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Immigrazione: all’origine di un problema

di Umberto Bianchi - 29/10/2019

Immigrazione: all’origine di un problema

Fonte: Umberto Bianchi

C’ è chi dice che, quello delle cosiddette migrazioni, è un inarrestabile fenomeno storico; una specie di nemesi che fa pagare alla ricca e benestante Europa i peccati di un passato coloniale e dunque, giù con buonismi, accettazioni, solidarietà a iosa, alla cieca. C’è invece, chi, nel fenomeno, vede un’invasione che mette a pericolo il proprio benessere ed il proprio quieto vivere e pertanto, preconizza una chiusura tout court delle frontiere. C’è poi, chi dice che “immigrazione sì, ma sino ad un certo punto”; ovvero più controlli alle frontiere, ma sino ad un certo punto, tanto per non turbare la propria perbenistica coscienza. Tutti e tre questi atteggiamenti, non portano da nessuna parte e lasciano aperto il problema, in quanto difettano di un’analisi di base, senza la quale , non si potrà mai effettuare una corretta lettura del fenomeno. La mia generazione ha vissuto, dagli anni’60, sino alla metà degli anni ’80, all’insegna della litania dell’autodeterminazione del Terzo Mondo. Erano gli anni ruggenti del guevarismo, delle rivolte giovanili, ma anche del blocco dei “non-allineati”, ovverosia di tutto quell’assieme di nazioni del Terzo Mondo che, fresche di decolonizzazione dall’odioso Occidente, avevano deciso di non farsi mettere sotto tutela da nessuno dei due allora grandi blocchi geopolitici, animati da altrettante narrazioni ideologiche occidentali, ovverosia gli Usa capitalisti e l’Urss marxista. La Cina maoista, l’India di Indira Gandhi, l’Indonesia di Suharto, al pari di molte nazioni dell’Africa e dell’America Latina, aderirono entusiasticamente all’idea di poter costruire modelli di sviluppo, adeguando i parametri delle ideologie occidentali, alle realtà locali. Furono i ruggenti anni dell’Egitto populista di Nasser e della Rau, delle rivendicazioni dell’Olp palestinese, delle suggestioni del Peronismo argentino e del Sandinismo in Nicaragua, del modello di Nkrumah in Guinea, di Kenneth Kaunda in Zambia. Erano anni di rivolta e guerriglia, ma anche di crescita improvvisa ed impetuosa di molti paesi del Terzo Mondo. Paesi come Brasile, Argentina, Venezuela, Messico, ma anche Libano, Sud Africa, Costa d’Avorio, al pari di molte altre nazioni del Terzo Mondo, conobbero una crescita che sembrava preconizzare per gli anni a venire, il sorpasso economico della vecchia e stanca Europa e la creazione di un solido bastione geopolitico ed economico alle aspirazioni imperialiste in primis degli Usa e secondo poi, di quell’Unione Sovietica che da paesi come la Jugoslavia titoista o dall’Albania maoista di Enver Hoxha, aveva ricevuto i primi calci in bocca. Al di là di slogan, banalità e menzognere distorsioni, non pochi giovani di quell’area della destra radicale, spesso accusata di ottusità e di esser portatrice di un becero razzismo, accarezzarono con simpatia ed interesse il progetto di un blocco “terzaforzista”, che vedesse una sinergia tra l’emergente Terzo Mondo non allineato ed un’ Europa che, a detta delle parole di un Jean Thiriart, si sarebbe dovuta estendere dall’Atlantico agli Urali, nel nome di un rinnovato Stato imperiale. A
nni di kefiah e kalashnikov, anni di aspirazioni nazionaliste e di toni forti che, ben presto, si spensero davanti alla dura realtà di un debito estero che cresceva a dismisura. La corruttela delle classi dominanti, sempre più asservite ai centri di potere economico e finanziario globale, unite ad una manifesta incapacità a gestire quei tanto impetuosi cambiamenti, determinarono il “default” del sogno terzomondista. Furono i difficili ’80 e ’90, furono gli anni delle moratorie dei debiti esteri, dei ricatti e dei definitivi asservimenti ai diktat di quell’Fmi, divenuto ancor più potente, grazie alla caduta del fatidico Muro. Grazie a quell’evento, molte nazioni del Terzo Mondo, furono costrette ad adottare le ricette neoliberiste dei Chicago Boys di Rudiger Dornbsuch e compagnia bella, che accelerarono non poco il disastro. Se, da una parte, è vero che la cosiddetta “immigrazione” è frutto di questa situazione, dall’altra, in base a questa considerazione, è necessario effettuare un più che doveroso e necessario chiarimento. Nella stramaggior parte dei casi, quello della cosiddetta “immigrazione”, è un fenomeno indotto, eterodiretto. Andrebbe anzitutto ricordato che, sino a poco tempo fa e ad oggi ancora, la maggior parte degli abitanti di questi paesi aveva una scarsissima e pressoché nulla conoscenza del Primo Mondo, se non un generico e vago affastellarsi di immagini e racconti. Con l’arrivo dei mezzi di comunicazione e della rivoluzione informatica, tale livello di conoscenza è aumentato in maniera assolutamente irrilevante. Molti di questi paesi hanno vissuto per lo più all’interno di vere e proprie “cortine di ferro” di natura politica ed economica, per cui, raggiungere Europa o Nord America, era ed è, ad oggi, per un abitante del Terzo Mondo molto difficile ed oltremodo dispendioso. A svolgere un ruolo principe in questa storia, sono state e sono, tuttora, tutte quelle organizzazioni “umanitarie”, o presunte tali, dalle varie Ong, all’Onu ed alla Fao, alle missioni cattoliche ed evangeliche, alle rappresentanze di alcune multinazionali, che hanno negli anni svolto una mefitica opera di persuasione occulta tra queste popolazioni, facendo loro balenare l’idea che il Primo Mondo fosse il paradiso in terra, una specie di Bengodi, in cui avrebbero potuto vivere e prosperare senza problema alcuno. A questa silenziosa opera di indottrinamento, ne è seguita una ulteriore, ancor più deleteria e criminale: quella della vera e propria organizzazione di “viaggi della speranza”, in gran parte foraggiati da quelle medesime menti, che fanno trovare ai “profughi” in gommone, delle imbarcazioni di fronte alle coste libiche o in pieno Mediterraneo, pronte ad accoglierli ed a traghettarli, a mò di taxi, verso gli italici lidi, tanto per cambiare. Il problema, dunque, non sta all’arrivo in pieno Mediterraneo, bensì in quel del Terzo Mondo, ove loschi figuri si muovono per persuadere, istigare masse di illusi, sbandati, criminali d’ogni sorta e risma ed organizzare per costoro, grazie ad occulti sponsor, i famosi “viaggi della speranza”. In base a quali prove, effettuiamo queste considerazioni? Anzitutto, la maggior parte dei livelli di reddito, di determinate aree del Terzo Mondo, non permettono di poter impunemente pagare cifre che vanno dai tremila ai cinquemila dollari come nulla fosse. Pertanto, è inutile girarci attorno, siamo di fronte ad una precisa volontà politica, volta a fomentare ed a foraggiare l’immigrazione. Fondazioni cosiddette “no profit”, Ong ad alto livello ed i loro coordinatori, tra cui molti nomi sconosciuti ma, su tutti uno arcifamoso, il solito immarcescente George Soros, brigano per fare dell’Europa e dell’Occidente intero, un mercato di poveri schiavi, diseredati e sfruttati, atti a consumare codinamente tutto ciò che a loro venisse offerto.
Prove per queste asserzioni? I racconti dei “rifugiati”, anzitutto. Seguiti dalle testimonianze e dai troppi “si dice” di una variegata umanità: si va dall’operatore economico europeo in loco, a qualche funzionario di ambasciata, non senza passare per quegli stessi operatori umanitari in buona fede, sino a qualche rappresentante della stampa estera o locale; tutte fonti la cui attendibilità viene subito messa a tacere dal muro di silenzio che i media “embedded” gettano su queste storie. Non sappiamo esattamente quante persone tra i rappresentanti delle categorie che abbiamo poc’anzi citato, siano state uccise per quel che sapevano o stavano per rivelare. Fatte sovente passare per vittime del terrorismo, di qualche criminale comune, di una mina antiuomo o di strani e mai verificati incidenti, questa silenziosa massa di testimonianze, deve ancora fuoruscire dal forzoso anonimato, in cui sono state relegate. Ed a riprova che, in tutto questo, “gatta ci cova”, la strana impunità di cui le Ong godono. La violazione del confine di un Paese, il far entrare persone senza passaporto, il sostituirsi praticamente alla pubblica autorità, costituiscono dei flagranti “vulnus” all’integrità territoriale di uno stato, ma tant’è. Tutto Tace. Il problema, come si può vedere, è molto più esteso di quanto si potrebbe credere e dovrebbe prevedere una serie di soluzioni ad ampio respiro e non solo timidi e goffi tentativi. Il blocco navale sì, ma anche una più decisiva azione contro chi, come il famigerato Fmi, continua a strangolare questi paesi, proponendo delle suicide ricette economiche. Secondo poi. Non si possono continuare a mandare soldi a raggiera per cooperazioni e pagliacciate varie, a paesi caratterizzati da paurose sperequazioni sociali. Ove i soldi arrivano ai pochi ricchi, che li utilizzano per scatenare orride guerre etniche o per metterseli al riparo in Svizzera, lasciando i propri paesi in braghe di tela. Altra nota dolens. Non si può permettere a paesi come Cina, Francia o Usa di comperarsi interi continenti , come nel caso dell’Africa e spingere le popolazioni locali all’abbandono delle proprie terre. Una politica di dure sanzioni e di rinnovato protezionismo, scoraggerebbe certe forme di colonialismo economico e finanziario. Un’ Europa “altra”, un’unione di nazioni libere e decise, dovrebbe però, affacciarsi sul proscenio.