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Il bivio

di Livio Cadè - 13/08/2023

Il bivio

Fonte: EreticaMente

Linguaggio e realtà
Chiedersi oggi dove stia andando l’uomo non è una domanda retorica. Siamo davanti a un bivio che pone un’opzione fondamentale tra intelligenza e follia. I motivi che ci orientano non possono essere di carattere sociale, politico o economico, perché tali aspetti sono solo sintomi di un male e non la loro causa. La medicina deve basarsi su un nuovo stato di coscienza, una trasformazione radicale del pensiero. E le radici affondano nell’humus, nella terra, dove per ‘terra’ si intende l’esperienza, il rapporto umile con la verità.
Il nostro pensiero soffre da tempo di quel male che Whitehead chiamava “fallacia della concretezza mal posta”, inversione di valori che scambia l’astratto col concreto. L’uomo si rappresenta il reale mediante l’uso di concetti e simboli che infine tendono a surrogare l’esperienza delle cose. Ma ovviamente ‘fuoco’ non brucia e ‘acqua’ non disseta. E come descrivere i colori a un cieco o la musica a un sordo?
Il pensiero astratto gode della sua emancipazione dal dato concreto. Le parole si riferiscono ad altre parole, i concetti ad altri concetti, in un circolo vizioso. Il linguaggio si ripiega su di sé nell’atto di non significare nulla, se non i propri mezzi significanti. Diventa auto-referenziale, ‘dito che indica il dito’, in una sorta di verbolatria.

Un pensiero ridotto
Un pensiero integro, non difettivo, dovrebbe abbracciare il reale attraverso un atto interiore cui partecipano sensazioni, affetti, volontà, logica, memoria, sensi estetici e morali, intuizione, fede, immaginazione, sogni, visioni, fiducia negli altri. Dalla fusione di questi elementi emerge un pensiero della totalità che io chiamo ‘mistico’ perché consapevole di un fondo misterioso, ossia di una trascendenza del reale rispetto al soggetto che lo pensa.
Il pensiero dell’uomo moderno è invece ristretto in un’assoluta immanenza. I suoi discorsi poggiano su inferenze logiche e dati dell’esperienza fisica, su un riduzionismo razionalistico e materialista. Eppure, questo linguaggio contratto, tipico della dimensione tecnico-scientifica, si è imposto oggi come l’unico valido ai fini di una conoscenza obiettiva delle cose.
Questo non significa che l’uomo ‘medio’ capisca la scienza. Per il senso comune, più che un concetto definito, ‘scienza’ evoca un’intima sensazione. La spiegazione razionale di un fatto, la sua dimostrazione scientifica, ci rassicura sulla nostra capacità di prevedere, controllare, guidare gli eventi, ossia il nostro destino.
Si crede solo alla ratio, a ciò che si può misurare. Appaiono dunque sospetti tutti gli aspetti incommensurabili  della vita. Se la ‘scienza’ avoca a sé ogni giudizio di realtà e di verità, ciò che è scientificamente indimostrabile – Dio, l’anima, la vita ultraterrena, i criteri estetici o morali – va considerato irreale o privo di contenuto oggettivo.
In questa una prospettiva, scelte pur essenziali dell’esistenza di un uomo si riducono a materia di gusto, di credenza, di consenso sociale, di utilità pratica o di sensibilità soggettiva. La ‘scienza’ descrive fatti, le è indifferente il bene o il male, il bello o il brutto. Da un punto di vista scientifico è quindi incriticabile chi magnifica l’orrido nell’arte o condivide moralmente l’abominevole, chi cambia sesso, chi è satanista ecc. perché queste scelte non rientrano in un discorso di verità.

Razionalismo fideistico
Questo sembrerebbe concederci un’ampia libertà. In realtà, il nostro assenso viene estorto attraverso subdoli strumenti di persuasione. Accade cioè che le nostre decisioni vengano manipolate mediante quel tipo di pensiero che abbiamo definito “fiducia negli altri” – cioè il credere in qualcosa attraverso una testimonianza che riteniamo degna di fede.
Ma chi è per noi il soggetto degno di fede? Per un bambino sono i genitori, gli insegnanti, gli adulti in genere. Per l’uomo ‘medio’ sono due i soggetti fiduciari per antonomasia. Uno è l’esperto scientifico, di cui non può mettere in discussione l’autorità. L’altro è la comunicazione ufficiale, ovvero le informazioni ricevute da fonti che considera ‘autorevoli’, cui concede valore apodittico, oracolare.
Viene quindi trasferita su ‘specialisti’ e media una condizione psichica infantile, di passiva credulità. La coscienza della gente viene guidata da un grande Genitore, posta sotto la tutela di un massiccio apparato didattico-educativo. Il cittadino non deve sentire, riflettere, ricordare, perché è il Sistema a pensare per lui, a imporgli valori, a filtrare la sua memoria.
Schiavo della rapidità, della fretta e dell’impazienza, l’uomo scivola sulla superficie della realtà. Non si accorge se la verità di oggi contraddice quella di ieri. La contraddizione si perde nella mole dei messaggi che riceve. Il suo pensiero si alleggerisce della logica e dell’esperienza. Gli basta un semplice adattamento all’informazione, come certi organismi si adattano all’ambiente in cui vivono.

Qual è il problema?
Si dirà che è giusto informare la gente, che si tratta solo di renderla un’attività onesta, indipendente da logiche di profitto e di controllo politico. Questo ovvia considerazione non coglie un aspetto essenziale del problema. Bisogna capire come questo flusso incontenibile di comunicazioni, vere o false, comprima oggi la nostra coscienza in una dimensione astratta.
In modo analogo, è superficiale sostenere che la scienza ci aiuta a comprendere la realtà, a migliorare le condizioni di vita, e che il problema è distinguere tra una scienza buona e una corrotta. Di fatto, tutto il pensiero scientifico ha preso forme totalitarie, ha assorbito funzioni religiose, magiche e mitologiche, ha inibito altre espressioni dello spirito, ci ha illuso di poter salvare il mondo. Ha nutrito un ‘progressismo’ illuminista, alla Condorcet, che ha tradito le nostre aspettative di felicità, e che ci spinge oggi verso dittature tecnologiche, mediche, cognitive.
Ma il danno è a mio parere più profondo, e consiste nell’averci imposto una comprensione errata dell’universo e di noi stessi. Non solo chiudendo la realtà in teoremi precari, che vengono regolarmente contraddetti, togliendo ogni stabilità alla nostra intelligenza delle cose, ma rendendo l’uomo cieco a evidenze ben più importanti di quelle ‘scientifiche’.
Il problema è che la mentalità scientifica ha assuefatto il pensiero a una prospettiva puramente oggettiva. Vediamo solo una molteplicità di cose fuori di noi, la nostra stessa vita diviene un insieme di fenomeni esterni a noi stessi. Lo specchio della coscienza si rompe in infiniti frammenti. L’uomo, privato della sua integrità, finisce col pensarsi come somma di caratteri fisici e psichici.
E dato che l’uomo non è separato dal suo pensiero, ne consegue che lui stesso è il problema, e risolverlo implica per lui superarsi. La soluzione non può quindi venire da riforme sociali, rivoluzioni politiche. E, come diceva Heidegger, “la filosofia è alla fine”. Non possiamo aspettarci d’essere salvati da nuove astrazioni.

Necessità di un nuovo pensiero
Ci serve un pensiero nuovo. Non è necessario abbandonare la ricerca scientifica, o disconoscerne l’utilità, ma fonderla in un’intelligenza più ampia. Come un bastone usato per attizzare il fuoco viene infine buttato anch’esso nelle fiamme. Ci serve quel gesto di ritorno alla realtà con cui, a questioni astratte, il maestro zen rispondeva “le anatre volano verso sud” o “hai mangiato? Lava la tua scodella”. Non è una trasformazione che può essere prodotta intenzionalmente, con tecniche ‘razionali’. Il pensiero mistico attiene al non-fare molto più che al fare qualcosa, e questo ce lo rende incomprensibile.
Quando parliamo di un’evoluzione della coscienza noi semplicemente immaginiamo un proseguimento di ciò che già conosciamo. Il nuovo, il cambiamento, è per noi solo un progresso del vecchio, non una conversione. Non vediamo come l’evoluzione della psiche sia piuttosto una rivoluzione, abbia carattere discontinuo, proceda a liberi balzi, con imprevedibili sfondamenti di livello.
Per questo i più credono in una trasformazione dell’uomo legata allo sviluppo ininterrotto e lineare delle sue capacità scientifiche e tecnologiche, al suo progressivo razionalizzare e meccanizzare la vita, a un suo ‘fare’ potenziato. Immaginano l’alba della nuova coscienza illuminata dal pensiero artificiale, dagli algoritmi. Ma quest’alba è in realtà una notte tenebrosa.

Il centro dell’essere
V’è dunque una radicale divergenza tra pensiero scientifico e pensiero mistico e questo è per me il senso del bivio. È una scelta tra evoluzione materiale ed evoluzione spirituale, tra macchina e uomo, tra e schiavitù e libertà. Occorre però notare come il conflitto tra queste due diverse prospettive esistenziali non sia reciproco. Mentre la scienza esclude il misticismo, o lo rende oggetto di analisi razionali, il pensiero mistico non rifiuta la conoscenza scientifica.
Il primo si svolge infatti su un piano orizzontale, di fatti storici, e non vede la dimensione verticale della coscienza, il secondo partecipa invece di entrambi i livelli di realtà, relativo e assoluto. Di questi, uno attiene alla vita psichica, calata nel tempo e nelle sue contingenze storiche, l’altro all’eterna vita dello spirito. La vita ha per la scienza natura finita ed effimera. Per il mistico la caducità dell’uomo è invece riscattata e resa immortale dalla sua relazione con l’eternità.
Se concepiamo lo Spirito come fonte radiale delle nostre esperienze, i contenuti della coscienza appariranno come un movimento divergente o convergente dei raggi rispetto al loro centro, ovvero in direzione centrifuga o centripeta. Il pensiero che si allontana dal centro perde progressivamente la sua luminosità, e la riacquista riavvicinandosi. Si produce allora una diversa inclinazione del suo asse, il suo centro di gravità si sposta dall’io fisico, emotivo e mentale, al sé spirituale.
Questa metafora, con tutti i suoi limiti, può suggerire il senso di una ‘conversione’ che a livello personale può avvenire in ogni momento, a prescindere da condizioni storiche esterne. Era possibile all’uomo delle palafitte come a quello del XXI secolo. Tuttavia, in certe epoche assume forme sovra-individuali, incarnandosi in figure carismatiche, in grandi movimenti religiosi, forgiando un nuovo ‘spirito del tempo’.

New Age e nuova coscienza
È difficile dire se vi siano oggi indizi di questa mutazione. V’è un confuso proliferare di movimenti sedicenti ‘spirituali’, un diffuso bisogno di superare limiti razionalistici e di aprire la coscienza a visioni più ‘olistiche’ della realtà. Ma spesso questo impulso si ferma alla ricerca di una distensione psicofisica, o di un’ambigua consapevolezza di sé, a una contaminazione e ibridazione tra diverse culture che produce strane chimere, in una sorta di cosmesi spirituale in cui mancano gli elementi drammatici di una vera conversione.
Lo spiritualismo moderno si arrotola in linguaggi stereotipati, in una superfetazione di concetti e di tecnicismi, divenendo in fondo un bizzarro epifenomeno della coscienza razionale e del suo modus operandi. Il pensiero mistico non dispone ancora di un lessico adeguato. Né gode di una definizione attendibile, dato che un comune pregiudizio lo vuole rapimento estatico, estraniamento e fuga dalla realtà, atteggiamento astratto e visionario, qualcosa insomma di totalmente inadatto alla soluzione di problemi reali.
Ma il misticismo, tutt’al contrario, è il realismo dell’intelligenza, è l’impulso a superare le concretezze fallaci, gli idoli e le astrazioni della società moderna. È pensiero della concretezza, della totalità. È rifiuto del sapere futile e di quel divertissement pascaliano che il nostro tempo ha elevato a stile di vita. È semplicità, distacco, liberazione dal superfluo. Anti-economico per eccellenza, non si cura di perdita e profitto. È fede in sé stessi e in una divinità presente fin nelle cose più umili (“se siete in cucina pensate che tra le pentole sta Dio” diceva santa Teresa d’Avila). Soprattutto, è un pensiero di libertà.

Dopo la notte
Non si tratta di sognare un’umanità del futuro composta da mistici rapiti nella contemplazione dell’Assoluto, dimentichi delle necessità pratiche della vita, ma di abbandonare i vecchi paradigmi che hanno creato inimicizia tra uomo e cosmo, tra uomo e uomo. Riconoscere le colpe di un pensiero che “ha strappato la vita dall’àncora della realtà”.
In questo senso io credo che il futuro “sarà mistico o non sarà affatto”. Perché l’alternativa è il nulla, il non-essere. Cambiare coscienza sembrerà ai più un’ingenua utopia. Quante possibilità vi sono che l’umanità cambi direzione? Razionalmente forse nessuna. Ci restano quindi tutte quelle speranze che non dipendono dai nostri calcoli.
I razionalisti dicono ‘oscuro’ il Medioevo, che era epoca mistica. Quando “il vecchio sole gotico moriva all’orizzonte”, come dice Hugo, per loro spuntava l’alba di un nuovo pensiero. Ma quale peggior notte di quest’ultimo secolo? Siamo figli di un’era tenebrosa. Giunti al bivio, ci orienteremo nell’oscurità, seguiremo le stelle, attenderemo un nuovo mattino. E che faremo quando s’alzerà il sole? Nulla di speciale. Guarderemo le anatre volare, dopo aver mangiato laveremo la nostra scodella. E ci parrà di sentir ancora, tra le pentole, la presenza di Dio.