L’America fondata sul libero sterminio
di Pino Corrias - 11/11/2025

Fonte: Il Fatto Quotidiano
La Costituzione statunitense celebra la sovranità popolare, ma su quali basi? L’eliminazione dei popoli nativi, lo schiavismo per la forza lavoro e i diritti soltanto per i bianchi
Affondano nel sangue le radici dell’America. Quello versato per due secoli dai nativi, gli indiani, bruciati e sterminati un villaggio alla volta, fino al genocidio.
E quello degli schiavi, i niggers, rastrellati in Africa dai trafficanti spagnoli, britannici, portoghesi, rapiti a migliaia, trasportati in catene sulle navi negriere lungo l’Atlantico, venduti nei mercati del Nuovo mondo, incatenati a vita nelle piantagioni di cotone e tabacco, torturati o uccisi se ribelli.
Epopea di una Nazione nascente, illuminata dai principi di libertà, uguaglianza, diritto alla felicità, ma solo per i bianchi, da uomini come George Washington, Thomas Jefferson, James Madison, i Padri fondatori, tutti proprietari di schiavi nelle rispettive piantagioni, tutti a comandare le spedizioni dei Soldati Blu verso l’Ovest per proteggere i coloni bianchi che si impossessavano delle terre indiane e finalmente “estirpare quella detestabile razza di selvaggi dalla faccia della terra”. Tutto compiuto nel nome più altisonante “We The People” le tre parole che stanno in cima alla Costituzione americana, anno 1787, e che Claudio Gatti, scrittore d’inchiesta che vive e lavora da anni in America, ha scelto per raccontarci la leggenda incorporata alla bandiera degli Stati Uniti, e al suo clamoroso paradosso di una libertà fondata sulla schiavitù, l’uguaglianza sull’esclusione, la prosperità sulla rapina e l’esproprio, la felicità sulla crudeltà.
Tutto comincia dalla Costa Est, tre secoli fa, quando i coloni bianchi approdati nel Nuovo Mondo, agricoltori, mercanti, diseredati, quaccheri, avventurieri, banditi, scalano la loro indipendenza, una battaglia alla volta, contro le truppe e le tasse dell’impero britannico e di quello francese. Una marcia che li vedrà vittoriosi fino all’indipendenza, anno 1776, “troppo nobili per sopportare gli abusi degli altri – come scriverà Jefferson – In possesso di un Paese con tanto spazio per mille generazioni future. Illuminati da una religione benigna (…) con tutti questi doni, cos’altro è necessario per renderci un popolo felice e prospero?”.
È necessaria una ideologia di conquista – racconta Gatti – sancita dalla “Dottrina della scoperta” che dice: tutto quello che trovo è mio. Serve un dio da innalzare a protezione dei propri misfatti, quello cristiano. Servono le armi e la guerra perpetua. La legge è quella del più forte. Battuti gli inglesi, i coloni avanzano persuasi “che le terre non siano di nessuno” basta sgomberarle dai selvaggi che non hanno anima, non hanno identità, non hanno destino. Scriverà John Adams, avvocato, anche lui futuro presidente: “Come in una terra infestata da erbacce che devono essere estirpate in modo che nascano i frutti, così in America i selvaggi devono essere eliminati affinché la popolazione civile possa crescere”. Le nazioni indiane sono intralci. Per cancellarle, in un secolo di genocidio, i bianchi bruciano i villaggi, i raccolti di mais, imprigionano, impiccano, fucilano, stuprano per terrorizzare. Abbattono milioni di bisonti, la principale fonte di sostentamento delle tribù. Arrivano a infestarle con il vaiolo. Un mercante annota: “Abbiamo dato agli indiani due coperte e due fazzoletti contaminati con il vaiolo. Spero producano l’effetto desiderato”. E già che c’è chiede all’autorità militare il rimborso per le coperte: 2 sterline, 13 scellini, 6 pence.
La stessa ideologia che disumanizza l’altro, serve allo schiavismo che era “il principio organizzativo centrale della intera società” composta in quegli anni da 3,2 milioni di bianchi e da 700 mila schiavi. Lavorano tutti dall’alba al tramonto nelle piantagioni, nell’edilizia, nei porti, nelle ferrovie. Vivono segregati nelle baracche, mangiano l’indispensabile. Sono proprietà esclusiva dei padroni, compresi i figli, e i figli dei figli. Nel pieno della rivoluzione illuminista e liberale, scrive Gatti, uomini, donne, bambini venivano esibiti su una panca in catene e venduti in ogni piazza, mentre accanto, nella Coffe House, i mercanti bianchi e i proprietari di piantagioni discutevano di libertà politica. La segregazione era il suo corrispettivo capovolto.
Dettava la legge: “Un negro o un mulatto che osi alzare una mano o ribellarsi contro un cristiano riceverà trenta frustate sulla schiena nuda per ogni singola infrazione”. Proibito fuggire: “Se il fuggitivo verrà catturato, sarà legale infliggergli la punizione, compresa la mutilazione o qualsiasi altra forma di castigo che non ne comporti la morte al fine di redimerlo e terrorizzare gli altri”. Per i maschi l’amputazione era dei testicoli, per le femmine le orecchie.
Il “noi” della Costituzione non è egualitarismo, riguarda solo i bianchi e i loro diritti. Compreso quello di armarsi in casa e fuori casa per difendersi. La violenza e la brutalità sociali sono la sua conseguenza. A nessuno importava che l’uomo bianco avesse ripagato l’ospitalità dei nativi con i furti, l’inganno, infine la distruzione. Erano milioni gli indiani divisi in 500 tribù. Cento anni dopo il Commissario agli affari indiani certificò che ne rimanevano 228 mila. Altrettanto a nessuno importava la sorte degli schiavi importati e abusati per intere generazioni a edificare una nazione, la grande e libera America, che avrebbe ispirato rivoluzioni in ogni continente, dall’assalto alla Bastiglia in Francia, fino ai moti rivoluzionari in Europa, alle guerre di indipendenza guidate da Simón Bolivar in Colombia, Bolivia, Perù, Venezuela.
Quando il 9 luglio 1776 a Manhattan buttano giù il monumento equestre a Giorgio III d’Inghilterra, al grido di “No Kings!”, lo fanno fare a 12 schiavi. Che non ne trarranno alcun vantaggio. Mentre due terzi dei 56 delegati che in quei giorni firmano la Dichiarazione di indipendenza come valore universale, lo calpestano nelle rispettive sontuose proprietà, dove gli schiavi resteranno in catene per altri cento anni. E segregati dal suprematismo bianco per altri cento.
È questo il veleno americano che non si cancella. Nascosto dagli infiniti sipari allestiti dagli storici e dalle menzogne della propaganda, della cultura, della religione: il patriottismo, il coraggio, l’avventura della conquista, l’epopea della frontiera e delle armi, l’intera storia riscritta mille volte da Hollywood. Diventata infine l’orgoglio nazionale dei bianchi unificati ancora oggi da razza e terra, identità e diritti, fino a saldarli nell’onda Maga, Make America Great Again, dove i bianchi più poveri e i bianchi più ricchi, compresi gli oligarchi della politica e del Web, da Donald Trump a Peter Thiel, stanno spalla a spalla contro i nuovi immigrati. E specialmente contro i nemici interni, quelli che si azzardano a rivelare i pilastri del proprio passato nazionale: una cronaca nera voltata in stelle e strisce.

