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La federazione russa e la vacuità analitica del governo italiano

di Sergio Caruso - 29/12/2025

La federazione russa e la vacuità analitica del governo italiano

Fonte: Sergio Caruso

Le affermazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, secondo cui la Russia avrebbe subito una “sconfitta storica” in Ucraina e sarebbe ormai ridotta a “poco più di un Paese del terzo mondo”, non colpiscono per audacia o lucidità strategica, bensì per la loro evidente vacuità analitica. Dichiarazioni di questo tipo non solo risultano scollegate dalla realtà geopolitica attuale, ma rischiano anche di esporre il governo italiano a una forma di marginalizzazione e di ridicolo sul piano internazionale.
A oltre tre anni dall’inizio della guerra, la Russia non appare affatto come un attore sconfitto in senso storico. Al contrario, Mosca ha dimostrato una resilienza economica, militare e diplomatica che molti osservatori occidentali avevano sottovalutato. Le sanzioni, pur avendo inciso su alcuni settori, non hanno prodotto il collasso sistemico annunciato; l’economia russa ha trovato nuovi canali di commercio, soprattutto verso Asia, Medio Oriente e Africa; la produzione industriale legata al complesso militare-industriale è aumentata; e il rublo, pur con oscillazioni, non è crollato. Parlare di “Paese del terzo mondo” in riferimento a una potenza nucleare, membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU, con una capacità militare convenzionale e strategica intatta, significa rinunciare a qualsiasi criterio serio di analisi.
Sul piano militare, l’idea di una “sconfitta storica” appare ancora più fragile. La linea del fronte è sostanzialmente stabilizzata, l’Ucraina dipende in misura crescente dal sostegno occidentale e fatica a mantenere l’iniziativa strategica, mentre la Russia conserva ampie riserve umane e materiali. Nessuno dei principali centri di analisi strategica – occidentali inclusi – sostiene che Mosca sia prossima al collasso o all’irrilevanza geopolitica. Al contrario, molti ammettono che la guerra ha accelerato la transizione verso un ordine internazionale più frammentato e multipolare, in cui la Russia continua a svolgere un ruolo significativo.
Ma il punto più problematico delle dichiarazioni di Fazzolari non è solo l’inesattezza fattuale, bensì la loro funzione retorica. Esse sembrano rispondere più a un’esigenza di allineamento ideologico e di consumo interno che a una riflessione strategica. Ridurre un avversario geopolitico a caricatura serve forse a rassicurare l’opinione pubblica, ma non aiuta a comprendere la complessità del contesto né a tutelare gli interessi nazionali italiani. La politica estera non è propaganda: è gestione del potere, degli equilibri e delle conseguenze.
In questo senso, il rischio per l’Italia è duplice. Da un lato, dichiarazioni superficiali indeboliscono la credibilità del Paese come interlocutore serio, capace di leggere la realtà internazionale con pragmatismo. Dall’altro, esse contribuiscono a collocare Roma in una posizione subalterna, priva di autonomia analitica, appiattita su slogan che non incidono né sull’andamento del conflitto né sulla costruzione di un futuro assetto di sicurezza europeo.
La storia recente insegna che sottovalutare un attore come la Russia – economicamente, militarmente e culturalmente – è un errore ricorrente, spesso pagato a caro prezzo. Trasformare questo errore in linea comunicativa ufficiale significa rinunciare alla diplomazia come strumento razionale e accettare il linguaggio della semplificazione ideologica. Un lusso che l’Italia, per posizione geografica, fragilità economica e dipendenza energetica, non può permettersi.
In definitiva, più che certificare la presunta irrilevanza di Mosca, dichiarazioni come quelle del sottosegretario finiscono per rivelare un problema ben più vicino: la difficoltà di una parte della classe dirigente italiana di distinguere tra narrazione politica e analisi geopolitica. E quando questa distinzione viene meno, il rischio non è solo l’errore, ma il ridicolo.