Il libro nero della scuola
di Giorgio Matteucci - 07/03/2023
Fonte: Italicum
Intervista a Giorgio Matteucci, autore de “Il libro nero della scuola”, Arianna Editrice 2022, a cura di Luigi Tedeschi
1) Con la rivoluzione digitale si verificherà una vera e propria rivoluzione culturale. La formazione del pensiero critico verrà soppressa sul nascere nella nuova scuola digitale. La cultura digitale ammette solo test – standard e risposte predeterminate. Ma le forme di apprendimento sono, come si sa, diversificate a seconda della personalità di ogni individuo sin dall’infanzia. Nella cultura infatti non esistono mai risposte univoche, né tanto meno definitive. L’unica fonte del sapere sarà rappresentata dall’apparato Hi – Tech, si affermerà un nuovo enciclopedismo totalitario – tecnocratico. L’obsolescenza dei libri e l’abolizione della scrittura grafica, non sono dunque elementi essenziali di un progetto di ingegneria sociale messo in atto dal Grande Reset, onde omologare l’uomo alla tecnologia, capovolgendo in tal modo il rapporto tra l’uomo e la tecnica? L’uomo non diviene quindi materia prima plasmabile e strumentale ad un progresso tecnologico infinito ed indefinibile nelle sue finalità?
L’immagine del “rogo dei libri” è una delle cifre di qualunque totalitarismo storico ed è presente, in varia forma, in diverse rappresentazioni distopiche. In questi ultimi anni ci troviamo di fronte, nuovamente, all’ennesimo “rogo dei libri”. Si tratta di una nuova forma di rogo, nel quale ciò che viene dato alle fiamme non sono i libri in sé, bensì la capacità di leggerli e di capirli. Studi di psicologia transgenerazionale mostrano inequivocabilmente che i giovani delle generazioni del passato dedicavano molto più tempo alla lettura di libri e riviste rispetto ai giovani delle generazioni attuali. Le rilevazioni Ocse-Pisa mostrano che negli ultimissimi anni vi è stato un drammatico calo delle prestazioni nella comprensione del testo in tutti i paesi dell’area Ocse, in special modo nei paesi più tecnologicamente avanzati. Gli stessi libri di testo scolastici ed universitari, lì dove ancora si usano, sono semplificati, ridotti in dimensione e infarciti di immagini o rimandi a contenuti multimediali. I Dirigenti Scolastici istigano gli insegnati delle proprie scuole a marginalizzare l’uso dei libri, in favore dei nuovi strumenti digitali generosamente finanziati dalle istituzioni nazionali e comunitarie. La Fondazione Gates, il principale finanziatore della scuola pubblica e privata degli Stati Uniti negli ultimi vent’anni, auspica apertamente “l’obsolescenza dei libri”. Libri che, nelle intenzioni di Gates, andrebbero sostituiti con strumenti tecnologici in grado di capire la mente di chi li sta utilizzando, ovviamente con il nobile fine di personalizzare i processi di apprendimento. A mio avviso, il meccanismo con cui si è raggiunto l’obiettivo di allontanare le nuove generazioni dalla lettura e dai libri non è stato quello previsto da Aldous Huxley ne Il mondo nuovo, nel quale i bambini destinati ad essere inseriti nelle classi sociali più umili erano condizionati a suon di scosse elettriche a temere la vicinanza dei libri, secondo il classico paradigma di condizionamento pavloviano basato su punizioni. Il medesimo risultato di allontanare i giovani dai libri è stato raggiunto utilizzando il paradigma di condizionamento skinneriano. Si è liberalizzato e deregolamentato l’utilizzo di strumenti digitali, che hanno un riconosciuto effetto dopaminergico analogo alle droghe pesanti, anche nei più giovani. L’attività di leggere un libro, che richiede, per contro, una dose elevata di impegno, concentrazione e fatica, è pertanto diventata incompatibile con l’abitudine, più semplice e piacevole, ad utilizzare smartphone, tablet, Lim e, nel prossimo futuro, grazie ai finanziamenti europei del PNRR, Visori VR e videogiochi educativi. Rispettando pienamente il modello di condizionamento operante di Skinner, si è riusciti ad eliminare un comportamento – leggere – semplicemente rinforzando, grazie all’intrinseco effetto dopaminergico, un comportamento alternativo incompatibile – utilizzare strumenti digitali.
Parallelamente al rogo delle capacità di lettura, stiamo assistendo alla scomparsa della scrittura in corsivo. E chissà che in un futuro prossimo non si assista alla definitiva scomparsa della scrittura a mano. Da anni, in molte scuole pre-elementari hanno fatto la comparsa programmi di disegno su paint e programmi di scrittura con word. Nelle scuole elementari è stato abrogato l’obbligo di insegnare a scrivere in corsivo e le ricerche, nelle scuole di ogni ordine e grado, oramai vengono svolte su formato elettronico. Per usare l’espressione della grafologa Irene Bertoglio “il corsivo è l’encefalogramma dell’anima”, perché l’esercizio della scrittura in corsivo attiva circuiti cerebrali di motricità fine, visione e cognizione importantissimi per lo sviluppo della propria intelligenza e personalità. La progressiva scomparsa dell’uso del corsivo e, più in generale della scrittura a mano, è il più terrificante, aberrante, distopico e silente fattore di omologazione a cui sta andando in contro l’essere umano. Ricordiamoci che anche in 1984 di George Orwell la scrittura privata a mano era vietata.
2) La scuola digitale condurrà alla scomparsa delle Scienze umane. La cultura umanistica si rivela infatti incompatibile con l’avvento dell’era digitale. Si imporrà dunque una concezione della storia come “Big History”, secondo cui l’uomo è una entità marginalizzata nel contesto dei processi evolutivi del cosmo. L’uomo è una specie indifferenziata e le grandi civiltà del passato sono considerate come eventi del tutto marginali. La storia dell’uomo è subordinata alle evoluzioni delle ere geologiche, ai mutamenti climatici ed anche al progresso scientifico e tecnologico. Se quindi l’uomo è una specie adattabile e omologabile alle evoluzioni degli eventi cosmici, è di conseguenza una entità naturale che può essere decomposta e manipolata dalla scienza. La Big History non deve allora essere considerata come una espressione di quella ideologia gender che condurrà fatalmente all’avvento del trans umanesimo?
Tra i primi a rendersi conto di ciò che stava succedendo troviamo l’antropologa italiana Ida Magli. In un suo libro di diversi anni fa, La Dittatura Europea, Magli descrive con una preveggenza incredibile il processo di marginalizzazione che stavano già subendo le scienze umane come l’antropologia, la storia, la filosofia, l’arte e la musica nei sistemi scolastici e accademici. Effettivamente nelle scuole, con una strategia “a macchia di leopardo”, le ore di scienze umane si stanno riducendo in tutti i corsi di studio e vengono sostituite da ore di coding e di TIC. Anni fa, in Francia, con il governo Macron-Blanchet la filosofia è stata resa materia opzionale. Nella visione del mondo paneuropeista e globalista nella quale siamo immersi oramai da troppi anni, qualsiasi forma di differenza antropologica è vista come una minaccia. Qualsiasi forma di differenza culturale, nazionale, religiosa, identitaria e, financo, sessuale tra esseri umani minaccia la costruzione del nuovo modello di uomo cosmopolita, globale, tipizzato e omologo. Ricordiamo che ne Il mondo nuovo di Huxley la tipizzazione degli esseri umani in una manciata di classi sociali clonate e omologhe è la base della stabilità sociale nel distopico mondo da lui immaginato. In questo contesto, il progetto Big History, voluto e finanziato dalla Fondazione Gates, rappresenta la massima espressione di una rilettura della storia universale, nella quale gli esseri umani sono ridotti alla loro essenza comune di H. sapiens, spoglia di ogni altra identità etnica o culturale, e sono inseriti all’interno di un processo evolutivo che ha come suo prossimo orizzonte di senso l’inevitabile ibridazione dell’H. sapiens con le macchine.
3) Con la digitalizzazione dell’istruzione lo Stato delega le proprie politiche educative ai giganti dell’ Hi – Tech. Lo Stato quindi viene meno ad una delle sue funzioni primarie, quella dell’educazione delle nuove generazioni. I fondamenti etici dello Stato sono in via di dissoluzione. La funzione legislativa dello Stato consiste ormai nelle politiche di deregulation normativa, al fine legittimare l’incontrollato espandersi della tecnologia digitale nella società civile. In tale contesto, non emerge una evidente omologazione dell’istruzione pubblica al modello economico neoliberista, che non tollera barriere legislative, politiche e morali allo sviluppo illimitato del libero mercato? E soprattutto, l’incombente totalitarismo tecnocratico imposto alla istruzione, non è conforme al progetto di pianificazione economica globale teorizzata dal Grande Reset di Davos?
Per quanto sia oramai da diversi anni che la scuola pubblica, non solo quella italiana, sia nelle mani delle lobbies del digitale, con la pandemia da covid-19 siamo stati testimoni di una vera e propria rivoluzione. Negli Stati Uniti, ancora sotto il governo Trump, è stato varato il Care Act, attraverso il quale è stato totalmente deregolamentato il processo di introduzione di nuove tecnologie nelle scuole. Se sino ad allora, l’introduzione di una nuova tecnologia educativa, partorita da una qualche azienda hi-tech, doveva confrontarsi con iter legislativi e burocratici per essere approvata ed effettivamente introdotta nelle scuole, con il Care Act si lascia carta bianca e fondi pressoché illimitati alle compagnie private che producono giocattoli tecnologici da distribuire con enorme generosità alle scuole. In questo contesto, la cosa tragicomica è che gli insegnanti, tradizionalmente mal pagati e oramai a rischio sostituzione da parte di avatar e programmi di apprendimento basati su abbonamento, vengono trasformati loro malgrado e inconsapevolmente in lobbisti delle grandi aziende del digitale. Un esempio di questa deregolamentazione è ora sotto gli occhi di tutti anche in Italia. Il nuovo Piano Scuola 4.0, partorito dal PNRR, a sua volta figlio legittimo della gestione della pandemia da covid-19, traghetterà la scuola nell’”eduverso”, nella realtà aumentata, nelle aule ibride e, al contempo, condurrà l’intera società nel metaverso e nella vita “on-life” con tutti rischi connessi. Sono interessanti, a questo proposito, gli innumerevoli report di esponenti del circolo di Davos pubblicati durante la pandemia, nei quali si afferma con forza che, grazie ai lockdown e alle misure adottate dalle scuole in tutte il mondo, si sono fatti passi avanti da gigante nella tanto agognata società ricostruita da internet in su. La scuola ne sarà il punto di partenza.
4) La svolta neoliberista imposta a livello globale ha determinato la progressiva scomparsa del ceto medio. Ma, in concomitanza della proletarizzazione economica, si è verificata anche una proletarizzazione tecnologica di massa, poiché sia il lavoro che la vita sociale oggi subordinati ad una tecnologia invasiva di cui nessuno, o quasi, è in grado di conoscere meccanismi che presiedono al suo funzionamento. Specularmente, nella scuola il totalitarismo digitale non produrrà nella società futura una deresponsabilizzazione generalizzata in individui soggetti ad una perpetua sorveglianza ed al tracciamento pervasivo dei propri comportamenti? La dipendenza tecnologica generata dall’istruzione digitale, con le sue suggestioni virtuali, lesive della volontà e della creatività individuali, non produrrà un infantilismo di massa in cui l’immagine mediatica si antepone e si sostituisce alla realtà?
Nell’era del Capitalismo della sorveglianza, come la ha definita Suzanne Zuboff, educare le nuove generazioni alla sorveglianza, al tracciamento pervasivo e alla totale addomesticazione nei confronti della violazione della privacy e all’uso spregiudicato dei dati personali è fondamentale. Mi verrebbe da dire che, per rimanere nell’ambito della scuola italiana, questa educazione alla sorveglianza è iniziata nel 2012 con il governo Monti, sotto il quale nelle scuole è stato introdotto il registro elettronico. È bene ricordare che, a tutt’oggi non esiste un obbligo di legge che imponga l’adozione del registro elettronico e che il registro cartaceo, di fatto, non è mai stato abrogato. Questo perché il Garante della privacy non ha mai approvato il registro elettronico. Nonostante ciò, i Dirigenti scolastici hanno fatto in modo che il registro elettronico venisse approvato dai Collegi docenti e introdotto in via sperimentale nelle scuole. Dopo la pandemia credo che non esistano più scuole prive di questo strumento. Con il registro elettronico lo studente può essere sorvegliato dalla famiglia e dalla scuola. In tempo reale, la famiglia può controllare se il figlio è andato o non è andato a scuola, se ha preso un voto o un rapporto disciplinare, togliendo al figlio spazi di libertà, autonomia e responsabilità. Ma soprattutto abituandolo a convivere con sistemi di sorveglianza allo stesso tempo pervasivi, discreti e famigliari. Dal canto suo lo studente è totalmente deresponsabilizzato da insegnanti zelanti che scrivono al loro posto i compiti sul registro elettronico e da genitori ansiosi che lo controllano al posto loro. Ovviamente, il Diario personale e privato degli studenti è in via di estinzione. Con l’adozione del registro elettronico, una enorme quantità di dati personali e sensibili vengono inseriti quotidianamente su piattaforme gestite da aziende private che, a loro volta, li inviano a server sparsi per il mondo. Con la pandemia e l’ingresso di Google nella scuola le cose sono ancora peggiorate ed è stato lo stesso Garante della privacy ad aver protestato con una lettera inviata all’allora Ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina. Lettera che non ha sortito alcun effetto, dato che, con la fine della pandemia, le scuole hanno mantenuto non solo il registro elettronico, ma anche gli accordi con Google, con account per tutti gli studenti e insegnanti. Particolarmente sorprendente è il fatto che le scuole stiano continuando usufruire dei servizi gratuiti offerti da Google, operando in palese contrasto con la sentenza Screm II del 16 luglio 2020 della Corte di Giustizia dell’UE.
5) La finalità dell’istruzione pubblica nell’era moderna è stata quella di educare le nuove generazioni ad acquisire una propria personalità autonoma, a sviluppare uno spirito critico che consenta loro una attiva partecipazione nella vita sociale. Nella società contemporanea, la scuola si prefigge invece di sviluppare nei giovani attitudini e professionalità funzionali alle esigenze del mercato del lavoro. Così si esprime al riguardo Massimo Bontempelli nel libro “L’agonia della scuola italiana”, Edizioni CRT 2000: “Il rapporto della scuola con il mondo del lavoro e con la contemporaneità della vita deve infatti ovviamente esserci, ed essere il più possibile fecondo, ma non può essere un rapporto di connessione immediata, costituito da un insegnamento direttamente professionalizzante, senza snaturare la finalità culturale e la funzione educativa della scuola stessa. Una scuola organizzata essenzialmente per fornire le competenze richieste dal mondo del lavoro è inutile come scuola, e può essere sostituita da un’agenzia economica privata”. Ma il sistema economico non potrebbe allora esso stesso investire per la formazione delle risorse umane necessarie alla produzione? Una scuola pubblica subordinata alle imprese non dovrebbe essere abolita come un ente inutile? Infine, cosa garantiscono le imprese private che assumono personale formato dalla pubblica istruzione, in termini di occupazione, investimenti ed emancipazione sociale?
Probabilmente l’atavica diatriba sul senso della scuola – serve a formare personalità autonome o serve a formare forza lavoro? – sta arrivando ad un punto di svolta. Questo perché il mercato del lavoro sta convergendo inesorabilmente verso un collo di bottiglia, verso figure lavorative che in un modo o nell’altro dovranno tutte avere a che fare con il digitale. Già il 5 maggio 2010, il Parlamento Europeo approvava la Agenda Europea per il Mercato Unico Digitale, nella quale si davano anche indicazioni chiare agli stati membri sul tema della scuola. Per preparare i giovani europei al prossimo mercato unico digitale si esortavano le scuole ad iniziare la alfabetizzazione digitale a partire dalle scuole pre-elementari, con l’obiettivo di formare al più presto utenti esperti della rete. Dal quel momento computer, tablet, lim sono cominciate ad apparire pudicamente nelle scuole di ogni ordine e grado in tutti i paesi europei e, guarda caso, proprio dal 2012 inizia il crollo delle prestazioni scolastiche in tutti i paesi dell’area Ocde. Non esiste più una figura lavorativa che non debba essere ritorta in senso digitale. Giusto per fare un esempio, in Italia l’indirizzo di studio professionale per i servizi socio-sanitari, che dovrebbe formare persone che lavorano con bambini, anziani e disabili, con l’ultima riforma di qualche anno fa, ha eliminato le materie di musica e di arte e ha ridotto le ore di psicologia e scienze umane, per fare spazio all’informatica. A quanto sembra tutti dovranno diventare informatici di qualche tipo e poco importa che secondo l’ultima rilevazione Ocde solo il 7% degli studenti italiani hanno dichiarato di voler lavorare in ambito informatico. E poco importa, ancora, che nelle ultime settimane aziende come Google, Amazon, Meta, Microsoft ed altre abbiano licenziato il 5-6% dei propri ingegneri per sostituirli con programmi di Intelligenza Artificiale, magari programmati proprio da qualcuno di loro. Come può, a questo proposito, non venire in mente E noi come stronzi rimanemmo a guardare, il simpaticissimo film di Pfi?
6) Il progresso tecnologico ha contribuito nei secoli scorsi alla emancipazione dell’umanità dalla povertà, dall’ignoranza, dalla subalternità politica e sociale delle classi inferiori. Nel secolo XXI° tali prospettive evolutive sembrano arrestarsi. L’attuale progresso tecnologico non ha determinato l’elevazione economica e culturale delle masse, anzi, ha generato disoccupazione e declassamento sociale. All’avvento della tecnologia nell’istruzione, ha fatto riscontro un calo degli indici di rendimento scolastico. Il processo di alfabetizzazione nel mondo non registra i progressi del recente passato, il quoziente medio di intelligenza, già in costante crescita nel XX° secolo, è oggi invece in declino nei paesi industrializzati. Non si deve concludere pertanto, che la tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale, anziché configurarsi come fattori evolutivi dell’uomo e della società, si trasformeranno in indispensabili supporti alle carenze cognitive di masse affette da handicap psicofisici?
Più o meno in contemporanea alla diffusione di massa di internet abbiamo assistito ad un altro fenomeno, ossia all’inversione del cosiddetto effetto Flynn, in base al quale ogni generazione mostrava un aumento medio del QI di circa 3 punti percentuali rispetto alla generazione precedente. Ora questa tendenza si è invertita in modo talmente drammatico che addirittura all’interno della stessa famiglia il figlio maggiore ha un QI mediamente superiore rispetto al figlio minore. Mi viene in mente un altro divertentissimo film, Idiocrazia, nel quale un individuo dal Qi perfettamente nella media viene ibernato e si risveglia 500 anni dopo, ritrovandosi a vivere in una società di decerebrati e semianalfabeti. Ma la realtà potrebbe superare, come spesso capita, la fantasia. Le associazioni internazionali che si occupano di Alzheimer ogni anno fanno previsioni circa esordi sempre più precoci della demenza senile. Anche in questi casi, inversione dell’Effetto Flynn e previsioni di esordio precoce delle demenze senili, il principale indiziato è l’uso di dispositivi ed App che vanno a sostituire sempre più attività cognitive umane. A questo punto, può effettivamente non essere del tutto fuori luogo immaginare una società futura nella quale pedoni privi di capacità di orientamento si facciano guidare da navigatori GPS, magari integrati nei loro corpi, piloti che non sanno guidare si facciano trasportare da automobili a guida autonoma, insegnanti che non sanno insegnare facciano fare lezione a degli avatar nell’eduverso, sindaci che non sanno amministrare la propria città deleghino tutto ad una qualche piattaforma di gestione per smartcity e che cittadini privi senso critico si lascino governare da un algoritmo fornito da una qualche grande azienda Hi-Tech. Una integrazione sostanziale, continua, ontologica tra esseri umani, oramai decerebrati, con una variegata gamma di App di Intelligenza Artificiale fornite da una manciata di aziende, potrebbe apparire, paradossalmente, come auspicabile.