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Quello che in fondo è intollerabile al "democratico" occidente

di Antonio Catalano - 18/05/2022

Quello che in fondo è intollerabile al "democratico" occidente

Fonte: Antonio Catalano

Stamattina leggevo l’intervento sulla “Verità” di Ivan Rizzi, presidente dell’Istituto di alti studi strategici e politici (Iassp), sulle implicazioni dello scontro in atto tra Usa e Russia, delle somiglianze con quell’altro della “Guerra fredda”, e delle novità date da uno scenario in cui compare la Cina come nuovo protagonista nell’arena internazionale. Presupposto dell’analisi di Rizzi è che gli Usa oggi intendono scardinare l’asse Pechino-Mosca, mettendo fuori gioco quello che gli americani considerano l’anello debole, ovvero la Russia. Secondo l’analista, la potenza americana è «costretta a rilanciare tutto il suo egemonismo nel bel mezzo di una estenuante crisi valoriale ed economica, con dentro la bomba ad orologeria di un deficit commerciale micidiale. Mentre la Russia sta scivolando fuori orbita, la sua potenza [degli Usa] e credibilità sono ogni giorno più compromesse». Ma, secondo Rizzi, c’è una differenza di “tenuta spirituale e simbolica” tra Russia e Occidente. Una differenza che fa rendere «temibile una resistenza ‘ad libitum’ alle sofferenze, impensabile per l’Occidente».  
Una Russia dalla “tenuta spirituale e simbolica” contro un occidente privo di questa. E qui torna alla mente il discorso di Putin del 9 maggio scorso. «Noi siamo un Paese diverso. Non rinunceremo mai all’amore per la Patria, alla fede e ai valori tradizionali, ai costumi dei nostri antenati, al rispetto per tutti i popoli e le culture. Mentre in Occidente, a quanto pare, hanno deciso di abolire questi valori millenari. Un degrado morale che è diventato la base di ciniche falsificazioni della storia…».
Sembra quindi che noi abbiamo perso la capacità alla “sofferenza”, che invece i russi, come altri popoli, hanno. È più facile, per esempio, scrive Rizzi, che nel breve-medio periodo le sanzioni pieghino noi invece che «quelle genti, le stesse che ritroviamo nel Tolstoj di ‘Guerra e pace’ o nei supplizi dei ‘Racconti di Kolyma’». Non è solo un fatto di penuria di beni materiali e servizi, c’è qualcosa di più profondo, e l’analista ne coglie bene alcuni aspetti quando parla della nostra Europa in stallo economico e culturale, un luogo dell’attesa, un parco delle rimembranze senili, priva di disegno prospettico unitario e di spirito tensivo. Di un’Europa che «copia alla lettera l’etica censoria della ‘Critical race theory’, della cancel culture e del verbo militante di Washington».
In questi giorni, per esempio, vediamo che la componente più bellicista e guerrafondaia – quella rappresentata politicamente dal magma liberal progressista con epicentro il Pd – sta provando a riproporre il decreto Zan (bocciato l’anno scorso), un pacchetto nel quale in sostanza si afferma la liquidità di genere e la cancellazione delle identità sessuali; e, nonostante non sia diventato legge quello sciagurato disegno di legge, il Pd ha imposto (ieri 17 maggio) con circolare ministeriale nelle scuole, in ossequio all’etica militante “fluid gender” tanto cara a una certa America, la giornata contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Emergenza del tutto inventata ma utile per distruggere fin dalla più tenera infanzia le identità sessuali ritenute di ostacolo alla piena liberalizzazione oltre che delle menti anche dei corpi. Non è un caso che i più accesi e virulenti sostenitori delle ragioni americane della guerra per procura ucraina siano gli stessi che si ergono a paladini del sovvertimento dispotico del costume sociale “naturale”, diciamo pure tradizionale, dove questo termine non deve far arricciare il naso, a favore di uno del tutto inventato, quindi completamente estraneo alla storia e alla cultura sociale dei popoli. Ma per questi dispotici negazionisti del principio di realtà la “mission” è creare un “modello” umano completamente versatile, e quindi manipolabile dal mercato globalista (ed europeista) a piacimento in e per tutte le circostanze presenti e soprattutto future.
Ma Ivan Rizzo, pur evidenziando le secche nelle quali si trova l’Occidente, non riesce a nascondere il solito pregiudizio liberale della superiorità del suo “sistema” sull’anti liberalità atavica di quello russo, prigioniero di un humus sociale fatto di «silenzio e remissività, di fede e incantamento». Senza soffermarci sul tema, possiamo per ora solo ricordare che il “sistema occidentale” è “libero” nella misura in cui è libero il mercato, alfa e omega di tutto.  
Si tratta di quel pregiudizio liberale fondamento del senso di superiorità (non razziale), premessa fondativa della russofobia. Di quell’odio verso la Russia che è odio non per un sistema in quanto tale, ma per la refrattarietà atavica del popolo russo a sottomettersi alla logica del mercato che decide tutto; di quell’odio che assume i contorni della definizione teorica, come i nostri “liberi” intellettuali si affannano a elaborare; di quell’odio che ritorna non appena la ruota della storia gira in un certo modo.
Simile a quel senso di superiorità coltivato nei confronti del resto del mondo, nonostante i discorsi retorici e ideologici della “critical race theory”. Ma con qualcosa in più. In più perché l’odio verso la Russia si alimenta della irriducibilità di questo spazio mondo a rientrare nella ragione strumentale propria dell’occidente liberale e democratico. Irriducibilità sancita nelle varie circostanze storiche da un popolo (non semplicemente dalle sue classi dirigenti) indisponibile a sottomettersi e a farsi schiacciare e umiliare con quella facilità con la quale, purtroppo, altri popoli, sono stati ridotti in macerie dagli esportatori di democrazia e di “critical race theory”. Con gli “americani”, e con essi i loro servi europei, che non si danno pace per questo.