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Il capitalismo è in guerra con la famiglia per lo stesso motivo che l’ha portato a dichiarare guerra al sindacato. Desidera che le sue vittime siano individui, o in altre parole, atomi

di Antonio Catalano - 29/06/2020

Il capitalismo è in guerra con la famiglia per lo stesso motivo che l’ha portato a dichiarare guerra al sindacato. Desidera che le sue vittime siano individui, o in altre parole, atomi

Fonte: Antonio Catalano

LA COPPIA INATTUALE. MATRIMONI POLITICAMENTE SCORRETTI

Ho appena terminato la lettura de “La coppia inattuale. Matrimoni politicamente scorretti” di Elio Paoloni (l’autore, tra l’altro, di “Abbronzati a sinistra”). Lo scrittore è credente, ma il suo è l’approccio del laico secolarizzato, non nel senso però di chi considera la religione come qualcosa che “sta accanto”, un di più, quasi una pratica meditativa che aiuta a stare meglio sia nello spirito che nel corpo; ma nel senso di «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Lumen Gentium). Si tratta di un libro che non vuole essere un manuale di comportamento, ma un discorso “forte”, polemico, spesso condotto sul filo dell’ironia.

Il libro è dedicato agli atei, agli agnostici, ai tiepidi, e anche ai credenti, perché molti di loro «sono ancor meno portati a riflettere su criteri e valori di un’unione, sancita o di fatto»; l’autore esprime chiaramente il suo rifiuto della modernità che, però, non deriva dall’anagrafe, dall’inevitabile attaccamento ai tempi passati, semplicemente perché la modernità che oggi rifiuta era «già presente ai miei tempi». Quando si lasciava conquistare da quel nichilismo che lo portava allegramente a «votare per il divorzio e l’aborto». Divorzio che ha superato se stesso e oggi «agisce preventivamente, contribuendo alla rarefazione dei matrimoni». La sua critica alla modernità non è quindi nostalgia del passato ma rifiuto del suo frutto avvelenato, il relativismo. Il “nuovo”, scrive l’autore, «è solo uno dei modi di definire l’abbandono dell’idea stessa di Dio e, con essa anche della possibilità di definire il Bene e il Male, di intravedere la verità, sia pure con l’iniziale minuscola. Moderno è, – in assenza di Dio – divinizzare ogni cosa, se stessi, la scienza, i maiali».

Paoloni si sofferma sul tema della crisi del matrimonio, che poi è il nucleo del libro, partendo dalla leggerezza di certe scelte. Come la scelta di quelle coppie che preferiscono andare a convivere prima del matrimonio – se questo ci sarà – per sperimentare prima, e con una certa continuità, la dimensione sessuale. Anche se queste coppie hanno una probabilità di divorziare due volte in più rispetto a quelle che non hanno convissuto prima del matrimonio.

E qui mi viene in mente la Svezia, il mitizzato paese dei nostri provinciali progressisti, paese che si pone oltre la modernità, la patria di elezione del politicamente corretto, dove la solitudine delle persone raggiunge vertici allarmanti, più del 50% degli uomini e più del 50% delle donne vivono soli e più di un quarto delle donne che vuol diventare madri lo fa acquistando sperma su Internet perché è più “semplice”. Questa solitudine è raccontata magistralmente nel bel film documentario di Erik Gandini “La teoria svedese dell’amore”, del 2015, mandato in onda su Rai 3 nel 2016. Si può vedere qui: https://vimeo.com/244529715.

Paoloni usa parole di fuoco per la pratica dell’utero in affitto, dai benpensanti politicamente corretti ipocritamente chiamata maternità surrogata o gestazione per altri, si sa la neo lingua ha l’obbligo di edulcorare ciò che naturalmente non può essere accettato. E qui chiama in causa il fiero omosessuale (non gay) Aldo Busi che tempo fa parlò dell’«orribile pratica adottata dai gay più famosi, più ricchi e più sposati che basano la loro genitoriale felicità sull’ennesimo trauma di una donna, anonima o no». L’autore trova inaccettabile che la vulgata progressista faccia passare le posizioni a favore della famiglia, della natalità, della possibilità di scelta della donna e contrarie all’aborto, al divorzio e a nozze omosessuali come posizioni attribuite a schieramenti confessionali, bigotti, fondamentalisti. «Ma chi ha deciso che la morale, il pudore, il buon senso, l’unità della famiglia, l’amore per la tradizione, la volontà di perpetuazione, il rispetto della vita, la conservazione del genius loci, non possano essere laici, civili, universali?»

Ma che cos’è l’amore? Viviamo in un’epoca che fa dell’amore la chiave di volta delle relazioni affettive, tutto si tende a giustificare in nome dell’amore, quando poi spesso lo si confonde con l’innamoramento, e quando questo termina – e termina! – lascia al suo posto un vuoto abissale. Per cui oggi succede con una frequenza impressionante che una coppia si separi dopo poco tempo perché è “finito l’amore”. Giustamente Paoloni considera insopportabili i cinguettii sull’amore che consente e riscatta tutto, «questo diabolico fraintendimento dell’“ama e fa ciò che vuoi” di Sant’Agostino». L’amore, ci dice, è un sentimento e non è pertinenza dello stato avallarlo, qualsiasi apertura porta inevitabilmente «di equiparazione in equiparazione, attraverso l’uso demagogico, totalitario, dell’abusato termine “diritti”, all’adozione da parte dei maschi, una vera iattura dato che, malgrado tutto il cianciare sulla matrice culturale del genere, non è mai esistito un istinto paterno paragonabile a quello materno».

L’idea dell’amore non è stata sempre la stessa nel corso della storia; oggi, nell’epoca della liquidità e della frammentarietà, questa idea è completamente diversa da quell’altra che era invece alla base di un legame inossidabile che si rinnovava nell’impegno comune a perpetuare la famiglia. Rammento, a proposito, le parole del grande scrittore sardo Salvatore Niffoi quando questi parla di amore coniugale che oggi non vive più di solidità abnegazione solidarietà comprensione e tolleranza, mentre un tempo invece l’amore coniugale teneva uniti specialmente nei momenti più duri e disperati; l’amore odierno è per Niffoi spesso un amore globalizzato, omologato, plasmonianamente omogeneizzato, un amore che si tiene unito col moccio. Col moccio. Perché ci sono amori per i quali basta uno starnuto per mandarli via, amori fatti solo di egoismo profondo; ma gli egoismi profondi che si incontrano non fanno nascere grandi amori e né mai grandi famiglie, ma solo grandi egoismi autodistruttivi. L’amore, sempre per lo scrittore sardo, non vive di se stesso, l’amore vive di quella robusta e difficile realtà che porta la coppia a sentirsi uniti specialmente nei momenti più duri e disperati. Tutto il contrario di quanto la liquidità odierna produce.

«Un matrimonio è sempre toccante, lo ammetto, ma perché lasciarlo celebrare a un assessore? Sposatevi in chiesa, cioè per davvero. Anche se non ci credete. L’assessore sancisce, non benedice.» Il matrimonio deve confermarsi nella sacralità. Una sacralità che solo il Tempio può offrire. «Se volete sentir risuonare le parole amare e onorare per tutta la vita, dovete entrare in un Tempio. Se volete che il vostro amato prometta di essere fedele per sempre, nella gioia e nel dolore, dovete presentarvi a un sacerdote, a quel sacerdote che chiuderà con un monito solenne: “L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce”. Ooops, ci si era ripromessi di non nominare Dio, che qui non sarebbe invano ma potrebbe scatenare avversioni ideologiche.»

Prima di concludere voglio accennare al capitolo intitolato “la scomparsa dello zio”, in cui il tema è l’innaturalità in cui oggi viene percepito l’atto procreativo. «L’evento è così raro, così ritardato, così pianificato, che i procreatori si sentono eroi prometeici, esploratori monomaniaci tornati raggianti e spaventati dai confini dell’universo con appresso un alieno.» Ma perché la scomparsa dello zio? «I figli unici sono uno su quattro, per cui ci sono altissime possibilità che una coppia sia formata da figli unici: e la loro prole non avrà neppure zii e zie. Stiamo insomma per costruire un mondo in cui il termine stesso di zio scomparirà», scrive Paoloni citando Achille Varzi.

Il libro propone tanti altri e stimolanti temi, il lettore li scoprirà, ma devo ora avviarmi a concludere, e voglio farlo riprendendo la citazione posta nelle ultime pagine. «Il capitalismo è in guerra con la famiglia per lo stesso motivo che l’ha portato a dichiarare guerra al sindacato. Desidera che le sue vittime siano individui, o in altre parole, atomi. Se esiste un qualsiasi legame, se esiste una fraternità, se esiste qualche lealtà di classe o disciplina familiare, questi liberatori lotteranno certamente per sciogliere quel legame o controllare quella disciplina secondo la moda liberale. I maestri della plutocrazia moderna sanno il fatto loro: senza la famiglia siamo indifesi di fronte allo Stato.» Lo scriveva Gilbert Keith Chesterton nel 1920.

Un libro da leggere, che non teme di suscitare le reazioni indignate degli educati e perbenisti cultori della modernità; la sua scanzonata e “secolare” critica dei dogmi del progressismo politicamente corretto impedisce che i temi trattati siano derubricati come roba d’altri tempi, come vorrebbe la corrente di pensiero dominante. Un libro sicuramente fuori dal coro. Nella speranza che non tardi a rientrare nel coro.