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I 75 anni della NATO

di David Nieri - 10/04/2024

I 75 anni della NATO

Fonte: francocardini

“La NATO oggi è più grande, più forte e più unita che mai”: queste le parole pronunciate da segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, durante la cerimonia di apertura per i 75 anni del Trattato. L’Europa, secondo Stoltenberg, “ha bisogno degli USA per la sua sicurezza e gli USA, grazie alla NATO, hanno più amici e partner di ogni altra potenza, e questo moltiplica la loro forza […] Al principio avevamo 12 membri, oggi siamo 32. Dunque qualcosa di giusto lo stiamo facendo”, ha concluso il segretario, con tanto di applausi scroscianti da parte dei partecipanti.
Qualcuno, però, ha cercato di rovinare la festa. Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha battuto cassa, nonostante la vulgata dei buoni e dei giusti continui a dare per certa la vittoria dell’Ucraina, dopo i grandi risultati ottenuti dalle molteplici offensive, che ormai non si contano più. Chiede missili Patriot, il ministro, per intercettare i missili balistici russi.
A Bruxelles pare che le continue richieste di aiuti da parte dell’Ucraina possano concretizzarsi grazie alla costituzione di un fondo da 100 miliardi di dollari spalmati su cinque anni per il sostegno dell’Alleanza a Kiev. Quanto ai dettagli, la discussione è in corso, ma l’intenzione che trapela è quella di varare lo stanziamento nel momento in cui i capi di Stato e di governo si incontreranno al summit dell’Alleanza in programma il prossimo luglio a Washington.
Il pacchetto di aiuti militari, secondo molti opinionisti, è pensato per mettere al riparo il supporto occidentale dai venti di cambiamento politico (in caso di elezione di Donald Trump il prossimo novembre).
Per quanto riguarda gli stanziamenti per le risorse belliche, sappiamo bene che i componenti dell’Alleanza Atlantica sono stati più volte invitati a portare il proprio contributo al 2% del PIL per la difesa, una raccomandazione di spesa non vincolante, che due terzi dei membri infatti non rispetta. Ma sappiamo bene, altresì, che l’industria bellica, insieme alla green economy, sono i due settori in espansione, in grado di assicurare tanti profitti e poche perdite se ben indirizzati e propagandati, magari in nome dell’esportazione della democrazia e della salvezza del pianeta, un ossimoro capitalistico in fase di riciclaggio.
Intanto, il presidente Mattarella non ha mancato di lodare l’Alleanza Atlantica: “L’attuale contesto internazionale, drammaticamente segnato dal riemergere di pulsioni belliche e da minacce alla sicurezza, rende opportuna una riflessione circa la ricorrenza odierna: 75 anni fa, infatti, un gruppo di Paesi conclusero il Trattato dell’Atlantico del Nord. Fu un’autentica svolta, dettata dalla determinazione a rendere sicura la pace, a creare uno spazio di collaborazione e di mutua assistenza, a tutelare l’insopprimibile diritto all’autodifesa individuale e collettiva. Oggi, con il ritorno della guerra nel continente europeo, si comprende appieno la lungimiranza di quella scelta”.
Due anni fa, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina, pubblicammo una breve storia che riguardava, appunto, la nascita della Nato e, di conseguenza, sei anni dopo, del Patto di Varsavia.
Perché in effetti qualcosa non quadrava (e continua a non quadrare) tra la strategia dell’espansione (consolidatasi dopo la caduta del Muro, quando gli stessi princìpi della sua costituzione venivano meno) e il ruolo di “sentinella della pace”.
Per l’appunto, alcune delle ragioni – le prime – della tragedia che rischia di trasformarsi – grazie, soprattutto, alle superpotenze che aspirano alla pace inviando armi sempre più pesanti all’esercito di Volodymyr Zelensky – in un conflitto lunghissimo e dai rischi incommensurabili, sono da rintracciare nella storia recente, a partire dagli anni immediatamente successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale.
Il primo “attacco” della NATO alla sicurezza europea si concretizzò il 23 ottobre 1954, quando fu ufficialmente annunciato l’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nel Patto Atlantico. Nel novembre del 1954 l’Unione Sovietica, allarmata da una tale prospettiva, richiese la creazione di un nuovo trattato sulla sicurezza europea come ultimo tentativo di evitare la nascita di una Germania Occidentale militarizzata e potenzialmente ostile. Ma, ovviamente, non ebbe successo.
Così, il 9 maggio 1955, la Repubblica Federale Tedesca entrò a tutti gli effetti nel novero dei Paesi aderenti alla NATO, il cui trattato istitutivo era stato firmato a Washington il 4 aprile 1949. Scopo della NATO, secondo una frase attribuita a Hastings Lionel Ismay, il primo Segretario generale dell’organizzazione, sarebbe stato quello di “tenere dentro gli americani, fuori i russi e sotto i tedeschi”. Grazie a una campagna di informazione capillare – in altre parole: propaganda – la “percezione” di un Occidente in pericolo di fronte alla “minaccia comunista” prese via via il sopravvento grazie all’impatto dei nuovi mezzi di comunicazione e d’informazione, la televisione in particolare. Un modo sottile per agire da “aggressore giustificato” in quanto potenzialmente “aggredito”.
La possibilità di una nuova Germania riarmata generò naturalmente timore nelle leadership della Repubblica Socialista Cecoslovacca, Repubblica Democratica Tedesca e Repubblica Popolare Polacca: i tre Stati si opposero fortemente a una nuova militarizzazione della Germania Ovest e cercarono, di conseguenza, di stipulare un patto di difesa reciproca, coinvolgendo i leader dell’Unione Sovietica.
Nacque così il Patto di Varsavia, il 14 maggio 1955, tra Unione Sovietica, Albania, Bulgaria, Ungheria, Germania Est, Polonia, Romania, Cecoslovacchia. Questo il preambolo del trattato:

Riaffermando il loro desiderio di creare in Europa un sistema di sicurezza collettiva fondato sulla partecipazione di tutti gli Stati europei qualunque sia il loro regime sociale e politico, il che permetterà di unire i comuni sforzi per assicurare il mantenimento della pace in Europa.
Tenendo conto, inoltre, della situazione creatasi in Europa in seguito alla ratifica degli accordi di Parigi, che prevedono la costituzione di un nuovo organismo militare sotto la forma di Unione dell’Europa Occidentale, che comportano la partecipazione della Germania occidentale rimilitarizzata e la sua integrazione nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati pacifici.
Convinti che, in tali condizioni, gli Stati pacifici dell’Europa debbano prendere le misure necessarie sia per garantire la loro sicurezza sia nell’interesse del mantenimento della pace in Europa.
Sotto la guida degli scopi e dei princìpi dello Statuto delle Nazioni Unite, nell’interesse di rafforzare e sviluppare ulteriormente l’amicizia, la cooperazione e l’assistenza reciproca in conformità ai princìpi del rispetto dell’indipendenza e della sovranità degli Stati, nonché della non interferenza nei loro affari interni, abbiamo deciso di concludere questo Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza e nominato i nostri delegati.

Ma c’è anche qualche “precedente”. Ovvero, i vari tentativi, nei primi anni cinquanta, del ministro degli Esteri sovietico, Vjačeslav Molotov, di giungere a un trattato generale europeo sulla sicurezza collettiva in Europa “aperto a tutti gli Stati europei senza considerare i loro sistemi sociali” con un progetto per la riunificazione della Germania, a patto che diventasse “neutrale”. Il tutto, ovviamente, fu rifiutato dai ministri John Foster Dulles (Stati Uniti), Anthony Eden (Regno Unito) e Georges Bidault (Francia). In seguito, lo stesso Dulles incontrò a Parigi Eden, il cancelliere tedesco Konrad Adenauer ed il francese Robert Schuman, invitando gli alleati a escludere i sovietici e a portare avanti il CED, la Comunità europea di difesa, un progetto di collaborazione militare tra gli Stati europei proposto e sostenuto dal Primo ministro francese René Pleven e da Alcide De Gasperi, che fallì a causa di un ripensamento proprio da parte della Francia.
C’è di più. Appena un mese più tardi rispetto a questo deciso “No” (siamo nel marzo del 1954), l’Unione Sovietica arrivò perfino a dichiarare la propria “disponibilità ad esaminare la questione della partecipazione dell’URSS nel blocco atlantico del nord assieme alle altre parti interessate”.
Ogni proposta sovietica, incluso l’ingresso nella NATO, fu subito rigettata dai governi occidentali.
Significativo il commento dello stesso Segretario generale della NATO, Hastings Lionel Ismay, fervente sostenitore della sua espansione, che si oppose alla domanda sovietica di far parte del Patto Atlantico, paragonandola alla “richiesta di un ladro impenitente di entrare nelle forze di polizia”.
L’entrata della Germania Ovest nel Patto Atlantico rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra della NATO nei confronti dell’Unione Sovietica: una guerra che sarà mantenuta “fredda”, per quasi mezzo secolo, (soprattutto) dall’infausta prospettiva di un potenziale conflitto nucleare.
D’altra parte, che le intenzioni dell’Unione Sovietica non fossero bellicose, soprattutto dopo la scomparsa di Iosif Stalin nel 1953, è confermato dal processo di “destalinizzazione” iniziato con il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) tenutosi al Gran Palazzo del Cremlino di Mosca dal 14 al 26 febbraio del 1956. Il Primo segretario del partito, Nikita Chruščëv, propose nuove strategie per il comunismo puntando essenzialmente sul concetto di coesistenza pacifica con il blocco occidentale e sull’accettazione dei processi parlamentari come possibile transizione al socialismo in alternativa alle rivoluzioni. Ma, soprattutto, denunciò le illegalità e gli orrori compiuti da Stalin.
Il “peso” del blocco occidentale sulla cortina di ferro era però destinato a generare crepe continue sui delicati equilibri dei paesi socialisti. Sarà un caso, ma è proprio dal fatidico abbraccio da parte della NATO alla Germania Ovest che ebbero inizio i movimenti tellurici in grado di disgregare progressivamente il blocco orientale. D’altra parte, la rivoluzione ungherese dell’autunno 1956 era già alle porte, poco più di un anno dopo rispetto alla nascita del Patto di Varsavia.