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La società della paura

di Sergio Cabras - 12/11/2021

La società della paura

Fonte: Sergio Cabras

Hanno paura, sono dominati dalla paura, si sentono in pericolo e cercano disperatamente di allontanare questa sensazione che tutto gli stia per franare sotto i piedi. Paura del Covid, sì, ma questo è solo il sintomo momentaneo: paura delle mille possibili pandemie che sono dietro l’angolo a causa delle condizioni di vita date da questo snaturante modello di sviluppo; dal vivere ammassati nelle metropoli; dal passare le proprie giornate sempre in ambienti chiusi ed artificiali; dal nutrirsi di cibo finto ed inquinato; dal riempire il mondo di allevamenti intensivi, terreno di coltura di nuovi virus. Si sentono accerchiati perché sanno che nessun gruppo di privilegiati ha mai potuto mantenere all’infinito la propria posizione in mezzo all’accrescersi della precarietà per l’umanità che lo circonda; sanno che la finanza virtuale alla lunga non è che una scommessa e che prima o poi la si perderà con conseguenze cataclismatiche. Intuiscono, in cuor loro, di non avere un futuro né di poterlo lasciare ai posteri, dato che ogni logica dice che un’economia votata alla crescita infinita in un pianeta finito non può portare che all’autodistruzione; perché i segni che il clima sta cambiando sono ogni anno più violenti ed una volta tanto non è un problema che colpisce solo i Paesi poveri, ma sanno altrettanto bene che questo Sistema non è in grado di trovare una soluzione senza con ciò negare sé stesso.
Sono letteralmente imbevuti di paura, ma non lo ammetterebbero mai perché, come è possibile che tale sia la condizione di chi si vede all’apice dello sviluppo e dell’evoluzione, creatore del migliore dei mondi possibili che va costantemente verso il “meglio”? Ovviamente non può essere possibile e quindi è solo un momento di passaggio e serve ancora più sviluppo, ancora più progresso: la tecnologia ci salverà, e la Scienza, la Scienza! Bisogna crederci nella Scienza e nei suoi sacerdoti accreditati (da chi?...be’, se ci chiediamo qualcosa sui criteri di accreditamento, qui già il discorso diventa un po’ meno scientifico….ma comunque…), bisogna crederci ciecamente, come ad una fede religiosa (anche perché per la maggior parte non avremmo le competenze per valutare la credibilità di ciò che ci dicono) e quindi non ostacolarne il cammino, ovvero adeguarsi alle esigenze dell’implementazione su scala di massa delle (sempre nuove) tecnologie, che sono la Scienza incarnata. Queste hanno il loro modo di funzionare e formano un sistema integrato, che funziona tutto insieme e siamo noi, che lo capiamo o meno, che ci piaccia o no, a doveci adeguare ad esso, altrimenti c’è rischio di incepparne il meccanismo e con ciò metterci contro la sicurezza ed il progresso di tutta l’umanità.
Ma la linea di evoluzione possibile delle tecnologie è una sola? Non dipende dagli interessi e dai profitti che ci sono dietro? E non vale lo stesso per la direzione delle ricerche scientifiche? E poi l’evoluzione può essere solo materiale, tecnica?
Cosa ne è dell’essere umano in quanto essere senziente, vivente e cosciente, ancora sostanzialmente lo stesso di quello che era millenni fa?
Essere governati da una sorta di megamacchina richiede un alto e sempre crescente livello di standardizzazione, il che a sua volta antepone le esigenze della macchina a quelle dell’umano e vede perfino quest’ultimo in termini di tecnica.
Qualcuno parla di transumanesimo, ma io lo chiamo disumanesimo.
Prendere questa direzione e proseguire in essa è qualcosa di “scientifico”?
No: è una scelta (consapevole o inconsapevole che sia). Ed è una scelta determinata da un atteggiamento fideistico nel progresso non umano ma tecnologico, rinunciando peraltro ad una visione critica delle dinamiche di potere, di interesse ed arricchimento che gli stanno dietro.
È una scelta che mostra chiaramente che non si sa immaginare nessun’altra strada al di fuori di quella che ci ha portato a questa situazione di paura e di pericolo autoprodotto in cui siamo e a tutta questa spaventosa ingiustizia. Non si sa, ma anche non si vuole immaginare un’alternativa.
E la paura cresce, perchè è chiaro, in realtà, che questa strada non funzionerà: non fa che riprodurre ed aumentare le cause dei problemi; perché mai dovrebbe funzionare? E, come sempre avviene, tanto più si ha paura, tanto più si cerca sicurezza: si inaspriscono le limitazioni alle libertà, si cerca di abolire le forme di autonomia individuale, sia di pensiero che economiche, di abolire ogni variante umana; si impone la messa in riga di ognuno ed ogni cosa con i dispositivi del controllo centralizzato e telematizzato (dal pass – oggi green, domani qualcos’altro -, all’abolizione del contante, al riconoscimento facciale, al credito sociale, ai microchip incorporati, alle nanotecnologie, all’ingegneria genetica….). E, naturalmente, come sempre è stato, invece di fermarsi a chiedersi com’è che nonostante questa immensa potenza nel creare dispositivi per la sicurezza ci ritroviamo sempre più insicuri, si preferisce trovare il capro espiatorio in chi rifiuta di adeguarsi ed integrarsi in questo sistema assoluto di controllo. Per quanto pochi siano: si dice ad un tempo che si tratta di una infima minoranza residuale di gente fuori dal tempo e dalla realtà, un relitto della Storia, in sostanza, e però pare abbiano lo stesso la capacità di mettere a rischio tutta questa grande impresa che l’umanità è chiamata a realizzare e vanno convertiti….se non eliminati o quantomeno del tutto esclusi. Ed è paradossale che, in una società in cui si fa a gara a trovare sempre nuove categorie di minoranze che vanno riconosciute, valorizzate ed incluse…. proprio solo verso chi resiste alla nuova crociata che prelude al transumanesimo oggi ai suoi albori sia pubblicamente accettato rivolgere atteggiamenti e perfino minacce di stampo sostanzialmente razzista, se non fosse che qui non si tratta di razza ma di opinioni e comportamenti, peraltro tuttora legalmente legittimi.
La paura rende ciechi, soprattutto rispetto a ciò che non si vuol vedere. Anzi, la paura è proprio il non voler vedere. E ciò che non vogliono vedere è che questa forma di “civiltà” (se ancora si può usare questa parola per essa) con la quale si identificano è alla sua fine. È evidente, per chi non si rifiuti di vederlo, che non è sostenibile e questa non è solo una parola di moda: significa che non può continuare, che non ha un futuro e che non sono sufficienti piccoli cambiamenti (sui quali peraltro nemmeno riescono a mettersi d’accordo, come dimostrano le varie COP, arrivate oggi alla 26esima senza ancora reali risultati) ma è indispensabile una rifondazione radicale.
C’è qualcuno che è in grado di progettarla e mettere un tale progetto in pratica? Non credo proprio.
Occorre iniziare dissociandosi di fatto da questo modello di società, creando, in mille forme diverse che ognuno sceglierà o saprà trovare, una graduale, crescente autonomia, ma che sia reale, strutturale: non fatta solo di opinioni, bensì di scelte di vita. Non lasciamoci fregare da chi dirà che non è possibile al 100% o che le cose sono più complesse e ci vuole “ben altro”: non occorre farlo né subito né al 100% (basterebbe molto meno per togliere il sostegno di fatto necessario al Sistema per sostenersi sui nostri comportamenti economici) e certamente ci sono aspetti molto complessi, ma non c’è bisogno di ignorarli per cominciare a fare ciò che si può per sottrarre sé stessi dal sostegno di fatto al Sistema e recuperare pezzi di autonomia: chi parla così in genere sta solo cercando giustificazioni alla propria inerzia ed, ancora una volta, alla propria paura.
Bisogna avere coraggio e fiducia nella propria capacità e di ciò che, con pazienza, si può realizzare nel tempo: come erano capaci di fare una volta i contadini, senza tanti strumenti né istruzione sapevano superare difficoltà enormi e vivere, vivere e vivere, senza paura.
Attenzione, perché con questa storia del progresso, della tecnica, e del pensiero sofisticato ci hanno fatto sentire superiori, evoluti forse, ma ci hanno fregato alla grande.