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Il grande studio

di Pierluigi Fagan - 12/07/2020

Il grande studio

Fonte: Pierluigi Fagan

Nella sue Lezioni di Storia della Filosofia, Hegel sbriga la pratica Confucio così: “Non è plausibile attendersi da lui profonde ricognizioni filosofiche. Per noi, a questo proposito, non v’è niente da guadagnare. Probabilmente, il De Officiis di Cicerone è meglio di tutte le opere confuciane”. E quindi mentre in Cina fioriva l’altra grande civiltà planetaria nel mentre gli antenati di Hegel, coperti di pelli, saltellavano nei boschi a cercar di catturar marmotte finendo poi con l’accontentarsi di un brodo di radici, il tutto sarebbe avvenuto senza pensiero. O per lo meno senza pensiero di un qualche interesse per il culmine della riflessione occidentale incarnata dall’ambizioso e sprezzante professore di Stoccarda.  
Cinque secoli prima di Cicerone, non molto dopo che Romolo aveva ammazzato il fratello Remo nelle insalubri paludi tiberine, in quel dello Shandong, visse il Maestro Kong. Confucio è al contempo il condensatore della tradizione di pensiero di lui ben più antica (anche se quanto “antica” non si sa, si suppone almeno di mille anni, ma forse anche di più) e la base di quel complesso di riflessioni che saranno la base di tutto lo sviluppo intellettuale cinese, ancora fino ad oggi. I suoi testi “classici” sono quattro ed uno è un brevissimo scritto che sta in poco più di una paginetta, detto Grande (大-Da) Studio (學-Xue), forse parte a sua volta del Libro dei Riti che è uno dei Cinque Classici della tradizione. Cosa dice il Grande Studio?
Si tratta di un breve ragionamento percorribile a due vie, dall’alto al basso e viceversa, il cui fine è la società perfettamente adatta. Per avere una società perfettamente adatta bisogna curare il principale di questo sistema, ed il principale è per tutti, “dal Figlio del Cielo (l’Imperatore) all’ultimo del popolo”: perfezionare  la propria persona.
Il ragionamento parte dal fatto che gli Antichi, per dare ordine allo Stato, davano ordine alla propria famiglia, per cui prima perfezionavano la propria persona, quindi correggevano il proprio “cuore” (cuore in cinese significa anima e mente, c’è un solo termine (心 Xin) il dualismo cartesiano è tecnicamente intraducibile nella lingua, quindi nella logica, cinese). Dovendo correggere il proprio “cuore-mente” rendevano giusti i loro pensieri, il che però imponeva ampliare al massimo la propria conoscenza. Ampliare a fondo la conoscenza significa “investigare a fondo le cose”, cioè “Intendere ciò che precede e ciò che consegue”. Questo avvicina alla Via, il Dao, concetto comune al taoismo visto che entrambi derivano da più antica tradizione indivisa.   
Su questa base di continua, inesausta ed approfondita indagine sulle cose, la conoscenza è aumentata, i pensieri sono più adeguati, il cuore è corretto, la persona è più perfezionata quindi la famiglia regolata e quindi ordinato lo Stato ed infine l’impero pacificato. Da cui il succo prima anticipato dell’indicazione principale che se ne ricava: perfezionare la propria persona. Conclude “Non può essere che si tenga in disordine il principale e in ordine l’accessorio”. il "principale"  è l'individuale "virtù luminosa".
Sono duemilacinquecento anni che i cinesi riflettono su questo breve scritto, su ogni sua parola (scritta per altro non da Confucio e comunque in cinese antico), sull’interpretazione. Ma come per Eraclito, Confucio merita una interpretazione olistica ovvero basata sul corpo complessivo di ciò che di lui ci è arrivato, è questo sistema complessivo che fa da contesto al testo preciso.
Ci sono due insegnamenti, a mio avviso, in questo scritto. Uno è il perno detto “il principale” e questo è indubbiamente il concetto di “self-cultivation”, l’attitudine a coltivare se stessi, farsi oggetto della propria soggettività intenzionale, nella tradizione confuciana sfociante nello studio ma non solo. L’altro è questo tessuto continuo che dallo Stato porta all’individuo e viceversa, non un individuo specifico o il più alto nella gerarchia sociale, l’individuo componente la società in senso esteso e generico.
Contrariamente alla disordinata vulgata occidentale che vorrebbe la tradizione confuciana comunitaria in senso occidentale ovvero predominante sull’individuo, in Confucio e nella tradizione cinese, come non c’è antinomia tra anima e mente, non dovrebbe esserci tra individuo e società. Nella tradizione cinese il concetto orientativo è l’Armonia, non il Polemos.  Per far che sia così, l’individuo deve coltivare se stesso non meno che la società, c’è una responsabilità individuale a rendersi adeguati alla forma di vita associata.  
La tradizione occidentale, non ha molto sviluppato questo impegno dell’individuo verso se stesso. “Giù le mani da te stesso!” ammoniva severo Agostino d’Ippona. Siamo creature di Dio quindi siamo perfetti ab origine, possiamo solo sperperare questo patrimonio originario come già sperperammo la virtù naturale col peccato originale, non a caso legato alla voglia di conoscere. E’ questo presupposto di perfezione ereditata che ci ha portato a fare delle nostre società, una semplice addizione delle nostre libere pulsionalità. Ne sono nate società pulsionali che infatti hanno sistematicamente tracimato dal proprio “permanere” per avere di più. Quindi guerre, colonie, imperi, conquiste, domini, schiavi, servi, distruzione ed accaparramento  delle dotazioni naturali in quella “volontà di potenza” che in realtà non nasce nel pensiero di Nietzsche ma in quello di Schopenhauer, il primo violento e sbeffeggiante critico di Hegel. Schopenhauer pensava di curarla con la “noluntas”, una sorta di accettazione ascetica orientaleggiante di tradizione indiana. Certa tradizione stoica che arriva fino a Pierre Hadot e da lui Foucault, suggerisce lo sviluppo del “saper vivere” che include il lavoro su di sé anche se non specificatamente rivolto alla conoscenza. Confucio invece, consiglia modificare se stessi studiando e riflettendo, predisponendosi quindi ad una miglior forma delle vita associata.
Naturalmente, volendo  defezionare dalla tradizione occidentale "polemica", non si pone la questione di quale tradizione sia migliore. Anche perché l'evoluzione dei nostri sistemi di pensiero, di sua norma, dovrebbe esser non terminabile, non esclusiva e non competitiva.
Trovo però interessante sia l’idea della coltivazione di sé che non si riduca a studiare l’inglese e prender la tessera una palestra, sia l’idea del continuo allargare e fortificare la propria individuale conoscenza di sé, degli Altri e del Mondo tanto umano che naturale, sia il fatto che Hegel al culmine della riflessione occidentale sistematica, non trovasse in Confucio nulla di più interessante di quanto si trovi nei foglietti di un bacio perugina.