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Filosofia della famiglia

di Lorenzo Borrè - 13/07/2017

Filosofia della famiglia

Fonte: Controcorrente

È opinione diffusa che la crisi della famiglia costituisca un fenomeno relativamente recente, apparso  con l'avvento della società dei consumi e accelerato dall'introduzione di istituti giuridici come il divorzio che consentono la serialità dell'esperienza matrimoniale, che ne avrebbero  svuotamento il senso, riducendola  a mera esperienza di vita in comune fondata su basi contrattuali.

In realtà, così come il divorzio è un istituto già disciplinato dal diritto romano, da quello celtico e dal diritto germanico, anche la prima crisi della famiglia come Istituzione  risale, più o meno, alla fase matura della civiltà greca: se, infatti, ancora nel 429 a.C., nell'elogio funebre del soldato ignoto, Pericle -richiamandosi al culto degli antenati e al sistema della famiglia ateniese- tributa un solenne encomio alla solida forza di questo sistema, alla sua capacità di mantenere l'idea greca di civiltà anche a fronte degli sconvolgimenti provocati dalle guerre, è già con Socrate che il modello sociale fondato sulla famiglia subisce la prima crisi. Socrate fu infatti il precursore della concezione astratta dell'individualità, il primo a consacrare l'individuo come cellula originaria della società cui spetta piena autonomia.

Del resto, tredici anni prima dell'orazione di Pericle, Sofocle nell'Antigone  aveva  già efficacemente rappresentato questo contrasto sullo sfondo di una tragedia famigliare.

La contrapposizione tra individuo e Stato demarcherà, da allora in poi, l'asse lungo il quale "la coscienza individuale e lo Stato, l'idealismo e la realtà, appaiono separati dalla frattura tra l'oggetto e il soggetto".[1]

La crisi della famiglia, in altre parole, coincide con la crisi del legame sociale fondato sul principio di comunità e di autorità e vedrà, nei secoli, la sua accelerazione in corrispondenza dell'affermarsi di teorie sociali ed economiche fondate sull'individualismo.

Il legame sociale del sistema famigliare e  il suo essere cellula fondamentale dello Stato a vocazione antiindividualista sono infatti ben evidenziati già da Aristotele nel primo libro del Politica, laddove afferma che “la comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia,  [...], mentre la prima comunità che risulta da più famiglie in vista di bisogni non quotidiani è il villaggio. Nella forma più naturale il villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni chiamano «fratelli di latte», «figli» e «figli di figli». […] La comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa: formato bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita buona”.

L'ideale aristotelico di famiglia, intesa come cellula sociale fondativa della vita virtuosa e della buona politica dello Stato,  corrisponde grosso modo alla stessa idea di famiglia della Roma repubblicana, che entra nuovamente in crisi nel 90 d.C., come testimonia Plutarco, che lamenta la scomparsa delle virtù familiari che i greci avevano ritenuto indispensabili per la Vita buona.

L'esaltazione dell'individuo e dell'edonismo cognitivo coincidono, in epoca romana, con il declino di quelle virtù insite nel Mos Maiorum che costituivano sia il fondamento della vita famigliare che di quella politica.

E il declino della famiglia romana ai tempi dell'Impero -allorquando sono ormai lontanissimi e dimenticati i modelli dello stadio omerico e di quello esiodeo- è un prototipo della decadenza della famiglia moderna, incapace di resistere alle pressioni di dinamiche improntate all'individualismo edonista e al rifiuto del concetto di responsabilità.

La reazione a questa decadenza la troviamo, in campo “pagano”, con il neoplatonismo di Plotino e in quello cristiano con l'opera della Chiesa, la quale riuscì a rinvigorire  la famiglia, che -a partire grosso modo dal Decimo secolo- costituì una delle forze dominanti dell'Europa occidentale, almeno fino ai tempi della Riforma.

Ancora all'inizio del XIX secolo, in campo filosofico, un gigante del pensiero come Hegel, definisce la  famiglia come “il primo momento dell’eticità, cioè della condivisione oggettiva di valori morali.[2]”, la  prima forma della negazione dell’individuo in quanto tale: ciò che era “due” diventa oggettivamente “uno”; è la sintesi che trasforma - senza perderli - uomo e  donna in un legame indiviso e indivisibile.

Una definizione che dà ragione della  contrapposizione che emerge sempre più netta, nel corso del XX secolo,  tra  Famiglia/Stato, istituzioni basate sul legame sociale e caratterizzate dalle virtù politiche che fondano la “vita buona” aristotelica, da una parte, e il binomio Individuo/Mercato, tanto caro alla Forma Capitale, dall'altra.

Una contrapposizione che si manifesta  pienamente ai nostri giorni, nel XXI secolo, ove l'orizzonte del mondo è ormai dominato dal Mercato e dalle infinite possibilità della Tecnica: l'individuo diventa il fulcro, il centro di una  concezione  della società in cui il Politico arretra davanti al diritto soggettivo assoluto, diritto soggettivo che viene coniugato -nei rapporti con lo Stato- con le stesse pretese di oggettività delle leggi del Mercato stesso.

Nell'ambito dell'istituzione famigliare ciò si traduce nella costituzione di quelli che l'antropologia definisce “nuovi gruppi domestici”, come il matrimonio ha cessato di essere Istituzione per ridursi a Contratto, così la famiglia cessa di essere una comunità naturale: lo stesso rapporto di filiazione, giurisprudenza alla mano, prescinde dalla discendenza genetica: nel moderno Occidente è sufficiente un atto di volontà, unito alla consapevolezza di avvalersi di una procedura di procreazione artificiale, il “condividere un progetto di filiazione, espressione di affetto e solidarietà reciproca””, per costituire un rapporto di filiazione.[3], in cui la solidarietà viene declinata attraverso l'orfanizzazione programmatica del nascituro, che sarà scientemente privato del legame con uno dei due rami parentali e minato nel suo diritto all'identità.

Si impone così, in forza dell'assolutismo individualita del “diritto di avere diritti”, la riscrittura della grammatica del nostro statuto antropologico, passando da un paradigma fondato sulla filiazione naturale ad un paradigma fondato sulla filiazione artificiale e quindi sulla creazione, sulla manipolazione e, in ultimo, sulla mercificazione dell'uomo.

L'idea che l'uomo non sia riducibile al puro dato biologico viene posta in contestazione da un'ideologia della Tecnica che si salda con l'ideologia dei cosiddetti “diritti civili”, secondo la   quale la volontà dell'individuo, la sua determinazione a raggiungere un determinato obiettivo, diventa espressione di un diritto  nel momento stesso in cui la Tecnica consente il soddisfacimento di questo obiettivo.

Assistiamo così alla rivendicazione di diritti che si basano sulla mercificazione dell'uomo: le pratiche come la fecondazione eterologa e la maternità surrogata, si fondano infatti su un atto dispositivo del vivente in cui  il legame sociale e  il rapporto sessuale generativo tra un uomo e una donna sono sostituiti da una transazione di natura privatistica che ha ad oggetto la produzione di un essere umano.

Questa ideologia dei diritti civili si salda a sua volta con l'ideologia della Forma Capitale, in quanto l'uomo, il vivente,  viene trasformato in un segmento del processo di produzione.

Senza voler idealizzare la famiglia, dato che non basta costituirne una per ricreare il Paradiso in terra, si osserva che la katabasi di tale istituzione è correlata al declino  del legame sociale di cittadinanza.

Osserva a tal proposito Alain de Benoist che “nell'immaginario dei nostri contemporanei, la famiglia appare oggi come un valore rifugio. La società moderna ha infatti espulso dalla vita quotidiana tutto ciò che una volta mobilitava l'attenzione per l'altro. L'ideologia liberale ha stimolato rapporti sociali fondati sulla ricerca dell'efficienza e della redditività, della competitività e del profitto. Di conseguenza i valori famigliari appaiono come l'esatto contrario dei valori sociali [attuali]: in casa propria bisogna dar prova d'amore, gentilezza, disinteresse; all'esterno bisogna battersi contro gli altri, conquistare posti, vendere e comprare senza sentimentalismi. Il 'bisogno crescente di famiglia' di cui parlano i sociologi non ha altra spiegazione – visto che a causa della crisi economica, la famiglia dimostra di essere una notevole rete di solidarietà. […] Giudicata ieri opprimente, essa è ora percepita come un'oasi di sciurezza, dove i membri del parentado fanno da prestatori di servizi. Medica le piaghe inflitte agli individui dalla società globale.”.[4]

Ed è un dato confermato dal sociologo Ilvo Diamanti: ad oggi, in un contesto di persistente crisi economica, la famiglia nonostante sia sottoposta a tensioni demografiche, etiche, organizzative da passaggio d'epoca,  è  considerata da circa  il 90% degli italiani come il riferimento più affidabile: “se i giovani non si ribellano, pur navigando a vista, tra disoccupazione e precarietà, affrontando cicli scolastici e universitari dagli sbocchi sempre più incerti, è perché la famiglia li protegge. Per il futuro professionale: i giovani contano sull'aiuto dei parenti e dei familiari (per il 40% di loro, il fattore di successo nel lavoro più importante: indagine laPolis per Coop Adriatica, dicembre 2009). Gli stessi imprenditori, per affrontare il passaggio di generazione preferiscono "mantenere la proprietà e la gestione dell'azienda all'interno della famiglia". Come sostiene il 47% del campione intervistato quest'anno nell'ambito di una ricerca per Confindustria (Demos, gennaio 2010). Un anno prima la pensava in questo modo il 29%. La crisi, evidentemente, ha rafforzato i legami più stretti. Anche perché il mondo della finanza e dei manager, diciamolo pure, non ha dato grande prova di sé in questi tempi. La famiglia. Di fronte al ridursi della spesa pubblica, ha aumentato il suo ruolo di welfare alternativo e sostitutivo rispetto allo Stato. Continua ad assumersi il peso principale nell'assistenza agli anziani [...]. Ma resta anche la principale rete di sostegno ai più giovani. Ai figli, che restano in casa sempre più a lungo; fin oltre i trent'anni. Anche se sono sempre di passaggio: fra studio, lavoro precario, stage, esperienze all'estero”[5] Ed oggi, con la disoccupazione giovanile che ha superato quota 40% l'assunto è quasi un dogma.

Opinione condivisa dal filosofo Mario Tronti: “Nonostante il deterioramento generale, in Italia la famiglia è riuscita a reggere l’urto, impedendo l’esplosione di conflitti sociali che restano latenti. Va in questa direzione la permanenza dei giovani in casa, dove le istanze di rivolta vengono in qualche modo smorzate. Sì, la famiglia funziona ancora come piccola impresa economica”, ma con una chiosa: “non sono altrettanto ottimista per quanto riguarda la formazione delle nuove generazioni. In questo ambito mi pare che il rumore di fondo proveniente dall’esterno abbia finito per prevalere, mettendo seriamente in discussione il ruolo educativo della famiglia”[6].

E lo stesso Tronti riconosce che la famiglia si pone, oggi, come alternativa, meglio: come contrappeso all'ideologia individualista, “che ormai ha sbaragliato anche il campo di quanti dovrebbero opporsi a ogni forma di sfruttamento, a ogni imposizione del mercato, alla crescente artificializzazione della vita. La società "liquida", denunciata a suo tempo da Zygmunt Bauman, è ormai accettata e perfino elogiata come inoppugnabile dato di fatto in tutta la sua vaghezza e inconsistenza”.[7]

Ma la Storia, aggiungiamo noi, ci ha insegnato che la partita è ancora aperta.

 



[1]Ruth Nanda Anshen, la Famiglia, la sua funzione e il suo destino, Bompiani, 1955.

[2]G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Rusconi, 1996.

[3]Cfr. , da ultimo, la sentenza della Cassazione Civile del  15 giugno 2017, n. 14878

[4]Alain de Benoist, “Famiglia e Società”, Controcorrente, 2013.

[5]Ilvo Diamanti, la Repubblica, 1.11.2010

[6]Mario Tronti, intervista a l'Avvenire, 20.4.2016

[7]ibidem