Quando un movimento popolare è davvero espressione dei suoi interessi?
di Antonio Catalano - 05/10/2025
Fonte: Antonio Catalano
L’imponenza dei numeri delle manifestazioni di solidarietà alla causa palestinese è tale da indurre a delle riflessioni, difficili ma necessarie. Il fatto che tantissima gente sia scesa in piazza un po’ ovunque è un fatto importante, perché indica la volontà di far sentire la propria voce, di sentirsi protagonisti. Ed è importante che tanta gente abbia voluto esprimere la propria vicinanza a un popolo “vittima” della Storia per come questa è stata disegnata dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Una Storia che ha deciso di incistare nel cuore del nostro vicino Oriente un’entità statuale su un territorio abitato da un popolo che si è trovato a dover combattere per la propria esistenza messa in discussione dall’avanzare di coloni provenienti da varie parti del mondo. Con uno stato – sionista – che in tutti i modi possibili ha fatto sì che porzioni sempre più consistenti di quel territorio fossero sottratte, con la violenza, ai suoi legittimi abitanti, costretti a vivere sempre più ai margini, rinchiusi in aree vigilate in cui è negato il sacrosanto e fondamentale diritto all’autodeterminazione. Fino alla “soluzione finale” di una cacciata in massa per via di feroci e barbari bombardamenti dalla ormai tristemente famosa Striscia di Gaza.
Una premessa fondamentale, per chiarire come la si pensa sull’annosa questione e per evitare quindi di dover perdere tempo in spiegazioni che avrebbero solo il sapore di giustificazioni. Perché mai come in questa fase il dibattito pubblico è falsificato da categorie che non hanno più corrispondenza con la realtà, la cui funzione è solo quella di ingabbiare le contraddizioni in modo da poterle gestire secondo i proprio desiderata. Per essere espliciti: la dicotomia destra/sinistra è diventato l’alibi con il quale si liquidano le questioni a seconda della sponda sulla quale ci si situa. Per cui succede che un movimento è ritenuto importante se questo agita la bandiera che si considera amica.
Come mai tanta attenzione da parte dei media negli ultimi mesi sulla vicenda palestinese? Come mai tanta attenzione sulla vicenda flottilla? È ingenuo pensare che la grande risposta di piazza di questi giorni non debba buona parte del suo successo alla grande visibilità data dal circuito mediatico dominante. E quindi al grande moto emozionale che immagini feroci non potevano non produrre in buona parte della pubblica opinione. Circuito mediatico – serve ricordarlo? – per niente libero, che decide come e quando servire la notizia, e specialmente se servirla oppure ignorarla. In ogni caso manipolarla. E mai mai come in questi anni l'informazione è sottoposta al vaglio pesante di organi che non stanno lì a caso, che rispondono non a partiti politici ma a precisi centri di potere e di comando.
È sufficiente considerare la gestione dell’informazione sul conflitto in Ucraina, quando anche i gatti hanno capito che lì la guerra è tra Nato e Russia. Be’, un’informazione che funziona da cassa di risonanza delle ragioni della Nato, nello specifico della volontà Ue di riarmarsi destinando a tale riguardo centinaia e centinaia di miliardi (800 per il momento) che, ovviamente, vanno a ridurre ulteriormente la posta in bilancio per la spesa sociale (sanità innanzitutto). La “narrazione” a senso unico ha impedito ai più di capire le vere ragioni di questa guerra, opinionisti e politici tutti a spiegare che obiettivo della Russia era arrivare a Lisbona, che l’esplosione del gasdotto nel Baltico era opera loro eccetera. Chiunque abbia provato a invertire la “narrazione” ufficiale è stato silenziato, nel senso proprio che si è impedito ad associazioni e gruppi politici di parlare liberamente della questione, proiettare documentari e pubblicare mostre fotografiche. Insomma, una repressione della libertà di parola che ci ricorda altri tempi.
Stesso discorso per la gestione pandemica. La malattia da coronavirus diventava la ghiotta occasione per le grandi multinazionali del farmaco – Pfizer in particolare – di lucrare immensi profitti con sieri sperimentali venduti in quantità impressionanti tramite contratti farlocchi (vero von der Leyen?). Ghiotta occasione, inoltre, per testare la capacità di manipolazione collettiva dei popoli (tramite lockdown e green pass) e introdurre “stili di vita” più funzionali alle nuove dinamiche del mercato (smart working, vendita on line…). E qualsiasi tentativo di introdurre una razionalità scientifica subiva la taccia di negazionismo.
Stesso discorso per il cosiddetto climate change indotto dall’uomo, per cui bisognava modificare – anche qui – il proprio stile di vita («volete la pace o il condizionatore?» Draghi) e soprattutto decarbonizzare il sistema produttivo, un tentativo di rinnovarsi del capitalismo finanziario occidentale e contemporaneamente di reggere la concorrenza cinese. Anche qui la “narrazione” è stata a senso unico, ovunque “esperti” a intimarci l’imminente catastrofe, con schiere di giovani “ecoansiati” a manifestare contro il riscaldamento globale prodotto dalla CO2, impunemente a imbrattare monumenti e opere d’arte e a bloccare grandi arterie. E qualsiasi tentativo di riportare la discussione su un piano veramente scientifico veniva stroncato e ridicolizzato, in ogni caso negazionista.
Stesso discorso per i grandi movimenti di popolo che hanno cominciato a esprimersi nelle principali città europee. Come la grande manifestazione “per l’orgoglio nazionale” che ha riversato milioni di persone nelle strade di Londra. Un’esasperazione di popolo innanzitutto determinata dall’evidente insostenibilità di un’immigrazione impulsata dai centri di potere europei, ma resa indubbiamente esplosiva dal grave peggioramento delle condizioni sociali. Evento del tutto ignorato dai media che contano e liquidato dal progressismo come manifestazione di estremisti di destra, fascisti.
Nulla accade quindi a caso. Il potere europeista, non quello di Bruxelles ma quello dei grandi concentrati di potere economico e finanziario dai quali partono le disposizioni politiche “democratiche” ai quali i singoli governi “devono” rispondere. E chi fa le bizze viene messo all’angolo (Slovacchia, Serbia, Romania, Moldavia…). L’Europa ha deciso di armarsi contro la Russia, non può tollerare nessuna incrinatura al suo interno. Lo stesso rapporto con gli Usa è conflittuale, nel senso che gli interessi che oggi persegue l’amministrazione Trump non corrispondono con quelli europei. Per cui abbiamo un certo anti trumpismo che si traveste da antifascismo. Cosa che non accadeva con il “democratico” Biden, espressione di una visione strategica di potenza differente ma comunque aggressiva, se non più aggressiva nei confronti dei paesi non allineati.
Ma allora, come mai il potere che conta mette la sordina o addirittura silenzia l’informazione su questioni come quelle prima accennate e invece dà ampio spazio alla vicenda Gaza, fermo restando l’inaccettabilità dell’azione genocidiaria del governo israeliano? Come mai su questo movimento si è buttato a corpo morto la sinistra neo liberista e globalista, sin nel midollo europeista, sostenitrice della causa ucraina, nonché sostenitrice di quelle campagne di cui prima, nonché sostenitrice contro gli interessi popolari di un irresponsabile quanto funzionale immigrazionismo?
È abbastanza chiaro che questa svenduta sinistra, antinazionale e antipopolare, che si muove in perfetta sintonia con l’élite europea – non trumpiana – pensa in questo modo di recuperare un certo consenso strumentalizzando la protesta in chiave anti meloniana. Addirittura, attraverso i suoi “Giuristi per la Palestina”, arriva a denunciare il governo italiano e Leonardo alla Corte penale internazionale per complicità in crimini di guerra e genocidio. Rimane davvero sospetta questa denuncia quando, tanto per dirne una, ha ignorato, se non approvato, la cancellazione del voto popolare in Romania a favore di Georgescu. È molto chiara l’intenzione di Pd e campo largo di delegittimare il governo Meloni per arrivare a un governo tecnico più o meno di centro-sinistra comunque più allineato alle mire guerrafondaie di Macron, Merz, Starmer e della baronessa.
Un’ultima considerazione, sulla quale spero non si focalizzi l’attenzione, che comunque ha una certa importanza, ma su questo ci tornerò successivamente con un discorso ragionato. È vero, la grande manifestazione di ieri a Roma (ma anche altrove) è stata pacifica. Ma rimane innegabile che certi atti teppistici siano interni a una certa cultura di superiorità antropologica, connaturata a questa sinistra anti popolare. Per esempio, è chiaro che definire fascisti, omofobi e quant’altro di peggio quelli di Pro Vita, non accettare culturalmente l’idea della legittimità della posizione di chi considera sacra la vita (poi ognuno considera sacro ciò che gli sta più a cuore) autorizzi poi i più “combattivi” (e vigliacchi) a sentirsi nel giusto nel compiere regolarmente la devastazione dei locali di questa associazione con scritte che rivendicano il diritto di bruciarli “meglio se con loro dentro”. È chiaro che se negli ambienti di questa sinistra degenerata è radicata l’idea che gli “altri” sono merde, qualsiasi azione “purificatrice” è considerata meritoria, comunque non disprezzabile. E non basta dire “eh, ma non sono rappresentativi della maggioranza che sfila pacificamente!”. Gli ambienti politici “educano” i comportamenti. Quale legittimità popolare possono avere forze politiche che non “educano” i propri militanti e simpatizzanti al rispetto delle forze dell’ordine? Ecco perché poi prevale quel sentimento anarchico o alla centro sociale che ritiene legittimo scagliarsi a prescindere contro poliziotti e carabinieri.
Insomma, stiamo attenti, in una fase nella quale si stanno giocando i destini del nuovo mondo, in cui oggettivamente si apre una fase multipolare, processo che non sarà comunque pacifico, i popoli sono chiamati direttamente o indirettamente alla guerra. E grande è la capacità dei poteri guerrafondai democratici di orientare le masse nel modo più conveniente ai propri interessi. Per questo urge sviluppare una coscienza popolare e politica autenticamente sovraniste.