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La sfida del cambiamento: una concezione adattiva della storia

di Pierluigi Fagan - 03/04/2020

La sfida del cambiamento: una concezione adattiva della storia

Fonte: osservatorioglobalizzazione


“La storia si muove ed invita a muoverci con lei”: con questa analisi di Pierluigi Fagan sulla necessità di una concezione adattiva della storia e dello sviluppo umano vogliamo oggi inaugurare il dossier “Coronavirus: sfide e scenari” che ci accompagnerà nelle prossime settimane con una serie di contributi ed interviste. Per capire le prospettive e gli scenari aperti dall’attuale fase di pandemia e crisi sistemica globale abbiamo scelto di partire con un’analisi che invita a comprendere la necessità per le nostre società di anticipare, piuttosto che subire nel momento in cui si verifica, il cambiamento, specie se si manifesta in forma catastrofica come succede nel tempo presente.

Gli umani ereditano dai primati e dai mammiferi la tendenza a fare gruppo, il gruppo e non l’individuo è la strategia adattiva di molte specie viventi tanto nel regno vegetale che animale. La strategia prevede di sottoporre al vaglio adattivo gruppi perché sono totali la cui entità è maggiore della somma delle singole parti. Gli individui poi si adatteranno in vario modo al gruppo. Siamo soliti far iniziare la storia con la comparsa delle prime forme di scrittura cinquemila anni fa anche se oggi cominciamo a capire che questo è nostro arbitrio. La storia è decisamente molto più profonda tanto del come contiamo gli anni (prima e dopo Cristo), che dal quando la consideriamo tale (tavolette mesopotamiche). Ma indubbiamente, da cinquemila anni, le società umane prendono consistenza e forma nuova, diventando “società complesse” sono questi i nuovi veicoli adattivi degli umani. In questi cinquemila anni, le società umane, hanno sviluppato diverse strategie adattative. Alternativamente, alcune si sono ordinate col principio militare, altre col principio religioso, altre ancora col principio politico. Solo nella recente penta-secolare “modernità” europea, le società di questa area del mondo, a partire dalla Gloriosa rivoluzione inglese del 1688-89, hanno scelto di ordinarsi col principio economico. Come ben individuò Karl Polanyi, questo fu il primo ed unico caso in cui davvero la c.d. “concezione materialistica della storia” trova conferma. L’ordinatore è ciò che dà ordini funzionali al sistema sociale e ciò che mette ordine ai flussi interni ed esterni delle società stesse. Con parlamenti condizionati dal potere economico (di recente, più finanziario che economico in ragione della fase “autunnale” della salute economica occidentale), usando la leva militare per conquista e dominio esterno (dai colonialismi ai vari imperialismi, alle svariate guerre intestine all’Occidente, tra cui due “mondiali”), relegando la religione a supporto metafisico e torcendo la cultura allo stile “produci e consuma” potenziato dalla tecno-scienza, il modo di stare al mondo occidentale ha conseguito eccezionali successi adattivi per lunghi cinque secoli.

Dall’indomani della fine della Seconda guerra mondiale però, una serie di fatti per lo più non intenzionali, hanno trasformato lo stesso mondo a cui le società dovevano adattarsi. In poco più di settanta anni, il mondo umano si è dilatato enormemente crescendo i suoi effettivi individuali ed istituzionali (gli Stati) di ben tre volte. Sono molto aumentate anche le interrelazioni interne al mondo umano. Già tra 1950 e 1973, il volume degli scambi commerciali mondiali crebbe di sette volte ed in parallelo il volume dei trasferimenti interni al sistema umano tramite i sempre più efficienti mezzi espressi a partire dai primi Novecento: trasporti e telecomunicazioni. Il modo economico moderno fatto di scienza, tecnica, capitale e mercato, ha poi subito un più recente riorientamento gestaltico a partire dalla metà degli anni ’80.  Il modo economico moderno ha perso la sua esclusiva occidentale ed è stato adottato dagli orientali che, ricordiamolo, sono il quadruplo degli occidentali. Questi ultimi hanno trasformato la propria forma economica da agricolo-industriale a servizi, da economica a finanziaria, da inter-nazionale a globale creando a partire dal WTO del 1995 ed a seguito di una precisa teoria generale distillata nel c.d. Washington consensus (1989), un meta-mercato in cui le merci viaggiano da est ad ovest, mentre i capitali fanno la rotta al contrario. Ne son conseguiti diversi effetti tra cui l’ipertrofia dei volumi finanziari  per lo più fittizi che in Occidente sopperiscono a volumi economici ben meno sostanziali, ovviamente veloce dilatazione delle diseguaglianze (se il capitale si riproduce senza passare per la produzione materiale, è affare di pochi), degrado progressivo della politica democratica, formazione di un quadro di gioco geopolitico multipolare dopo una breve stagione di ordini bipolari o addirittura monopolari, quest’ultima, una vera e propria “invenzione” dei narratori della contemporaneità. Nel frattempo, un mondo umano sempre più dilatato e denso, tutto impegnato a sviluppare il modo economico “produzione e scambio”, ha cominciato a premere in modo insostenibile su risorse ed ambiente. L’ipotesi Antropocene, ha infatti la stessa anagrafe degli eventi descritti cioè a partire dagli anni ’50. Di contro, l’innovazione reale che aveva fatto esplodere il sistema “produzione e scambio” ai primi del Novecento è andata diradandosi poiché, in Occidente, si è probabilmente arrivati ad una tendenziale saturazione delle necessità materiali e non, anche quelle indotte dalle operazioni consumistiche e di obsolescenza programmata a partire dagli anni ’60.

La c.d. “rivoluzione” tecnologica digitale, è in realtà ben poca cosa in volumi effettivi se comparata con quelle del vapore, meccanica, chimica, elettrica, sanitaria, delle telecomunicazioni di primo Novecento (R.J.Gordon, 2016). Su questa traiettoria storica si è abbattuta una pandemia che in vaga analogia, sembra ripetere le dinamiche che diedero l’avvio alla transizione tra medioevo e moderno che partì dall’indomani della Peste Nera del ‘300 (McNeill, 2012). Le previsioni a trenta anni non fanno che confermare la contrazione demografica, economica e di potenza occidentale in favore di un mondo assai più vario ed equilibrato, un mondo “nuovo”.

Il mondo inizia a cambiare radicalmente settanta anni fa, su questa dinamica già potente oggi si sta abbattendo una catastrofe (καταστροϕή, «rivolgimento, rovesciamento) che ne accelererà l’impeto. Le società occidentali debbono ripensarsi nel profondo e passare dall’atteggiamento adattivo del aspettiamo di non avere scelta e poi ci adattiamo”, alla previsione e progettazione delle proprie forme prendendo atto della propria consistenza reale e di quella di un mondo del tutto nuovo. Adattarsi a tutto ciò, modificare i nostri veicoli adattivi costruendosi al contempo una nicchia adattiva, non sarà facile. I poteri in atto negheranno oltre l’evidenza la necessità di un profondo cambiamento, il tempo è poco, il da farsi immane, le nostre capacità di pensiero sono in grave ritardo e da aggiornare in profondo per superare questo nuovo e per noi inedito “vaglio adattivo”. In compenso, la storia si muove ed invita a muoverci con lei.

Riferimenti

  • K. Polnayi, La grande trasformazione, Einaudi, 2000 – K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo, Einaudi, 1983
  • F. Braudel, La dinamica del capitalismo, il Mulino, 1988
  • J. Williamson, sul Washington consensus (1989): https://web.archive.org/web/20150705172400/http://www.iie.com/content/?ID=1#topic3
  • P. Fagan, Verso un mondo multipolare, Fazi editore, 2017
  • J.McNeill, P. Engelke, La grande accelerazione, Einaudi, 2018
  • R.J.Gordon, The Rise and Fall of American Growth, Princeton UP 2016
  • W.H. McNeill, La peste nella storia, Res Gestae, 2012