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Il partito legale e l'abolizione della realtà

di Adriano Segatori - 25/05/2025

Il partito legale e l'abolizione della realtà

Fonte: Electomagazine

C’è un’operazione in corso da parte della magistratura, quantomeno dell’ala più politicizzata e spregiudicata del mondo giudiziario. Peraltro, seppure su impianti giuridici diversi, sembra che in tutta Europa l’indicazione ideologica propenda inesorabilmente verso un’unica direzione pragmatica: la dissoluzione di ogni verdetto democratico; la disgregazione dei fondamenti di ogni Stato che si possa considerare rappresentante di un popolo, come la sicurezza e l’equità; la liquefazione delle stesse leggi di natura, come nell’ultima decisione della Consulta.
Quando, poi, nell’ambito strettamente politico, qualche sistema sedicente democratico si trova di fronte a un partito legale che rifiuta la narrazione generale e pretende una propria autonomia decisionale, scatta immediatamente l’operazione di squalifica e di demonizzazione, utilizzando in maniera deformata vocaboli più che accettabili e condivisibili come populismo o sovranismo.
Il sistema giudiziario, insomma, non limita la sua funzione di applicare la legge e di valutare ciò che è lecito e ciò che è illegale, tra ciò che è consentito e tra ciò che è proibito, ma sconfina nella costruzione linguistica e contemporaneamente giuridica per stravolgere addirittura la suprema legge di natura, la quale – avvertono i miti dei nostri antenati – persino gli dei avevano il timore di trasgredire.
Di fronte ormai alla più acclarata evidenza che siamo di fronte a delle manipolazioni genetiche e psicologiche iniziate molto tempo fa con precisa tecnica subliminale, non ci resta che prendere atto, alla fine di questa deformazione della stessa realtà, anche di una vera e propria manipolazione giuridica.
Con una pedanteria da azzeccagarbugli si nega la stessa varietà di natura attraverso la manipolazione linguistica.
Queste aberrazioni sofistiche sono perfettamente individuate e descritte da Michel Onfray in Teoria della dittatura. Si prende un termine – genitore – lo si espropria della valenza etimologica e si impedisce così ogni possibilità di ragionamento e di confronto tra pensieri diversi. Lentamente, ma con metodica progressione, si impoverisce il già precario lessico quotidiano e si inseriscono interpretazioni nello stesso vocabolo ambivalenti e magari pure contraddittorie. A questo punto, quando la madre non è la genitrice, ma una qualunque che si sente portata ad esserlo, e quando il padre è uno dei due maschi che hanno comperato un bambino da una donna pagata in comodato d’uso, e quando a colorare questa operazione entra il sentimentalismo perverso delle nuove invenzioni di identità arcobaleno, ogni critica è impossibile perché mancano numericamente e qualitativamente i termini per impostarla. Per dirla in maniera scientifica, ogni significante – il suono della parola pronunciata – scompare, e così pure evapora il significato – l’immagine mentale, il pensiero che l’interlocutore concepisce. Con una semplificazione, se dico “padre” e “madre”, ma le madri possono essere due, i maschi possono essere padre e madre a scelta, ogni possibilità di definire in maniera logica e psichicamente integra una relazione o una realtà circostante viene meno. E se per linguaggio folle si intende quello irrazionale, disordinato, complessivamente anormale, teniamoci saldi perché ormai è la stessa politica, è la stessa magistratura a debordare in un terreno alienato e assurdamente insano.