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Fuggo dalla società digitale. Si deve Passare al bosco

di Sylvain Tesson - 25/10/2025

Fuggo dalla società digitale. Si deve Passare al bosco

Fonte: Il Giornale

Un giro del mondo in bicicletta, tragitti a piedi e scalate, i deserti africani e le steppe dell'Asia centrale, i sentieri neri francesi e la corona delle Alpi, viaggi nella storia sulle tracce dell'esercito napoleonico e dei prigionieri in fuga dalla barbarie dei gulag. Queste alcune delle imprese compiute da Sylvain Tesson, le cui opere riempiono i cataloghi di Sellerio e Rizzoli. Dopo aver ricevuto a Roma il Premio Kapuscinski, questo singolare avventuriero dello spirito ha presentato a Catania, nell'ambito della rassegna "Naxos Legge" di Fulvia Toscano, due suoi nuovi libri: Una leggerissima oscillazione e Piccolo trattato sull'immensità del mondo, entrambi pubblicati da Piano B. Lì gli abbiamo rivolto qualche domanda, partendo dall'idea, onnipresente nelle sue opere, di un fantastico non separato dal reale, che richiama il "realismo magico".
"Credo sia una buona definizione. Non sento il bisogno di un retro-mondo che incanti la mia mente. L'osservazione delle visioni che mi offre la natura basta e avanza. Mi limito a decifrare la dimensione simbolica dei fenomeni cosmici, degli animali o della vegetazione, dei volti o dei paesaggi, e non riesco ad andare al di là dei rapporti simbolici offerti dal reale. Non ho tempo, né abbastanza travagli interiori, per immaginare un'altra vita e un mondo ulteriore".

Nei suoi libri aleggia un'idea: la storia passa, i paesaggi restano. È questo tipo d'approccio che l'ha spinta a viaggiare?
"Viaggio da geografo, amo la diversità dei paesaggi, cogliendo la forza e l'estrema violenza della realtà. Sono molto attento alla degradazione delle cose, al passare del tempo sulla pelle, sul paesaggio, sui rilievi, sui monumenti, sulle costruzioni della storia. Solo essendone consapevoli possiamo prestare attenzione a ciò che resta: ecco perché mi interessano i paesaggi. Li vedo come clessidre. Le montagne crollano, il mare si espande o si ritira, i terreni fertili diventano sterili; si mantengono, però, le forme e le strutture. Guardo il mondo non con un cannocchiale, ma con l'orologio, che misura il decadimento universale".

È per questo che agli itinerari "orizzontali" ha affiancato l'ascesa delle montagne?
"Quando si pratica l'alpinismo, si è molto sensibili al collasso temporale della storia. Le stagioni passano, le montagne vengono polverizzate, si vive una situazione di sospensione permanente. Ecco, in sintesi, ciò che dà alla vita tutto il suo valore effimero. Quanto alla storia, è solo una somma di gocce che cadono. È un orologio ad acqua, e non reputo interessante il movimento di ogni stilla. Preferisco le montagne e il cosmo: sono più tangibili. L'alpinista ha bisogno di solidità".

Nei suoi diari molte sono le pagine dedicate all'Europa.
"Ciò che m'interessa dell'Europa è l'esiguità, la limitatezza, il suo avere una superficie minuscola. A colpirmi è il fatto che noi abbiamo creato un miracolo artistico, estetico e culturale, una rete di proporzioni umane, psicologiche e spirituali, tutto un ventaglio di opzioni politiche, giuridiche e legali, e lo abbiamo fatto all'interno di un'esile superficie di terra emersa. Trovo affascinante la sproporzione tra queste irradiazioni e le esigue dimensioni di uno spazio che va da Copenaghen a Lisbona, dall'Atlantico agli Urali. In Europa, troviamo sempre riferimenti all'occhio e alla mente, ai sensi e alla memoria: ogni paesaggio rimanda a un quadro, ogni situazione richiama una poesia, ogni incontro evoca un romanzo. È una realtà formulata dagli artisti, e credo che questo sia unico in tutto il globo. Mi sento profondamente europeo".

Del resto l'Europa non è un'entità statica, ma un principio che si manifesta nella metamorfosi, il genio pagano e quello cristiano, il mondo mediterraneo e le cattedrali gotiche, la luce del sud e le sfumature del nord...
"Le sorgenti europee sono molteplici ma al tempo stesso contigue: la fonte forestale, germanica e barbarica; la fonte oceanica, celtica e scandinava; la fonte insulare greco-latina. Questi torrenti si sono incontrati e, stratificandosi, hanno dato origine a un limo culturale profondo e interessante. Bisogna cercare di far vibrare in sé tutte queste corde pagane, cristiane, celtiche, germaniche... Il mio strumento musicale preferito è l'arpa, che ha molte corde e produce vibrazioni diverse, talvolta dissonanti. Al tamburo preferisco la lira dei poeti o l'arco dei guerrieri, entrambi strumenti a corda".

Questo senso dell'Europa oggi è attentato dalla "scuola del risentimento" di cui ha parlato Harold Bloom...

"A dire il vero, penso che la situazione sia la stessa dai tempi di Nietzsche, che aveva già descritto le devastazioni prodotte dal risentimento. Credo, però, che tutto questo c'entri poco con storia e geografia. La mediocrità non è un'invenzione della modernità, ma uno dei fondamenti dell'essere umano, e la storia delle civiltà si risolve nella creazione di vie di fuga, uscite d'emergenza: sono scappatoie, gallerie sotterranee per evadere dalla mediocrità. D'altronde, a partire dalla fine del XX secolo, in Occidente una somma di apparecchi digitali ha potenziato questa stessa mediocrità. Congegni come smartphone e telefonini non sono altro che escrescenze tecniche di sconfitte spirituali".

Come mettersi al riparo?
"Non è difficile: basta spegnere i dispositivi e scegliere la fuga nelle foreste. Passare al bosco, come diceva Ernst Jünger. Nessuno di noi è costretto non ancora, per lo meno ad accendere questi strumenti ogni mattina. A una trasformazione radicale occorre opporre un gesto altrettanto radicale; quando l'elettricità minaccia di ucciderci, l'unico modo di sopravvivere è spegnere la luce".

L'ultimo libro che ha scritto è intitolato Les piliers de la mer. Di che si tratta?
"I pilastri del mare sono i faraglioni, colonne di pietra piantate nel mare davanti alle coste rocciose. La risacca e le onde oceaniche erodono la scogliera, che arretra, e, per ragioni legate alla corrente o al sostrato geologico, accade che rimanga un pilastro, uno spigolo, una candela. Tutto ciò è significativo da un punto di vista estetico e simbolico: è la declinazione sul piano geologico della figura incarnata nella società dal ribelle, l'anticonformista, l'infrequentabile, l'incompatibile. La guglia di pietra rappresenta coloro che a un certo punto decidono di non seguire più il movimento: il dandy, l'artista, il ribelle... L'occhio crede che il faraglione si sia allontanato, che a un certo punto sia partito, per astrarsi. Al contrario, è solo rimasto dov'era, non ha seguito tutto il resto, la ritirata della costa.
Insomma, per ogni scogliera c'è sempre un faraglione, per ogni dogma una contraddizione, per ogni massa un ribelle, per ogni partitura unanime una nota dissonante. Nella civiltà dell'Identico esiste sempre la possibilità di distinguersi. Questo è ciò che ho voluto celebrare".

a cura di Andrea Scarabelli