cooperative nonché dell’università da sempre ostile a prospettive identitarie e sovraniste, è la città della rete territoriale dei centri anziani che votano per coazione a ripetere e che si spendono direttamente facendo campagna elettorale, è la città di Prodi e delle Sardine della cui spontaneità nessuno crede ma senza tuttavia spingere a fare il salto ulteriore verso la indignazione per una manipolazione antidemocratica tanto patetica quanto offensiva verso l’altrui intelligenza.

Questo “partito interno”, un po’ facendo eco ad Orwell, presenta poi vaste aree di contiguità parentale o di interesse al di fuori di sé che ne amplificano il consenso.

Bologna è anche la città delle cosiddette multinazionali tascabili e dei suoi dipendenti pare ben tutelati e che per certi versi vivono una esistenza più simile a quella dei nostri padri che a quella dei loro coetanei precari. E un dipendente tutelato, va da sè, probabilmente è immune a prospettive di lotta o a mettere in discussione tradizioni politiche consolidate.

Si potrà dire anche che in Emilia Romagna si sta bene rispetto ad altre aree e ciò è pur vero, ma è pur vero che si sta, e di molto, peggio rispetto  al passato ed essendo evidente il tradimento delle masse da parte della sinistra, se c’è un luogo nel quale avrebbe dovuto farsi strada una forma di dissenso popolare avrebbe dovuto essere proprio questa, e in parte così è stato ma non a sufficienza.  Ma si sa gli Hobbit sono pacifici, gli piace fare il sonnellino pomeridiano e godersi le loro frequenti merende. E poi al Pilastro gli Urukai vendono  dell’erbapipa che non si trova nemmeno ad Amsterdam. E vi pare poco?

UN  LIMITE DEL SOVRANISMO ELETTORALE

 L’italia è un paese traumatizzato, pavido, educato da settantacinque anni di colonialismo straniero ad avere selezionato via via classi dirigenti sempre meno consapevoli del proprio ruolo. Educati alla prudenza e alla sudditanza abbiamo perso la stessa nozione di conflitto fraintendendolo per caos quando, in un contesto sano, è la lecita minaccia che il popolo esercita verso la classe dirigente per portare interessi divergenti a trovare una conciliazione.  Ma qui, non di rado, è anche la stessa lettura della realtà che latita.

In questo senso fa letteralmente cadere le braccia Lucia Borgonzoni. Non in sé e nemmeno per la scelta palese di fungere da prestanome locale della ennesima campagna elettorale di Salvini, quanto piuttosto per una sconcertante, rivelatrice dichiarazione a margine della sconfitta.

In quella occasione la Borgonzoni ha infatti rilevato la tenuta del PD nelle grandi città ed ha palesato il proprio stupore per questo fenomeno promettendo che avrebbe riflettuto su ciò. Ora, che la candidata della opposizione di un partito che si dichiara sovranista non abbia chiaro un fenomeno che è da anni comune a tutto l’occidente è sconsolante e dovrebbe indurre la Lega a fare una seria riflessione interna sulla formazione politico filosofica dei propri amministratori.

Ogni volta che un movimento populista o sovranista in Europa si è buttato nell’agone politico ha torvato nelle periferie il prioprio elettorato e non nelle città in quanto la periferia è radicata (anche in termini familiari), scomoda da raggiungere, più bisognosa di servizi e meno corrotta dal globalismo che, al contrario, è veicolato dai tecnici, dai propagandisti e dai portatori più o meno sani della società fluida, altamente mobili o che prediligono la città e non di rado un incarico pubblico o pseudo tale. Non è casuale, crediamo, che le Sardine rimandino proprio ad una dimensione acquatica, liquida appunto. Così è stato per la Londra del Brexit, per le elezioni in Austria, per le provincie dimenticate trumpiane e, oggi, per l’intera Francia che, nella sua dimensione di enorme polis con un immenso contado grande quanto una nazione, assiste ad una rivolta dei paesani che assediano un centro che vive di riti e miti contrari. Ma è una storia antica: così fu anche per il primo cristianesimo che, conquistate le elite citrtadine di Roma, definiva i paesani Pagani e faceva ciò con disprezzo in quanto costoro ancora pregavano le veccie divinità nel pagus, cioè nel tempio di campagna. Insomma i globalisti di allora già si mettevano avanti con la loro solerte opera di disprezzo nei confronti del popolo. E in questo la Chiesa di oggi sta davvero ritronando alle sue origini! Che tuttavia una candidata sovranista non fosse consapevole della sua impossibilità a vincere nelle roccaforti del globalismo apolide e per giunta universitario, che non avesse chiaro che le grandi città divenute non luoghi sono “il nemico” beh dovrebbe destare viva preoccupazione.

La verità per chi scrive è che questo popolo Emiliano romagnolo ma più in generale italiano, orbato di sè, ha già fatto miracoli ritardando il più possibile l’ondata finale della dissoluzione e quanto non riesce a fare ciò collettivamente e con metodo, spesso vi riesce individualmente e in un imprevedibile diosordine ma ciò alla lunga rischia di non bastare.

Se moderato il popolo, di fatto, è moderata la politica ed in tempi di guerra asimmetrica ciò se non sa di resa ha tuttavia l’amaro sapore della impreparazione alla lotta.

L’Emilia Romagna è il modello compiuto di una regione ma anche di una nazione che fino alla fine rifiuta il conflitto e per ragioni di indole e per la presenza di apparati che hanno ancora il potere e le capacità di orientare una massa di persone che altro non chiedono che di essere lasciate in pace. In quanto ai sovranisti elettorali destano sempre più perplessità anche se, va detto, se facessero il loro lavoro con dura coerenza, forse passerebbero al 2% per la pavidità poc’anzi descritta.

Non ha vinto Bonaccini. Ha vinto il sonnellino pomeridiano che si bea dell’ultima scopracciata di tortellini non rendendosi conto che, a prescindere da chi sarà la cuoca domani, la casa potrebbe comunque andare in fiamme. Ma magari a quel punto gli emiliani potranno raggiungere i figli in Erasmus e dopo qualche giorno lamentarsi del menù. In quanto ai sovranisti elettorali magari staranno studiano una nuova app per condividere più in fretta un bacio ad un salume.