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La guerra fredda non è mai stata fredda

di Alberto Negri - 08/05/2020

La guerra fredda non è mai stata fredda

Fonte: Alberto Negri

E’ una delle definizioni più irritanti che si trovano nei saggi e sui giornali. Sono 70 anni invece che intorno a noi si combattono guerre per procura con milioni di morti. il 7 maggio 1999, in piena guerra del Kosovo con migliaia di morti, cinque missili americani colpirono l’ambasciata cinese di Belgrado: una "guerra fredda" che ritorna.

Con le tensioni tra Usa e Cina la definizione è rispuntata nella speranza forse di uno stallo che duri altri 50 anni come è avvenuto tra l’Europa, l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia: alta tensione, schieramenti militari sempre in allerta ma i morti si facevano da altre parti, dal Medio Oriente all’Africa all’Asia.

Così si legge che l’Europa ha vissuto per 70 anni, dopo la seconda guerra mondiale, un lungo periodo di pace. E qui la memoria già si fa molto corta.

In primo luogo la seconda guerra mondiale non è finita nel maggio del 1945 con il crollo del Terzo Reich ma è andata avanti in parte dell’Europa con regolamenti di conti che hanno fatto decine di migliaia di morti, basti pensare che negli anni Cinquanta si combatteva ancora al confine macedone tra la Jugoslavia di Tito e la Grecia. Oppure si pensi ai pogrom etnici, religiosi e politici che sono seguiti in Ucraina, Polonia, Ungheria, Jugoslavia, dopo il 1945. Altre migliaia di morti che non si sa perché sono stati dimenticati.

In secondo luogo la disgregazione della Jugoslavia negli anni Novanta ha causato, con lo sbriciolamento dello stato più multi-etnico e multi-religioso d’Europa, un massacro con 200mila morti e milioni di profughi. A Srebrenica nel luglio 1995 il generale serbo Ratko Maldic fece ottomila morti, il peggior massacro dalla seconda guerra mondiale.

Ma probabilmente molti che leggono o non erano nati o stavano al mare, quindi è comprensibile che se ne siano dimenticati, un po’ meno scusabile che se ne scordino quelli che pretendono di scrivere articoli e saggi di geopolitica.

Per chi ha dovuto in qualche modo testimoniare sul campo il lungo decennio dei massacri nella ex Jugoslavia è davvero irritante vedere la definizione “guerra fredda” e “lungo periodo di pace”. E’ vero il contrario. Nel ’99 in Kosovo la Russia mandò i suoi paracadutisti a Pristina mentre stavano entrando le truppe americane della Nato. Per altro ci rimasero mesi accampati all’aereoporto accanto alle truppe italiane.

Ricordo perfettamente che la signora Albright, allora segretario di stato, chiese al comandante britannico della Nato Mike Jackson di inviare anche lui i parà a Pristina. Jackson fu chiarissimo: “Non mando proprio nessuno, ho appena firmato l’accodo di tregua di Kumanovo con la Serbia e non intendo far scoppiare una terza guerra mondiale”. E così entrai in Kosovo con il generale Jackson senza che fosse sparato un colpo.

Ma la Russia aveva tutti i motivi per essere irritata. Le truppe americane in Kosovo erano arrivare nel punto più orientale della loro avanzata in Europa, che non avevano mai raggiunto neppure durante la seconda guerra mondiale, e istallarono a pochi chilometri da Pristina la grande base militare di Bondsteeel.

La guerra non era stata affatto fredda: gli aerei americani e della Nato avevano bombardato la Serbia e Belgrado per settimane facendo migliaia di morti.

Ma perchè ricordare quella guerra? Perché ci riporta ai giorni nostri. Ventuno anni fa, il 7 maggio 1999, cinque missile americani colpirono l’ambasciata cinese di Belgrado: tre i morti fra i diplomatici cinesi, venti i feriti, tra i quali oltre quattordici serbi.

I missili statunitensi arrivano sull’ambasciata cinese nel momento di scontro più cruciale tra la Nato e la Repubblica Federale di Jugoslavia del presidente Slobodan Miloševic, durante l'operazione Allied Force, la campagna di attacchi aerei condotta dalla Nato ferocemente osteggiata sia da Pechino che da Mosca. “Non è stata una casualità”, dichiarò immediatamente la Cina e aveva perfettamente ragione: non solo i missili americani erano già allora dotati di grande precisione ma l’ambasciata cinese era un grande edificio alla periferia di Belgrado vicino all’Hotel Hyatt che non si poteva certamente confondere con nessun altro.

Gli americani, si disse allora, avrebbero raccolto le prove che l’ambasciata cinese fosse il nascondiglio segreto della nomenclatura dei servizi segreti jugoslavi.

Anni dopo l’ex presidente cinese Jiang Zemin dichiarò alla rivista Quinsao di Hong Kong che “la Cina non si limitò solo a fornire ospitalità all’intelligence di Belgrado. Pechino inviò in Jugoslavia anche missili terra-aria attraverso la Libia”.

Le dichiarazioni dell’ex presidente cinese non furono mai confermate da prove ma una cosa è certa: la “guerra fredda” esiste solo sulla carta, una definizione di comodo quando le armi tacciono. Ma le armi sono sempre pronte.