Divinità trascendenti e immanenti: la doppia natura di Mammona
di Francesco Petrone - 12/09/2025
Fonte: Francesco Petrone
È noto a tutti e quasi proverbiale, il demone Mammona, nome di uno spirito infernale che,
secondo la tradizione biblica, rappresenta la brama nei confronti della ricchezza terrena e
quando venisse idolatrato e sarebbe anche causa di dannazione spirituale e perdizione. Di
questo demone e della sua bramosia di ricchezza si parla nei Vangeli di Luca e di Matteo
con la famosa alternativa esistente fra “Dio o Mammona”. Invece, nell’antica mitologia
europea, sia greca che romana, esisteva una tradizione diametralmente opposta riguardante
un’entità denominata Mammona. A Roma, la Grande Madre, non era altro che la
manifestazione di questa Mammona, una divinità della natura, o meglio, in realtà era la sua
forza invisibile, la misteriosa potenza generatrice della natura. Al contrario, la sua
manifestazione visibile era la terra, Mater Matuta, dea della fecondità, la “Madre Propizia”,
dea di ogni inizio e dell’aurora che sarebbe la manifestazione della Dea Natura. In tempi
precedenti esisteva Mamma Mammosa o Mammona. In sanscrito la radice “Ma” sta per
preparare, formare da dove il termine mater. Mater Matuta era la divinità della fertilità e della
crescita e spesso viene associata a Mammona perché la terra non era altro che la sua
manifestazione visibile, la sua proiezione, rappresentata dalla generosità della terra. Una
relazione analoga a quella del sole visibile degli Egizi che sarebbe stato mosso da un altro
sole, Amon, il motore invisibile del sole. La Grande Madre era identificata anche con Cibele,
l’origine e la fonte di ogni tipo di vita, di nutrimento, fertilità, ed era associata per simpatia
con gli elementi acqua, terra, flora, fauna. Mater Matuta era una divinità preromana o
addirittura, forse, preindoeuropea, perché furono i popoli preindoeuropei che introdussero
l’agricoltura, e di conseguenza il culto della Madre e della terra, le cui testimonianze sono le
cosiddette Veneri paleolitiche o Veneri steatopigie (dalle grosse natiche). Sarebbe mutato
con l’avvento di una diversa cultura, il senso della parola “demone”, concepita in antichità
come divinità intermedia, simile ai nostri angeli, col tempo si sarebbe trasformata in figura
infera. Il passo fu breve perché anche Mammona diventasse, nei testi biblici, e nei Vangeli
un’entità negativa. Infatti in antico siriaco, mamon vuol dire ricchezza ed ha poi assunto un
carattere negativo di venalità. Da divinità delle ricchezze della terra a demone delle
ricchezze terrene. Il cristianesimo in seguito dette a questa entità maggiore importanza,
perché funzionale a indicare il peccato dell’attaccamento a ciò che è materiale, essendo la
natura della nuova religione prevalentemente trascendente e di conseguenza riteneva
inconcepibile la divinizzazione della natura. Ma perché questa antica divinità è diventata
simbolo di venalità? L’antica Mammona era la potenza della natura, divinità tellurica come
anche Plutone, dio dell’età dell’oro e dimorante nelle viscere della terra. Un’altra
manifestazione della natura era la ninfa Maia, che secondo alcuni miti era legata al dio
Vulcano. Per questo legame, Maia era ritenuta responsabile sia dei movimenti distruttivi
della terra sia degli aspetti positivi come la fertilità. Probabilmente gli antichi avevano notato
come la lava e la cenere dei vulcani, una volta raffreddate rendono la terra estremamente
fertile. Maia era legata anche al calore della terra e per analogia anche al desiderio
sessuale, con risvolti quasi di tipo dionisiaco. Come per Pomona, in suo onore, si tenevano
danze campestri in occasione delle feste primaverili. Il mese di maggio era dedicato appunto
a Maia, da cui prende il nome, dato che questa ninfa annunciava la primavera. Il primo
maggio a Roma era la festa a lei dedicata e le veniva sacrificato un maiale. Il sacrificio
veniva denominato sus maialis, il suino di Maia, nome che l’animale ha conservato anche ai
giorni nostri. In sanscrito “ma”, come abbiamo osservato, ha diversi significati e può
significare preparare, formare; è legato alla creazione ed è la radice in molte lingue del
termine madre. Molte raffigurazioni della Grande Madre sono gli archetipi originari delle varie
rappresentazioni successive delle Maestà cristiane, le Madonne col bambino ma anche le
Pietà. Infatti, come riporta lo psicologo Erich Neumann nella sua opera “La Grande Madre”,
esistono varie sculture arcaiche rappresentanti la dea con in grembo un bambino e in altra
versione con in grembo il corpo esanime di un uomo. Erano la rappresentazione visiva del
mistero della terra che genera ogni vita, umana, animale e vegetale e che sempre a lei tutto
deve fatalmente tornare. Un aspetto di questa entità si era trasferita nel culto di Venere, e lo
vediamo dal fatto che anche la dea dell’amore risultava in un certo qual modo legata al
mondo delle ombre anche se indirettamente. La storia d’amore fra la dea e Adone è
emblematica in quanto il giovane muore tragicamente e nemmeno la dea con le sue lacrime
può far niente di fronte all'ineluttabilità della morte e può solo trasformare Adone in un
Anemone. Sembra che anche certe raffigurazioni di sfingi, con abbondanti seni, nella
versione greca, altro non siano che allegorie di Grandi Madri. Questa immagine della natura
o di “Mammona” primordiale potrebbe rappresentare l’enigma, il mistero della natura che in
epoca arcaica era la divinità creatrice, la versione femminile del dio immanente che vive nel
cosmo immaginato anche da Giordano Bruno, come da Spinoza e da Schelling. O forse la
sfinge cercava di rappresentare simbolicamente la parte invisibile della potenza della natura,
quella insondabile che col pensiero crea la materia vivente. La sfinge era simbolo del
destino ineluttabile, forse della visione “tragica” dell’esistenza perché basata sul
rinnovamento, una potenza generatrice e distruttrice, morte, rinascita. In India abbiamo Kali,
una divinità induista vista come forza del mutamento dea della forza suprema vitale e alla
distruzione. Una volta avvenuta la demonizzazione di Mammona e trasformata la potenza
creatrice e dispensatrice di ricchezza, in venalità infera, una certa scuola di spiritualità muta
linguaggio.. Si parlerà di Natura Naturans e di Natura Naturata. Con questi due concetti
chiave si ripropone un’antica spiritualità. La Natura Naturans sarebbe la causa pensante,
attiva, la potenza, utilizzando un linguaggio aristotelico. Invece la Natura Naturata sarebbe
l’effetto, la manifestazione, l’atto; tutto ciò che è visibile. La prima è la causa, l’altra l’effetto. Il
filosofo Spinoza sembra inserirsi in questa visione e identifica Dio come Causa e la Natura
come espressione. Però l’essere supremo avrebbe ambo le nature: sarebbe il motore e la
manifestazione al contempo. Anche la Philosophia perennis, metafisica che volle ricollegarsi
alla tradizione universale, e rappresentava la filosofia rinascimentale, descrive con Marsilio
Ficino un Dio sia trascendente che immanente, una forza che è motore e manifestazione.
Riguardo al culto di Maia, fino al 1700 persistettero voci, nel mondo rurale, dei balli angelici,
balli in cui uomini e donne avrebbero danzato completamente nudi, come sembra che
avessero realmente fatto anticamente nei campi, in riti di fertilità. Nel XVIII secolo, nella valle
del Marecchia, avvenne una grande tragedia: un castello edificato a picco su una rocca,
analoga a San Leo rovinò a valle con parte della montagna e, franando, travolse un intero
paese, che scomparve. La località si chiamava Maiolo e il nome sembra derivante dall’antica
ninfa Maia. Non sappiamo se fu a causa di questo, ma le cronache riportano che nacque
una leggenda tra gli abitanti dei dintorni che oralmente è stata trasmessa attraverso i secoli.
Si mormorava che della disgrazia fosse stata responsabile l’abitudine degli abitanti di
praticare ancora degli impudichi balli angelici simili a quelli del rito di fertilità a cui la fantasia
popolare aveva aggiunto la descrizione di monili d’oro che avrebbero ornato i corpi nudi
delle donne a giustificazione della punizione divina. Sembra riemerge dalla leggenda la
visione della Mammona siriaca. Sappiamo invece che la frana avvenne dopo più di tre giorni
di pioggia intensa e ininterrotta su un masso composto di sabbia misto ad argilla.