L’uomo più pericoloso del mondo e il suo complice
di Patrick Lawrence - 17/06/2025
Fonte: Come Don Chisciotte
Sono passati alcuni anni da quando ho descritto Benjamin Netanyahu come l’uomo più pericoloso dell’Asia occidentale. È stato quando abbiamo sentito parlare della minaccia del regime di Assad a Damasco, del Belzebù altrimenti noto come leader supremo dell’Iran e di altre figure impensabilmente maligne.
Il primo ministro israeliano si è appena laureato. Secondo qualsiasi calcolo serio, è l’uomo più pericoloso del mondo a partire dagli attacchi scioccamente sconsiderati e del tutto nichilisti che ha lanciato contro la Repubblica islamica nelle prime ore di venerdì 13 giugno. Tra poco tratterò anche del posto di Donald Trump nelle classifiche.
Nel suo annuncio iniziale dell’Operazione Leone Nascente, Netanyahu ha affermato che l’Iran rappresenta “una minaccia esistenziale” per Israele e che non aveva altra scelta che ordinare un attacco. È un’assurdità, ma è meglio prestare attenzione all’assurdità: con questa frase carica di significato Bibi ha, di fatto, autorizzato lo Stato sionista a lanciare un’arma nucleare se questi attacchi non riusciranno a distruggere tutti i programmi nucleari della Repubblica islamica, come sembra probabile. Questa è la mia lettura degli eventi.
Da venerdì scorso esiste effettivamente una minaccia esistenziale all’estero, ma si estende ben oltre l’Iran e, di fatto, l’Asia occidentale. Come dimostra il lungo e terribile passato del sedicente Stato ebraico, esso sembra non riconoscere alcun limite alla violenza che infliggerà agli altri, alle sue violazioni del diritto internazionale e delle norme della causa umana, e ai rischi che infliggerà al mondo in nome di quello che equivale a un progetto biblicamente autorizzato di sottomissione e dominio.
Per concludere, questo leader ossessionato di una nazione dotata di armi nucleari – e mai sottoposta ai termini del Trattato di non proliferazione – ha appena attaccato una nazione non nucleare che definisce un pericolo mortale per la sopravvivenza di Israele a causa delle armi nucleari che non possiede. Fate voi i conti, come si suol dire.
L’“Operazione Leone Nascente”, per la cronaca, è un riferimento alla profezia di Balaam, un infedele dai trascorsi molto alterni ma che impressionò gli antichi israeliti con i suoi eccezionali poteri divinatori. Nella Versione revisionata standard di Numeri, 23:24, troviamo che dice: “Ecco, il popolo si alzerà come un grande leone e si solleverà come un giovane leone; non si coricherà finché non avrà mangiato la preda e bevuto il sangue degli uccisi”. Così Bibi, che considera i palestinesi come malvagi Amaleciti direttamente dalle mitologie dell’Antico Testamento, dichiara ancora una volta il suo proposito.
Israele e l’Iran sono ora in guerra, come ha raccontato un’iraniana al New York Times dopo aver ascoltato le esplosioni e osservato dalla sua finestra gli incendi lampeggianti lo scorso venerdì sera. Ora tutto è cambiato. Netanyahu ha bramato questa guerra per decenni, giustificando sempre la sua brama – una brama clinicamente psicotica, è giusto dire – attraverso infinite bugie e una paranoia apparentemente senza fondo. Queste bugie e questa paranoia hanno appena messo il mondo in pericolo di un confronto globale. Ora siamo tutti iraniani: io sono pienamente disposto a dirlo.
Per quanto riguarda il Presidente Trump e il ruolo americano in questa vicenda, non c’è più bisogno di ingannare nessuno. Continuo a insistere, contro molti che la pensano diversamente, sul fatto che lo Stato sionista deve essere inteso come un cliente sconsiderato e troppo indulgente e non come l’Übermeister della politica statunitense. È una dinamica complessa, voglio dire, ma lo Stato sionista ha appena ottenuto ciò che l’imperium vuole nella sua più ampia ambizione di “rimodellare il Medio Oriente”, come hanno detto a lungo le cricche neoconservatrici che dirigono la politica statunitense. Come ho notato in precedenza in questo spazio, prendendo a prestito il linguaggio degli “spettri” (il testo ha ‘spookspeak’, letteralmente spettro che parla, N.d.T.), Israele fa il lavoro sporco di Washington in Asia occidentale.
Come molti commentatori hanno osservato in molte sedi, gli israeliani hanno una pratica consolidata di mentire su eventi, politiche, condotta delle Forze di Difesa Israeliane e così via. Tutti i governi mentono, come ha sostenuto notoriamente I.F. Stone in molte occasioni, ma è giusto dire che tra i bugiardi ufficiali gli israeliani sono in una classe a sé stante.
Il problema degli israeliani è che continuano a mentire anche dopo che una determinata menzogna è stata smascherata. Netanyahu, un esempio immediato, continua a raccontare che le milizie di Hamas, che hanno attaccato il sud di Israele il 7 ottobre 2023, hanno violentato uomini e donne, decapitato alcuni bambini e cotto altri nei forni, e così via. Tutto questo è stato smascherato come falso, prodotto dell’apparato hasbara di Israele, la macchina in continuo movimento che produce propaganda per il consumo del pubblico internazionale. Ma Bibi continua comunque a diffondere queste calunnie. Così è nel caso delle affermazioni di Netanyahu secondo cui, la scorsa settimana, l’Iran era sull’orlo della produzione di armi nucleari ed era quindi urgente fermarlo.
Quando ha annunciato l’Operazione Leone Nascente, Netanyahu ha affermato: “Potrebbe essere tra un anno, potrebbe essere tra pochi mesi – potrebbe essere meno di un anno”. Leggete con attenzione: si tratta di pura diffusione di paure, non c’è un fatto dichiarato. Non c’è più sostanza in queste affermazioni di quanta ce ne sia stata da quando Netanyahu ha iniziato a comportarsi in questo modo all’inizio degli anni Novanta. Chiunque sia al corrente dei fatti sa che questa è solo un’altra della lunga serie di dichiarazioni di questo tipo fatte da. Bibi sa che tutti i suoi “potrebbe” e le sue previsioni sono prive di fondamento – (vogliamo ricordare, in altra sede, le mai trovate armi di distruzione di massa di Saddam? N.d.R.). I servizi segreti israeliani e la Central Intelligence Agency glielo hanno detto – e non può non sapere che chi presta attenzione sa che lui lo sa. Ora questa trasparente menzogna si dimostra sufficiente a scatenare una guerra tra due parti e a rischiare una guerra con molti.
L’11 giugno, due giorni prima che gli israeliani lanciassero i loro attacchi contro l’Iran, un account di social media noto come The United States of Israel ha pubblicato su “X” una cronologia delle affermazioni di Netanyahu secondo cui la Repubblica islamica stava per saltare il fosso e diventare un pericolo con capacità nucleare. Si tratta di 20 voci, che iniziano nel 1992 e terminano all’inizio di quest’anno. Nel 1996 all’Iran mancavano da alcuni mesi a un anno per costruire una bomba. Nel 2010 mancava un anno, nel 2021 da un mese a un anno, e così via.
Non conosco The United States of Israel e non posso garantire per ogni voce, ma quelle che conosco sono tutte accurate. Penso innanzitutto al 2013, quando Netanyahu si è rivolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 1° ottobre con quel grafico tristemente ridicolo che i lettori ricorderanno: la bomba a forma di palla da bowling con una miccia fuori dalla parte superiore. Le previsioni di allora, una dozzina di anni fa, erano di un anno dalla capacità nucleare.
Mi sono occupato di quell’evento. Era una settimana dopo che Hassan Rouhani, eletto a giugno come presidente riformista dell’Iran, si era rivolto all’Assemblea Generale e aveva coraggiosamente teso una mano per proporre l’avvio di colloqui per regolamentare i programmi nucleari della sua nazione. Due anni dopo, Teheran ha firmato il l’Accordo sul Nucleare iraniano. Era esattamente ciò che Netanyahu assolutamente non voleva e Donald Trump gli ha fatto il favore quando nel 2018, un anno dopo il suo insediamento, ha annullato l’accordo.
Se i lettori sono interessati, 10 anni fa The Intercept aveva pubblicato un pezzo che confermava molte di queste date. Ora è in circolazione con il suo titolo originale, “Benjamin Netanyahu’s Long History of Crying Wolf About Iran’s Nuclear Weapons” (La lunga storia di Benjamin Netanyahu che grida al lupo sulle armi nucleari iraniane), ancora più appropriato ora di quanto non lo fosse nel 2015.
Ma non importa. Bisogna riconoscerglielo: Netanyahu è riuscito negli anni a creare una sorta di meta-realtà che prospera nei media mainstream mentre parliamo.
Israele non aveva alternative all’attacco, ha suggerito sul New York Times di venerdì scorso Bret Stephens, un falco anti-Iran di lunga data: “In parole povere, l’Iran ha ingannato il mondo per anni mentre raccoglieva i mezzi per costruire più armi nucleari”. David French, un altro editorialista conservatore del Times, nelle edizioni di sabato: “La necessità di fermare la marcia dell’Iran verso la bomba è molto più chiara [sic] oggi di quanto non fosse anche solo tre anni fa” (a questo punto è doveroso ancora una volta elogiare la genialità del neologismo “presstitutes” coniato da Paul Craig Jones già da lungo tempo, N.d.R.).
Questi e altri commentatori danno ora molto peso a un rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che accusa l’Iran di aver violato gli obblighi previsti dal Trattato di Non-proliferazione Nucleare.
Alcuni fatti: l’Agenzia è un organo delle Nazioni Unite e conta 35 membri. Si è riunita per votare una risoluzione avanzata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania. La risoluzione è stata presentata giovedì 12 giugno, un giorno prima che Israele iniziasse ad attaccare l’Iran. È passata con un voto di 19 membri del Consiglio a favore, tre contrari. (Russia, Cina, Burkina-Faso) e 11 astensioni; due membri del Consiglio non hanno votato.
Questi fatti meritano un’analisi. Perché quattro potenze occidentali, che sostengono unanimemente Israele e si oppongono all’Iran, hanno introdotto questa risoluzione quando, giovedì scorso, funzionari statunitensi ed europei stavano già avvertendo di un imminente attacco israeliano? Perché altre 16 nazioni – molte delle quali non occidentali, alcune delle quali (Canada, Paesi Bassi, Corea del Sud, Giappone) alleate degli Stati Uniti – hanno rifiutato di sostenere la risoluzione? Il giorno del voto, come si ricorderà, il Dipartimento di Stato ha ritirato il personale diplomatico dall’ambasciata a Baghdad e ha incoraggiato le famiglie dei militari presenti nella regione ad evacuare volontariamente.
Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha immediatamente interpretato la censura dell’AIEA come politicamente motivata, una premessa all’operazione israeliana del giorno successivo. Facciamo attenzione: questa visione degli eventi non può essere verificata come tale, ma certamente non può essere scartata.
La censura dell’AIEA è contenuta nel rapporto di quattro pagine del 12 giugno. Si tratta di un documento altamente tecnico che ha a che fare con l’accesso dell’Agenzia ai siti nucleari in Iran e con i resoconti ufficiali degli iraniani sui loro programmi nucleari nei loro contatti regolari con l’AIEA. I punti di conflitto tra l’Agenzia e gli iraniani risalgono a cinque anni fa; il più recente risale al novembre 2024. Non è successo nulla la settimana scorsa, né il mese scorso, né quello prima ancora, che giustifichi la censura da parte dell’Agenzia.
Ecco un passaggio chiave del documento:
Prendendo atto con preoccupazione della conclusione del Direttore Generale, da ultimo in GOV/2025/25, che questi problemi derivano dagli obblighi dell’Iran nell’ambito dell’accordo di salvaguardia del TNP e che, a meno che e fino a quando l’Iran non assisterà l’Agenzia nel risolvere le questioni in sospeso, l’Agenzia non sarà in grado di fornire garanzie che il programma nucleare iraniano sia esclusivamente pacifico…
Vi sembra una dichiarazione che l’Iran è sull’orlo della capacità nucleare e deve essere urgentemente fermato? O vi sembra un’altra di una lunga serie di relazioni intermedie, la base per un’ulteriore interazione del tipo che va avanti regolarmente da decenni? Questo, o qualsiasi altro passaggio se si vuole leggere la prosa tecnica, supporta le ultime previsioni di Bibi Netanyahu, come già citato? Supporta i commenti di David French e Bret Stephens? Mettete questo rapporto accanto alle affermazioni di queste persone e avrete un caso generale di grave distorsione.
In risposta alla censura dell’AIEA l’Iran, minaccia ora di ritirarsi completamente dal Trattato di Non Proliferazione e di perseguire seriamente le sue capacità nucleari. Si può leggere questo fatto come un potenziale spettacolo dell’orrore o si può pensare al principio di deterrenza. Nel caso dell’Iran sono stato per molti anni di quest’ultima opinione. La deterrenza era un concetto strategico molto importante durante i decenni della Guerra Fredda. Ho deplorato le circostanze che hanno reso necessaria la deterrenza, ma ne ho visto la necessità. E ora abbiamo una nazione dotata di armi nucleari, con pericolose capacità di giudizio più volte dimostrate, che minaccia “uno Stato senza armi nucleari”, come l’AIEA definisce l’Iran. Sono giunto alla stessa conclusione (possibile che qualche ispettore o dirigente dell’AIEA si sia svegliato una mattina con una testa di cavallo nel letto? N.d.R.).
Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, attualmente alquanto preoccupato, avrebbe dovuto recarsi in Oman domenica 15 giugno per ulteriori colloqui con gli Stati Uniti su un accordo nucleare che avrebbe sostituito l’accordo contro cui Netanyahu aveva inveito prima ancora che fosse firmato e che Trump aveva abbandonato. Per ovvie ragioni, l’incontro è stato annullato.
E così arriviamo al caso di Donald J. Trump. Non considero il presidente americano pericoloso come Benjamin Netanyahu. Lui, Trump, può essere più stupido di Bibi, ma non è altrettanto pazzo. Ritengo che Trump sia un facilitatore/complice di Netanyahu, e questo è il ruolo che ha appena svolto.
Trump è nelle tasche delle lobby israeliane e dei vari ricchi americani sostenitori dello Stato sionista come qualsiasi altro politico americano, salvo rare eccezioni. Ma nel suo sostegno a un’operazione così pericolosa come Leone Nascente, penso che Trump potrebbe averli superati tutti. Una cosa è, comunque abbastanza condannabile, sostenere un genocidio attraverso forniture illimitate di armi, sostegno politico e copertura diplomatica. Ma non è forse ben altra cosa approvare un’aggressione che comporta il rischio di una conflagrazione globale? Il grado di cinismo mi sembra ancora maggiore di quello di Joe Biden, e ammetto che è una definizione riduttiva.
C’è stato un giorno, poco prima che il leone di Netanyahu cominciasse a scatenarsi, in cui Trump ha messo Marco Rubio, il suo sfortunato Segretario di Stato, davanti ai microfoni e alle telecamere per dire al mondo che gli Stati Uniti non erano a conoscenza dei piani di Israele e che non c’erano “aerei americani” coinvolti. Sembra che Rubio intendesse nessun jet con le insegne “USAF” dipinte sulla fusoliera. Il giorno dell’attacco israeliano, Newsweek ha riferito che Israele ha schierato contro gli iraniani una serie di jet da combattimento di fabbricazione americana presenti nell’inventario israeliano – F-35, F-16 e F-15. Ci si potrebbe chiedere se questo equivalga a un tacito consenso, ma non ci si preoccupi. Gli israeliani, sempre desiderosi di vantarsi dell’approvazione americana di tutte le loro malevolenze, hanno chiarito la questione.
Antiwar.com, il sito di notizie libertarie, ha riportato il 13 giugno che un alto funzionario israeliano ha rivelato al Jerusalem Post che i regimi di Netanyahu e Trump erano collusi “per convincere Teheran che la diplomazia era ancora possibile dopo che Israele era pronto ad attaccare l’Iran”. Come riporta il Jerusalem Post, “il ciclo di negoziati nucleari tra Stati Uniti e Iran previsto per domenica faceva parte di un inganno coordinato tra Stati Uniti e Israele volto ad abbassare la guardia dell’Iran in vista dell’attacco di venerdì”.
Ecco il resoconto dell’ottimo Dave DeCamp su Antiwar.com e quello del Jerusalem Post. Ed ecco qui, per buona misura, come il New York Times ha interpretato la storia con il titolo “Un errore di calcolo da parte dell’Iran ha portato alla dura batosta degli attacchi israeliani, dicono i funzionari”. Quei fessi degli iraniani: hanno preso gli americani in parola.
Tutto questo mentre, per completare il quadro, Trump era sulla sua piattaforma di messaggistica sociale Truth con questo tipo di boiate:
Restiamo impegnati in una risoluzione diplomatica della questione nucleare iraniana! Tutta la mia amministrazione è stata incaricata di negoziare con l’Iran. Potrebbe diventare un grande Paese, ma prima deve rinunciare completamente alla speranza di ottenere un’arma nucleare. Grazie per la vostra attenzione a questo problema!”.
Mi piacciono le lusinghe, i sostantivi maiuscoli e i punti esclamativi. Molto Donald. Così come quello che si legge nelle pubblicazioni sopra citate.
Non voglio dilungarmi su quanto spesso gli Stati Uniti, nelle questioni di Stato, si comportino in modo vile; questo è stato notato abbastanza spesso. Ma quello che gli Stati Uniti hanno appena fatto all’Iran con l’aiuto del loro cliente mi sembra il ne plus ultra dei tradimenti diplomatici. Riesco a pensare a un solo altro caso che offra un paragone utile.
È stato quando Vladimir Putin ha negoziato personalmente una soluzione della crisi ucraina nelle sue fasi iniziali. Il presidente russo aveva investito molto nei due Protocolli di Minsk, firmati nel settembre 2014 e nel febbraio 2015, come una soluzione promettente alle divisioni evidenti in Ucraina dopo il colpo di Stato favorito dagli Stati Uniti a Kiev nel febbraio 2014. In seguito ha scoperto che né l’Ucraina né le potenze occidentali garanti di questi accordi, Francia e Germania, avevano mai avuto intenzione di attuarli.
In questi due casi si tratta essenzialmente di fiducia e della sua violazione. Una misura di fiducia è fondamentale nelle relazioni internazionali. Senza di essa non può esistere una diplomazia costruttiva, né tra avversari né, se vogliamo, tra alleati. Le nazioni sono molto più vicine a un default di ostilità e al potenziale caos. Gli europei hanno rotto la fiducia con i russi quando hanno abbandonato gli accordi di Minsk non appena li hanno firmati. Trump ha appena rotto la fiducia con gli iraniani. Si tratta di una sorta di devastazione: potremmo chiamarla “arte di governo della terra bruciata”.
Per concludere, pensa che gli altri non se ne accorgano? I cinesi, per citare il caso più critico?
Trump e Netanyahu hanno appena eseguito con Teheran la più scadente routine di poliziotto buono e poliziotto cattivo. È una variante della doppiezza di Biden, che ha armato Israele con tutto il necessario per procedere con il suo genocidio a Gaza, affermando di lottare “notte e giorno” per un cessate il fuoco. Biden ha tradito i palestinesi, Trump gli iraniani. Entrambi hanno tradito tutti noi. Sono atti di disperazione, secondo la mia lettura finale. Non dimentichiamo il perché di tutto questo e in quale direzione gira la ruota della storia.
Patrick Lawrence, corrispondente all’estero per molti anni, soprattutto per l’International Herald Tribune, è critico dei media, saggista, autore e conferenziere. Il suo nuovo libro, Journalists and Their Shadows, è in uscita per Clarity Press. Il suo sito web è Patrick Lawrence.
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