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Il tragico trionfo del meccanicismo: dalla rivoluzione industriale al Covid-19 (I parte)

di Anna De Nardis - 19/08/2020

Il tragico trionfo del meccanicismo: dalla rivoluzione industriale al Covid-19 (I parte)

Fonte: Comedonchisciotte

INTRODUZIONE

Scrive Carolyn Merchant ne La morte della Natura:

Come modello unificante per la scienza e la società, la macchina ha permeato e ricostruito in modo così totale la coscienza umana che oggi difficilmente ne contestiamo la validità. (Merchant 1988, 246)

Infatti questo modello è stato assunto dal sistema scientifico attualmente dominante e imposto come valore assoluto: siamo indotti a considerare il nostro corpo come un apparato meccanico isolato, costituito di pezzi scomponibili, avulso dalle relazioni sistemiche con l’ambiente, e abbiamo abbandonato ogni visione unitaria a favore della riduzione in parti, iniziando dalla scissione tra mente e corpo, fino alla separazione dagli altri esseri viventi.

Questa concezione dell’uomo, che viene sinteticamente indicata col termine meccanicismo, si è manifestata con tutta la sua brutalità nella gestione dell’epidemia da COVID-19 sia da parte degli scienziati che da parte dei politici: l’obiettivo dei ricercatori sembra essere quello di isolare il virus e tracciarne il percorso (come la traiettoria di un proiettile); quello dei medici è di impedire il contagio, perché tuttora privi dell’unico rimedio che ritengono valido, il vaccino; quello dei politici è puramente numerico: contenere la diffusione del virus entro i limiti consentiti dalla capienza degli ospedali.

È il risultato della scienza delle quantità discrete, che non tiene conto delle connessioni dei sistemi vitali: da parte delle fonti ufficiali non è arrivata alcuna informazione sul rapporto tra l’attività del virus e l’ecosistema in cui si diffonde né si è prestata attenzione alla capacità autonoma di reazione del sistema immunitario umano.

Per impedire la diffusione del contagio il governo ha bloccato l’attività scolastica, culturale, sportiva, ricreativa, politica e sociale e infine produttiva; ha limitato i rapporti tra le persone: in altre parole, ha bloccato le relazioni umane, ha atomizzato le persone, ha oggettivizzato i corpi.

Credo che stiamo vivendo la fase estrema della visione del mondo detta meccanicismo, che domina in occidente dagli albori della rivoluzione industriale e che ha prodotto una scienza riduzionista, più funzionale agli interessi del maschio proprietario delle classi medio-alte (Merchant 1988) che al benessere della collettività.

Questa forma di conoscenza si è affermata perché è stata in grado di supportare i progetti di controllo e di sfruttamento della natura e degli esseri umani subalterni da parte delle classi dominanti; si fonda su paradigmi storicamente determinati e non ha nulla della universalità e della oggettività che le vengono attribuite per ragioni sostanzialmente ideologiche e che sono state messe in discussione da numerosi studiosi:

Nonostante le conclusioni delle ricerche di storici e filosofi della scienza, nella comunità scientifica è diffusa la convinzione che la scienza moderna sia una conoscenza del mondo esterno obiettiva, libera da valori e indipendente dal contesto. La legittimità delle scienze sarebbe tanto maggiore quanto più esse si avvicinano a questo modello matematico meccanicistico. (Merchant 1988, 355)

Al contrario, i suoi presupposti possono e devono essere cambiati, come è richiesto, da almeno mezzo secolo, da autorevoli voci di una parte del mondo scientifico, da studiosi di ecologia e da esponenti del movimento femminista, più recentemente da studiosi del diritto; Fritjof Capra e Ugo Mattei hanno analizzato le radici meccanicistiche del diritto moderno, collegate a una visione razionalistica e atomistica della società e ne propongono il superamento a favore di una impostazione olistica ed ecologica (Capra y Mattei 2017).
La necessità del cambiamento di paradigmi si è mostrata con maggiore evidenza di fronte all’acutizzarsi delle crisi ambientali. Infatti

Gran parte del sapere tecnico-scientifico mantiene un approccio riduzionistico e meccanicistico, si sofferma sul particolare, induce e conduce alla comprensione di un progresso tecnologico, fine a se stesso, non coglie quella complessità di cui è costituito il mondo reale e che inevitabilmente sconfina nel non sensibile e nell’indecifrabile. (Banini 2010, 525)

Ma la resistenza ad assumere punti di vista diversi è ferrea e, nella situazione attuale, il paradigma meccanicistico viene imposto in modo autoritario anche dalle nostre istituzioni. È bene perciò esaminare gli aspetti fondamentali che hanno caratterizzato la nascita e l’affermazione, nei secoli XVI e XVII, di tale modello per comprenderne meglio le ragioni e prepararne il superamento; si troveranno significative e inquietanti analogie con l’attualità.

IL MECCANICISMO

Per un’analisi approfondita rimando ai lavori di Carolyn Merchant (Merchant 1988), che ha studiato lo sviluppo della metafora della macchina, in opposizione alla precedente visione organicistica del mondo, la costruzione di un linguaggio ostile nei confronti della Natura e la cancellazione delle valenze positive e attive del femminile, evidenziando come da attiva maestra e madre [la Natura] si trasformò in un corpo passivo e sottomesso; agli approfondimenti di Evelyn Fox Keller (Fox Keller 1987), sul linguaggio sessista che ha fondato la scienza moderna; agli studi di Silvia Federici (Federici 2015), che evidenziano le strategie di dominio sul corpo per condizionarlo alle esigenze di accumulazione primaria del capitalismo nascente; ai lavori di Vandana Shiva che, dalla prospettiva dei popoli colonizzati del terzo mondo, osserva come le multinazionali e il capitalismo globalizzato stiano perseguendo una moderna colonizzazione della Natura e della vita attraverso l’imposizione delle monocolture che, oltre a devastare la Natura, in quanto alle forme di vita viene impedito di riprodursi liberamente, porta alla svalutazione delle conoscenze creative delle donne del Terzo Mondo, le principali autrici della sperimentazione e della selezione delle piante da riprodurre per l’alimentazione e per la medicina.

Tutte queste autrici concordano sul fatto che il paradigma meccanicistico sia intimamente connesso con finalità di potere e di dominio:

L’ordine meccanicistico, in quanto cornice concettuale era associato a un sistema di valori fondati sul potere, del tutto compatibili con gli orientamenti assunti dal capitalismo commerciale.  (Merchant 1988, 247)

Per Vandana Shiva

La nascita del riduzionismo scientifico è legata alla commercializzazione della scienza, e porta con sé la dominazione sulle donne e sui popoli non occidentali. I loro diversi saperi non sono considerati sistemi legittimi di conoscenza. Quando il fine della scienza è la commercializzazione, il riduzionismo diventa l’unico parametro di validità scientifica. (Shiva, Biopirateria 1999, 38-39)

Inoltre

Tra le conseguenze di una visione del mondo meccanicistica e cartesiana c’è anche la tendenza a imporre il proprio punto di vista, sostenendo che questo atto di violenza viene compiuto per il bene degli altri. […] Contemporaneamente, tale visione induce la gente comune ad assumere un atteggiamento di accettazione passiva e rassegnata, perché in un mondo meccanicisticamente definito i piccoli interventi individuali sembrano privi di effetto. (Shiva, Il bene comune della Terra 2006, 110)

In estrema sintesi, il meccanicismo è una descrizione del cosmo, della società e degli esseri umani intesi come insiemi di parti distinte e separabili, controllabili dall’esterno perché rispondenti a un sistema di leggi di tipo logico-matematico. Questo modello esclude tutto ciò che si presenta incerto e imprevedibile quindi non manipolabile; mette in luce solo le caratteristiche quantitative, semplificabili, della realtà. A partire dalla metodologia cartesiana, assume che un problema può essere analizzato scomponendolo nelle sue parti e che le parti possono essere semplificate astraendole dal contesto ambientale complicante e poi manipolate sotto la guida di un insieme di regole. (Merchant 1988, 288)

Questa modalità di conoscenza viene chiamata riduzionista perché presuppone che tutti gli aspetti costitutivi dei fenomeni complessi siano spiegabili riducendoli alle più piccole parti che lo compongono. (Capra y Mattei 2017, 69)
Vandana Shiva ne illustra le implicazioni:

Definisco riduzionista la moderna tradizione epistemologica della rivoluzione scientifica che è peculiare al moderno patriarcato occidentale, perché essa riduce la capacità degli esseri umani di conoscere la natura, escludendo sia gli altri agenti di conoscenza sia altre vie di conoscenza e perché, manipolando la natura come materia inerte e frazionata, ne riduce la capacità di rigenerarsi creativamente e di rinnovarsi. (Shiva, Sopravvivere allo sviluppo 1990, 28)

In più

Quando gli organismi sono trattati come macchine, e manipolati senza riconoscerne la capacità auto-organizzativa, questa capacità regredisce, e gli organismi riescono a risanarsi solo usando grandi quantità di input e di controlli. (Shiva, Biopirateria 1999, 49)

Ancora:

La separabilità permette di astrarre una conoscenza svincolata dal contesto e crea criteri basati sull’alienazione e la non partecipazione, interpretate quindi come obiettività. Gli “esperti” e gli specialisti diventano così i ricercatori e i sostenitori dell’unico sapere legittimo. (Shiva, Sopravvivere allo sviluppo 1990, 29)

MECCANICISMO E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Prima di esaminare come il paradigma meccanicistico abbia condizionato la gestione dell’epidemia da COVID-19, è istruttivo richiamare alcuni fatti storici che hanno accompagnato la nascita di questa forma di pensiero.
Un elemento cruciale da cui partire è la caccia alle streghe, a proposito della quale scrive Silvia Federici:

Da qualsiasi punto di vista – sociale, economico, culturale, politico – la caccia alle streghe è stata un punto di svolta cruciale nella vita delle donne […] La caccia alle streghe distrusse un intero mondo di pratiche femminili, di rapporti collettivi e sistemi di conoscenza che erano stati alla base del potere delle donne nell’Europa precapitalistica e la condizione della loro resistenza nella lotta contro il feudalesimo. (Federici 2015, 149)

Scrive Joyce Lussu

La caccia alle streghe è un attacco frontale contro le residue autonomie che alimentavano le ribellioni del mondo contadino. Nei paesi cattolici, basati sull’economia agricola, si risolve con la nuova politica di massa della chiesa, l’evangelizzazione delle campagne. Nei paesi protestanti, avviati a una intensa industrializzazione grazie allo sfruttamento coloniale delle “razze” subalterne, dura più a lungo: per trasformare i contadini della metropoli in proletariato industriale è necessario sradicare le sue tradizioni, la sua cultura autoctona, riportare la donna alla schiavitù della manovalanza bruta, che fornirà manodopera a buon mercato per i nuovi impianti industriali. (Lussu, Padre, padrone, padreterno 1976, 68)

Anche per la Merchant il controllo e la conservazione dell’ordine sociale, e del posto delle donne in esso, furono fra le molte e complesse ragioni per i processi di stregoneria. (Merchant 1988, 187) Pertanto, “la strega e la sua controparte, la levatrice, vennero a trovarsi al centro simbolico di una lotta per il controllo della materia e della natura, controllo che era essenziale a nuovi rapporti sociali nella sfera della produzione e della riproduzione.” (Merchant 1988, 201)

Dalla sua ottica, Silvia Federici sostiene:

Questa campagna senza precedenti, scatenata contro le donne, ha indebolito la resistenza dei contadini europei all’attacco lanciato contro di loro dalla nobiltà e dallo stato, in un momento in cui tutta la comunità contadina si stava disgregando sotto l’urto congiunto della privatizzazione della terra, dell’aumento delle tasse e dell’aumento del controllo statale su ogni aspetto della vita sociale. […] Al pari del concomitante attacco alla cultura popolare e del “grande internamento” dei poveri e dei vagabondi nelle case di lavoro e di correzione, la caccia alle streghe è stata un aspetto essenziale dell’accumulazione originaria e della transizione al capitalismo (Federici 2015, 211)

E sottolinea che la caccia alle streghe ebbe luogo contemporaneamente alla colonizzazione e allo sterminio delle popolazioni del Nuovo Mondo, […] all’inizio del commercio degli schiavi… Il quadro è abbastanza chiaro: espulsione dei contadini dalle campagne; recinzione dei beni comuni (foreste, pascoli, corsi d’acqua…), soprattutto in Inghilterra, per sviluppare l’industria della lana; disgregazione dei villaggi (Federici stima che in Inghilterra, prima della Riforma, fossero state distrutte più di duemila comunità rurali); distruzione della solidarietà e della socialità contadina; criminalizzazione delle pratiche e dei saperi delle donne. Inoltre:

Dopo il Concilio di Trento, la controriforma prese una posizione forte contro i guaritori popolari, temendo il loro potere e il loro radicamento nella cultura della comunità. […] Con la persecuzione della medicina popolare, le donne furono espropriate di un patrimonio di saperi empirici su erbe e rimedi curativi che avevano accumulato e trasmesso di generazione in generazione, e la cui perdita ha aperto la strada a una nuova forma di recinzione. È nata così la medicina professionale. (Federici 2015, 263-264)

Il meccanicismo divenne la forma di conoscenza approvata in seguito a questo grande ribaltamento di valori; inoltre, mediante l’immagine di una natura passiva e inanimata, legittimò lo sfruttamento delle risorse naturali.
Contemporaneamente si istituzionalizzò il militarismo: come sottolinea Joyce Lussu

[Il Seicento] è il secolo in cui Maurizio d’Orange e Gustavo Adolfo di Svezia creano l’esercito di stato e Luis de Geer l’industria bellica statuale come imprenditoria di massimo profitto; […] in cui inizia l’uso delle energie non rinnovabili, come il carbon fossile; in cui le donne vengono escluse dall’esercizio della scienza e della medicina e bruciate come streghe più che in qualsiasi altro secolo; in cui dilaga il mito dell’efficienza, centrato, come sua massima espressione, nell’istituzione militare, che diventa il modello delle altre istituzioni: la fabbrica come caserma, la scuola come caserma, l’ospedale come caserma….” (Lussu, Il libro delle streghe 1990, 33-34)

Ma c’è un condizionamento, forse peggiore, che sottolinea Enzo Mazzi nel suo libro Giordano Bruno – Attualità di un’eresia:

[Con i roghi degli eretici] Il fiume di sangue versato sbarrerà la strada alla speranza e all’amore universale e favorirà invece l’insinuarsi della paura nell’anima profonda della modernità, com’è particolarmente evidente nella elaborazione di Thomas Hobbes. (Mazzi 2009, 30)

Lo stesso autore nota che nei secoli XVI e XVII, insieme al genocidio delle streghe e dei maghi, si realizza il genocidio dei popoli indigeni delle Americhe e in Asia dei popoli di cultura sciamanica ad opera della colonizzazione russa (Mazzi 2009, 61)

Nel saggio Ecologia del diritto, Capra e Mattei notano che l’attuale visione occidentale delle istituzioni sociali separa artificialmente gli individui gli uni dagli altri oltre che dai loro ecosistemi.
Questo risponde a un preciso disegno:

La riduzione dell’ordinamento giuridico a un accordo tra proprietà privata e sovranità dello stato, infatti, si era rivelata un potente strumento per schiacciare la natura e la comunità, tanto che la concezione predominante del diritto è ancora quella di un sistema oggettivo, governato dallo stato e dotato di potere decisionale in materia di conflitti tra soggetti estrattori di valore. (Capra y Mattei 2017, 133)

Anche se cambiano i contesti storici, il potere usa le stesse strategie di risposta alle crisi: atomizzare gli individui, frammentare il tessuto sociale.

Starhawk ci racconta come all’inizio dell’era moderna furono marchiati come malefici e satanici i riti e le celebrazioni legati alle fasi dell’anno agricolo.

Questi usi erano l’espressione – in azioni, canzoni, usanze, celebrazioni – dell’unità organica della comunità umana e dell’identità del contadino con la terra e i suoi doni. La loro distruzione lacerò la struttura inconscia della vita contadina. (Starhawk 1997)

Ma un quadro più articolato delle lacerazioni prodotte in quei secoli lo dà Silvia Federici, quando analizza la politica del corpo attuata nell’ambito della rivoluzione industriale:

Una condizione necessaria per lo sviluppo del capitalismo è stato il processo che Michel Foucault ha definito il disciplinamento del corpo, che a mio avviso è consistito nel tentativo, messo in atto da chiesa e stato, di trasformare le capacità dell’individuo in forza-lavoro. (Federici 2015, 169)
È nel tentativo di formare un nuovo tipo di individuo che la borghesia ha ingaggiato quella battaglia contro il corpo che è diventata il suo marchio storico.

[Nel XVI e XVII secolo, i contadini e gli artigiani espropriati dalle terre comuni e cacciati dalle campagne] non accettarono pacificamente di lavorare per un salario; più spesso diventarono mendicanti, vagabondi, criminali. (Federici 2015, 173)

La risposta della borghesia fu l’instaurazione di un vero e proprio regime di terrore attuato con l’intensificazione delle pene […] Ma la violenza della classe dominante non si limitò a reprimere le trasgressioni. Il suo maggior obiettivo era una radicale trasformazione della persona. Furono proibiti i giochi […] Insieme ai bagni pubblici, furono chiuse le taverne. Si penalizzò la nudità, così come altre forme improduttive di sessualità e socialità.[…] È nel corso di questa vasta operazione di ingegneria sociale che cominciarono a delinearsi una nuova concezione del corpo e una nuova politica nei suoi confronti. (Federici 2015, 174-175)

La repressione si diede nuovi strumenti:

Le leggi punivano severamente i vagabondi, i poveri e i disoccupati. Carceri e ospedali psichiatrici, mai stati necessari in contesti rurali, in cui la comunità teneva sotto controllo efficacemente i devianti attraverso la minaccia di ostracismo, furono inventati alla fine del XVIII secolo (Capra y Mattei 2017, 89)

Il protagonista principale della costruzione della moderna visione del corpo fu Cartesio, il filosofo del meccanicismo. Nel suo trattato L’uomo (1664) istituisce la divisione ontologica tra una sfera puramente mentale e una sfera puramente fisica.

Riprendendo il dualismo platonico-cristiano dell’anima e del corpo, e spogliandolo di ogni rivestimento mitico e religioso, Cartesio priva il corpo del suo mondo e di tutte quelle formazioni di senso che si fondano sull’esperienza corporea, attraverso cui il mondo ci è direttamente alla mano, per relegarlo nella res extensa dove è risolto in oggetto e inteso, al pari di tutti gli altri corpi, in base alle leggi fisiche che presiedono l’estensione e il movimento. L’anima, a sua volta, sottratta a ogni influenza corporea, viene pensata come puro intelletto, come ego intersoggettivo nelle cui cogitazioni, rigorosamente eseguite con metodo matematico, c’è ogni possibile senso del mondo e di ogni io personale e soggettivo che abita il mondo. […] Nata dall’uomo nel mondo, la scienza si è così trovata con Cartesio a dimenticare la propria origine, e, per effetto della sua impostazione metodologica, a porsi come quell’equivalente generale in grado di fissare il senso esatto di quegli oggetti che erano per essa il corpo e il mondo. (Galimberti 1987, 41-42)

Anche per Hobbes il corpo è un insieme di azioni meccaniche che, in assenza di potere autonomo, possono operare solo in virtù di cause esterne, in una dinamica di attrazione e repulsione dove tutto è regolato come in un automa. (Federici, 2015, pag. 179)

La conseguenza è che

Una volta decifrato nei suoi congegni, e ridotto esso stesso a congegno, il corpo si apriva alla possibilità di un’infinità di manipolazioni delle sue attitudini e dei suoi poteri. […] In questo senso i percorsi della filosofia meccanica hanno contribuito al crescente controllo della classe dominante sulla natura, di cui la prima e indispensabile premessa era il controllo sulla natura umana. (Federici 2015, 180)

La politica di controllo sul corpo si intreccia strettamente con la realtà sociale e culturale. La meccanizzazione del corpo, l’espropriazione di spazi di espressione della vita sociale delle classi subalterne, la condanna di saperi e pratiche di donne e guaritori, apre la strada al monopolio di una medicina riduzionista, appannaggio di un ceto formato da maschi, ricchi, bianchi. (Le donne furono espulse dalla professione medica a partire dal XIV e XV secolo).
Marisa Siccardi in Viaggio nella notte di San Giovanni (Firenze, 1992) mette in evidenza

la repressione che [le streghe]dovettero subire non solo da parte del potere ecclesiastico ma anche da parte del nascente potere medico, il quale puntava al monopolio politico ed economico della medicina e al controllo della sua organizzazione a livello istituzionale, sulla teoria e sulla pratica, sui profitti e sul prestigio. I medici contribuirono sistematicamente con la loro consulenza specifica al controllo medico del grado di tollerabilità delle torture delle streghe. Lo fecero per denaro ma anche per strategia politica e di potere. (Siccardi 2009, 60-61)

LA GESTIONE MECCANICISTICA DELL’EPIDEMIA

Scrive Carolyn Mercant:

La cornice meccanicistica, con i valori associati di potere e di controllo, sanzionò l’amministrazione tanto della natura quanto della società.

Questo spiega le inquietanti analogie tra le imposizioni attuate in Italia per gestire l’epidemia da COVID-19 e la politica del corpo realizzata all’alba dell’epoca moderna.

Oggi, facendo ricorso alla paura, viene soppresso l’uso dei beni comuni: scuola, acque termali, musei, parchi…; vengono interrotte le attività fisiche, con la chiusura di piscine, palestre, centri benessere…; sono vietate le passeggiate fuori dai recinti stabiliti per decreto; sono sospese le attività culturali e ricreative; sono proibiti gli incontri con la conseguente interruzione delle attività politiche, sindacali e sociali; si trovano in situazione critica anche le attività dei centri antiviolenza: sulle donne ricade ancora il peso maggiore della crisi.

La divisione sociale (e forse anche quella familiare) è stata ottenuta attraverso una sorta di caccia all’untore legalizzata. La caccia alle streghe è incominciata con la censura, aperta o subdola, delle voci dissenzienti dai paradigmi imposti d’autorità. (Vengono evocate nuove azioni inquisitorie…). Infine, con la costrizione a lavorare da casa, sono stati cambiati i rapporti di lavoro, in modo verticistico e autoritario, e la differenziazione tra tempo di lavoro e tempo privato è stata annullata.

Benché la situazione sia completamente diversa dall’epoca dell’ascesa della borghesia, il modo in cui la classe dirigente si è posta di fronte ad essa presenta analoghe caratteristiche: se si osserva a fondo, si può scoprire che l’elemento che le accomuna è il controllo dei corpi ridotti a macchine inermi.

Le persone sono state relegate in spazi predeterminati, da cui possono allontanarsi solo per soddisfare bisogni materiali: cibo, medicinali, un movimento limitato. Per ottenere questo sono state usate forme di violenza più o meno sottili: la paura della malattia, la coercizione istituzionale, la riprovazione sociale.

Non sono stati presi in considerazione i bisogni e i desideri affettivi, culturali, estetici, spirituali o di qualsiasi altro tipo di relazione, come ad esempio il contatto con la natura. Né tanto meno sono state valutate le conseguenze che la mancata soddisfazione di questi bisogni non materiali potranno avere sulla vita e sugli equilibri delle persone, sulla loro relazione con il mondo di riferimento.

Nella loro condizione di possibili portatori di virus, le persone sono ridotte alla condizione descritta da Galimberti per i malati:

Con un passato e un futuro raggrinziti nel puro presente, il malato si trova nell’impossibilità di collocare il suo stesso presente, perché gli manca l’arco intenzionale che proietti intorno a lui, oltre al passato e al futuro, il suo ambiente umano, la sua situazione fisica, ideologica, morale, senza la quale gli è impossibile situarsi nei suoi rapporti. (Galimberti 1987, 82)

Tutto ciò in nome della difesa della vita intesa in senso puramente biologico.

All’origine di tutto questo c’è la scissione tra corpo e mente, tra materia e spirito, che è stata la base del paradigma meccanicistico.

Questo modello ha prodotto una concezione riduzionista della malattia.

In Metodologia e pratica della Danza Terapeutica, il medico Giovanni Ansaldi riporta le illuminanti parole di Ferdinando Suvini:

Lo sviluppo della medicina modifica in profondità i rapporti fra malato e medico, fra malattia e medicina: la malattia diviene una identità indipendente e il malato viene escluso dalla lotta tra medico e malattia. Il medico non chiede più collaborazione e aiuto al malato, ma piuttosto alla tecnica: dal laboratorio farmacologico allo studio della costituzione genetica. La medicina, nella sua struttura conoscitiva, diventa impersonale, ricerca i fenomeni universali, diviene una medicina dei numeri, delle quantità da contrapporre alla qualità. (Cerruto 2018, 174)

Infatti

Sotto la giurisdizione della scienza il corpo biologico ha diritto alla vita, intesa non come esistenza, ma come prolungamento quantitativo su cui sorveglia vigile la tecnica bio-medica nell’intento di garantire a ciascuno di giungere fino al termine del suo capitale biologico. (Galimberti 1987, 51)

È opportuno chiedersi

Che finalità perseguono [le tecniche mediche] se non il riconoscimento incondizionato del valore biologico della vita senza la minima considerazione della sua qualità esistenziale? […]
Lo sguardo medico non incontra il malato ma la sua malattia, e nel suo corpo non legge una biografia, ma una patologia, dove la soggettività del paziente scompare dietro l’oggettività di segni sintomatici che non rinviano a un ambiente, a un modo di vivere, a una serie di abitudini contratte, ma a un quadro clinico, dove le differenze individuali, che si ripercuotono nell’evoluzione della malattia, scompaiono in quella grammatica di sintomi con cui il medico classifica le entità morbose, come un botanico le piante. Espropriato della sua malattia, che nonostante tutto è pur sempre un modo con cui, in circostanze sfavorevoli, un corpo cerca di sopravvivere, il malato si trova letteralmente nelle mani del medico che, agendo come funzionario della scienza, ignora il corpo perché conosce solo l’organismo.
Ridotto a organismo, il corpo del malato non ha più posto nella società e perciò viene trasferito in quell’ambiente tecnico, l’ospedale, dove le comunità che si creano sono quelle imposte dagli organi da guarire. Deportato in uno spazio-tempo dove tutto funziona sotto la minaccia della morte, il paziente si percepisce, rispetto alla sua malattia, come un fatto esteriore, perché non solo il mondo della sua vita si interrompe, ma, con le sue abitudini, le sue disposizioni, la sua età, i suoi affetti, lui stesso diventa un fatto accidentale rispetto alla lettura medica che, come una saracinesca, si chiude sul suo corpo, per aprirsi al suo organismo… (Galimberti 1987, 54-55)

Oggi la concezione meccanicistica della vita è stata portata al suo estremo limite. Scrive Vandana Shiva che la terra è stata trattata come un contenitore vuoto, pronto per essere riempito di input intensivi, di acqua di irrigazione, di fertilizzanti chimici. Questa immagine del contenitore vuoto (o della materia inerte, come spesso viene intesa la terra) è applicabile alla strategia utilizzata per fermare l’epidemia da COVID-19. Il corpo umano viene visto come un contenitore vuoto, che può essere invaso dal virus. La prassi convenzionale è quella di iniettarvi un altro input, il vaccino: in mancanza di questo l’unico provvedimento preso è stato l’isolamento forzato; si è impostata la campagna sui media basata sull’assunto non ci sono rimedi contro l’epidemia e si è fatto in modo che i contenitori non venissero a contatto per impedire il passaggio del virus.

Inoltre, per ottimizzare i risultati, si stanno studiando sistemi digitali per tracciare i contatti tra le persone: le conseguenze di questa strategia sono l’invasione dello spazio con ulteriori segnali elettromagnetici nocivi e l’invasione della vita privata. Ancora più inquietanti sono i progetti riportati da Manlio Dinucci su “il manifesto” del 21 aprile us., di iniettare nel corpo, insieme al vaccino, punti quantici a base di rame:

L’invenzione di questa tecnologia è stata commissionata e finanziata dalla Fondazione Gates, che dichiara di volerla usare nelle vaccinazioni dei bambini principalmente nei paesi in via di sviluppo. Essa potrebbe essere usata anche in una vaccinazione su scala globale contro il coronavirus.

Questa notizia richiede approfondimenti circostanziati, che si spera verranno prodotti da chi possiede le conoscenze appropriate e la necessaria indipendenza intellettuale, ma basta a farci capire la mancanza di riguardo che i produttori di vaccini hanno verso l’integrità del nostro corpo e in che misura essi (non) rispettano il principio di precauzione.

Sono state necessarie le misure adottate dal governo italiano? Nelle strettoie della concezione riduzionista del corpo umano e della gestione aziendalista della sanità pubblica, forse sì.
Si potevano cercare altre soluzioni? Bisognava rovesciare il paradigma meccanicistico e assumere che il corpo vive se è in relazione col mondo:

[Il corpo è al mondo] come colui per il quale il mondo non è solo il luogo che lo ospita, ma anche e soprattutto il termine in cui si proietta. Al limite possiamo dire di essere al mondo solo perché siamo impegnati in un mondo. Il giorno in cui questo impegno cessa, in cui cessa la nostra presa sul mondo, il corpo non si riconosce più, non si sente più vivo e perciò si congeda dalla terra. (Galimberti 1987, 71)

Agire, muoversi, provare sentimenti, comunicare con gli altri, comunicare con la Natura è ciò che dà senso all’esistenza.

Purtroppo, come scrive ancora Galimberti,

la scienza è ormai per noi il reale. Il suo punto di vista sul corpo che lo riproduce non come è vissuto da ciascuno di noi, ma come risulta dal suo sguardo anatomico che l’ha sezionato come si seziona qualsiasi oggetto, ci è divenuto così familiare che oggi ciascuno di noi non fa fatica a rinunciare alla propria esperienza e a svalutare il proprio punto di vista sul corpo per adottare il punto di vista della scienza e la sua definizione che dice partes extra partes, dove le uniche relazioni possibili sono quelle fisico-chimiche, perché sono le sole che si possono esattamente calcolare… (Galimberti 1987, 46)

Cosa avremmo dovuto chiedere invece agli scienziati? Innanzitutto confrontarsi con punti di vista diversi e valorizzare tutte le forme di conoscenza.

Riconoscere alla Natura la capacità di rigenerarsi e operare in supporto delle modalità di autodifesa del corpo umano.

Studiare le interazioni tra l’ambiente, le persone, gli agenti patogeni.

Individuare gli elementi di squilibrio e fare in modo di rimuoverli o contenerli.

[Fine prima parte – 1/2]

La seconda parte verrà pubblicata in data 21.08.20

Di Anna De Nardis per ComeDonChisciotte.org, 2020

Anna De Nardis, saggista, già insegnante di fisica, ha unito la ricerca di modalità di indagine della natura allo studio del simbolismo religioso. È una delle maggiori conoscitrici di Momolina Marconi e della sua vasta produzione.

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