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Il primo "Manuale di Rivoluzione Culturale"

di Antonello Cresti - 01/06/2025

Il primo "Manuale di Rivoluzione Culturale"

Fonte: Il Giornale d'Italia

Antonello Cresti è un musicista e saggista, ha pubblicato quattordici libri, numerosi album musicali e collaborato con prestigiose testate. Promotore instancabile di idee e sonorità “altre”, ha organizzato eventi e realizzato opere audiovisive di successo. Con un passato attivo anche in politica e comunicazione, Cresti unisce un pensiero anticapitalista a una visione trasversale che spazia tra arte, cultura, spiritualità e impegno sociale. Riveste attualmente il ruolo di Segretario Organizzativo Nazionale di Democrazia Sovrana Popolare. Una figura ,quindi sui generis: sia politica che artistica e culturale-intellettuale. Il suo ultimo saggio rappresenta un unicum in quanto introduce un’impostazione metodologica e speculativa sui temi del pensiero e dell’azione anti-sistema congiungendo cultura politica a cultura artistica-filosofica, come non accadeva da parecchi anni. (A cura di Giacomo Maria Prati)

Caro Antonello Cresti,

il tuo libro: "La nostra rivoluzione culturale. Manuale di egemonia sovranista-popolare" mi ha molto stupito. In una società dove le pose effimere e la dispersività ideologica sembrano dominare tu richiami con forza e audacia il pensiero alternativo, critico e libertario ad un'esigenza di disciplina, di metodo e di intellettualità agente. O almeno è questo che sento meditando sui termini importanti e precisi che utilizzi per il tuo titolo e il sottotitolo. Ce li esplichi più ampiamente?

Il punto di partenza della riflessione da cui scaturisce questo libro è la constatazione che da molti anni il potere, e con esso il pensiero egemonico dominante, ci hanno lanciato una guerra fatta prevalentemente di suggestione, sulla base del principio secondo cui "chi possiede il linguaggio possiede la realtà". Ora, io ritengo che la cultura incarnata dal mainstream, sia una cultura decadente e morente. Ma non per questo dobbiamo sottovalutare il nostro avversario. Esso possiede un metodo e possiede una strategia, cosa che tutto il mondo cosiddetto del "dissenso" - categoria evanescente da cui invito a prendere le distanze - in realtà non ha. Ecco perché ritengo sia di primaria importanza dotarsi di una teoria coerente, dotarsi di una propria strutturata impalcatura per realizzare la propria controegemonia. E dobbiamo, lo scrivo a chiare lettere nel libro, dotarci del nostro "alfabeto della ribellione". Ecco perché ho scritto questo libro ed ecco perché parlo proprio di "manuale di egemonia sovranista popolare". Il sovranismo popolare intende essere una nuova teoria complessiva per il terzo millennio, declinata innanzitutto in senso politico e "La nostra rivoluzione culturale" ne rappresenta l'avamposto più propriamente culturale e metapolitico. 

Quali scontri egemonici sono in corso oggi? Stiamo assistendo ad una guerra di classe dall'alto verso il basso o anche a guerre intestine interne al potere?

Oggi la guerra di classe non è più interpretabile nel senso marxiano del termine. Io credo che siamo di fronte ad una guerra unilaterale, condotta dai grandi centri di potere occulto nei confronti del 99% della popolazione. Ecco perché dal mio punto di vista non solo non hanno senso i conflitti orizzontali tra classi rimanenti all'interno del corpo sociale, ma non hanno neanche senso conflitti di natura etnica, religiosa.  Figuriamoci quelli presuntivamente ideologici, come destra contro sinistra o fascisti contro antifascisti...Noi dobbiamo realizzare in questa fase storica che il potere tecnocratico sovranazionale è l'unico vero avversario. Quindi rivendicazioni che sarebbero state giuste, attuali in altri momenti della storia, oggi decadono miseramente. Dobbiamo cercare di unire questo popolo immenso, trasversale, e indirizzarlo in senso verticale. Lo scontro oggi è verticale e certamente non orizzontale. 

La bella e poetica prefazione dello scrittore Aldo Nove al tuo libro ci parla di "macerie che stanno davanti" e di un "territorio che cambia continuamente" come per renderci difficile tenere una mappa. Oggi nell'aereità inconcludente della "società tecnica di massa" come coagulare un consenso-dissenso consapevole? Che linee guida ci offri nel tuo prezioso e innovativo Manuale?

Ciò che il mondo cosiddetto alternativo deve comprendere è che è impossibile scontrarsi con un potere così ben organizzato in maniera totalmente spontanea, movimentista. Bisogna organizzare questa nostra azione e essa deve in qualche maniera provenire da una teoria che sia coerente, che sappia dove voler condurre il pensiero. Dunque la prima linea guida che io ritengo di poter dare attraverso questo libro è l'idea di protagonismo. Oggi tutto conduce verso una sorta di apatia, verso una rassegnazione più o meno indotta. Ecco, noi dobbiamo fare un lavoro totalmente opposto. Dobbiamo rimettere al centro l'idea del protagonismo degli individui e delle masse ed uscire dalla folle idea secondo cui la storia sia un processo che è qualcosa a cui si assiste e non è invece un processo che viene guidato, che viene indicato dalle persone. Protagonismo è la nostra formula magica!

La stimolante introduzione di Enrica Perrucchietti al tuo saggio ci ricorda l’importanza dell’immaginazione e dell’immaginario per vivere e costruire ogni istanza di radicale cambiamento. Come connettere questa dimensione con la necessaria pragmaticità?

Ritengo che la lezione di Antonio Gramsci sempre attuale. Nel suo pensiero teoria e prassi sono strettamente correlate. Dunque è vero, oggi dobbiamo partire dal punto di vista secondo cui chi detiene l'immaginario e in particolare chi detiene il linguaggio è in grado di plasmare l'intera realtà. Se noi non combattiamo su questo campo siamo destinati a perire, però questa consapevolezza, che è una consapevolezza centrale per una degna battaglia culturale, non può assolutamente essere separata dall'idea che tutto ciò divenga azione politica. Ecco perché parliamo di sovranismo popolare, che è una teoria non disconnessa dalla prassi politica. Diciamo che la cultura è la precondizione. Come scrivo nel libro la cultura è l'habitat all'interno del quale noi viviamo e se quell'habitat è avvelenato, è inquinato, per usare una metafora che oggi va molto di moda, evidentemente null'altro è possibile. Quindi partiamo dalla precondizione culturale e poi passiamo a un'azione più propriamente politica. 

Pensi che lo sdegno per la distruzione totale di Gaza e lo stillicidio contro il popolo palestinese possa essere una scintilla preziosa per la contestazione sociale e politica? L’appuntamento del 7 giugno può esser un’occasione per tutti per stimolare la dialettica democratica o sarà l’ennesima recita interna all’audience di opposizioni che appaiono comatose?

Purtroppo oggi la società, di fronte a delle urgenze di vario tipo che meriterebbero, provocherebbero in altri momenti storici una sollevazione popolare, appare come anestetizzata. Non è un caso: è frutto di un lavorio ben preciso, che di fatto determina questa apatia collettiva. Dunque credo che neanche l'emergenza umanitaria del popolo palestinese possa in qualche maniera smuovere veramente delle coscienze in senso pieno. Anche perché c'è un problema in questa società di riuscire a cogliere i nessi logici. Oggi abbiamo persone che sono deste di fronte a questo o quel tema, che poi cadono mostruosamente nelle falsificazioni del potere di fronte a altri temi che invece sono interrelati. Quindi oggi noi dobbiamo risvegliare complessivamente, dobbiamo proporre una visione che sia in grado di far cogliere questi nessi che oggi sono assolutamente centrali per essere davvero protagonisti del nostro tempo. 

Ritieni che i prossimi referendum siano utili, essendo concentrati su quei temi del lavoro che tutte le maggiori forze politiche hanno appunto abbandonato vergognosamente da decenni?

I referendum, così come sono stati immaginati e così come sono proposti, sono un cavallo di Troia del Partito Democratico e in particolare dei sindacati per riprendere centralità su situazioni che in realtà loro hanno pienamente disarticolato nel passato. Inoltre questi referendum sono anche l'appiglio per proporre il vero motivo proposto da questa consultazione, che è il discorso legato alla cittadinanza. Pura e pericolosa demagogia. In questo caso parlo come rappresentante politico di Democrazia Sovrana e Popolare e con Marco Rizzo e Francesco Toscano, riteniamo che non si debba partecipare a una consultazione di questo genere, che appunto è da ritenersi solo come un cavallo di Troia o una falsificazione della reale complessità dei temi affrontati. 

I riferimenti culturali del tuo manuale sono molto ricchi e diversificati: da Lacan a Gramsci, da Schiller a Van Ghog attraverso Nietzsche, Frazer e Jodorowsky e molti altri tra cui Montale, Gaber e anche pensatori orientali come Zhuang Zi. Come connetti in unità organica e pulsante questo ricco patrimonio ideale e spirituale?

La profonda trasversalità dei riferimenti che ho utilizzato in questo testo sono un motivo di vanto dal mio punto di vista perché evidentemente occorre una teoria che sia da un lato postmoderna e quindi che trascenda dalle tradizionali demarcazioni, dall'altra che non rifiuti il passato perché nulla nasce da nulla, anzi ritengo che sia importante arrivare al mio punto di vista teorico attraverso un costante excursus che ripercorra il pensiero passato di letterati, filosofi, pensatori e artisti perché solo in questa maniera si crea una teoria che non sia un punto di vista finale, già digerito, ma che sia un punto di accesso cioè con l'idea che ciascuno possa completarlo, ciascuno possa in qualche maniera contribuire con la propria sensibilità.

Oggi vedo una crescita della consapevolezza anti-sistema ancora frenata però dalla difficoltà di “passare all’azione” con scelte qualificanti ed efficaci. Ci sono nodi cruciali nel rapporto pensiero/azione e cultura/società? Come li affronti?

Molti altri nomi avremmo potuto fare oltre a quelli che tu citi, e credo che scoprire il pensiero di queste e molte altre figure sia determinante anche perché dobbiamo creare un nostro pantheon di pensiero. Il potere il proprio pantheon ce l'ha, è il caso che oggi anche tutto il mondo antisistema si doti del suo pantheon, impedendo anche processi di indebita appropriazione proprio da parte di quel potere che noi contestiamo. 

Il tuo Manuale intende aiutare mentalmente il superamento dell’autocensura e della de-vitalizzazione delle energie libertarie e di cambiamento? Vuole essere un nuovo manifesto per la rigenerazione dell’agonizzante democrazia italiana?

Nel paese oggi una insofferenza nei confronti della narrazione ufficiale, della narrazione imperante è evidente, però è altrettanto innegabile che questa insofferenza si tramuta spesso in un semplice brontolio e non in un'azione coerente e organizzata. Ecco il punto saliente è proprio questo: offrire una teoria che poi possa essere adottata in maniera organizzata, lucida e consapevole in senso politico stretto. Se a dominare sarà il rifiuto della politica in quanto tale e non il rifiuto di questa politica è evidente che purtroppo andremo a sfracellarci. Dobbiamo invece ridare dignità, ridare lustro a questa parola e altre parole... politica, cultura, democrazia. Dobbiamo ridare una pienezza a parole oramai svuotate. Se facciamo questo è evidente che il legame pensiero-azione tornerà a essere motore di imprese profondamente più coerenti e capaci di far germinare stelle danzanti.

Ci vuole una nuova alchimia: più intellettualità e più metodo alla rabbia e più concretezza e più impegno etico alla cultura?

Democrazia è uno di quei termini totalmente svuotati nel dibattito attuale, ma democrazia letteralmente significa potere al popolo. Ecco perché noi parliamo di sovranità popolare e quindi certamente noi dobbiamo realizzare una democrazia che sia sostanziale, una democrazia che sia confronto, anche aspro. Non si deve rifiutare il conflitto in quanto tale. Oggi c'è questo terrore di essere divisivi, ma le idee sono divisive in quanto tali. Il mio testo è un testo fatto per essere divisivo, anche per creare delle controversie, ma questo è il senso della democrazia vera. L'unica democrazia possibile è quella che si contrappone allo svuotamento sostanziale della partecipazione dai luoghi della decisione. Quindi certamente una nostra rivoluzione culturale deve passare attraverso questo ripensamento, o meglio, questa rigenerazione della democrazia. Certamente occorre  un metodo. Il metodo oggi è vissuto come qualche cosa di incapacitante, come qualche cosa di troppo faticoso, perché si è fatta l'abitudine a un pensiero che io, ironicamente, definisco chiavi in mano... Però noi dobbiamo capire che la cultura è certamente studium, dunque è impegno, passione, ma la cultura deve essere anche e soprattutto gioco. Dobbiamo tornare all'idea che la cultura è divertimento, che la rivoluzione stessa è il gioco alla massima espressione. Io troppo spesso vedo persone combattenti nello spirito, ma che incarnano una dimensione rivoluzionaria estremamente espiatoria, direi quasi da martiri. Ecco, io non vedo la questione in questa maniera. Con D'Annunzio a Fiume, penso ad una "festa della rivoluzione". Io credo che battersi per ciò in cui si crede sia la massima espressione di vitalismo. E quindi, per chiudere questo nostro dialogo, se noi reinterpretiamo la battaglia per l'egemonia come un grande, immenso, fantastico gioco, io credo che avremo anche gioco più facile. Emi perdonerete il bisticcio linguistico...

Chi volesse approfondire questi temi leggendo questo saggio di Antonello Cresti rinviamo al seguente link, in quanto il saggio di cui parliamo non è ancora disponibile nei circuiti distributivi usuali:

https://www.visioneditore.it/shop/la-nostra-rivoluzione-culturare-cresti-591#attr=937