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Ridare un senso al lavoro

di Mario Bozzi Sentieri - 18/04/2021

Ridare un senso al lavoro

Fonte: Mario Bozzi Sentieri

C’è stato un tempo in cui – per dirla con Charles Péguy – “nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava, oggi si sbuffa. (…) Lo si creda o no, fa lo stesso, abbiamo conosciuto operai che avevano voglia di lavorare. Abbiamo conosciuto operai che, al risveglio, pensavano solo al lavoro. Si alzavano la mattina – e a quale ora – cantando all’idea di andare al lavoro”. A “motivarne” lo spirito era il culto del lavoro ben fatto, anche “la gamba di una sedia doveva essere ben fatta” – scriveva Péguy – non per il padrone o per il cliente, ma di per sé, per una forma di rispetto verso una tradizione e le sue parti costitutive, con lo stesso spirito con cui si costruivano le cattedrali.

Recuperare il senso del lavoro, per chi l’ha perduto e per chi deve scoprirlo, è il “percorso terapeutico” tratteggiato da Stefano Parenti (Il tuo lavoro ha un senso ?, Sugarco, 2020). Parenti è uno psicologo e psicoterapeuta, responsabile di un presidio socio-psicologico nel Milanese e co-fondatore di Family Care, un centro servizi per adolescenti, lavoratori e famiglie. E’ – in sostanza – un professionista ed uno studioso che opera “sul campo”, confrontandosi con le frustrazioni, le difficoltà esistenziali (tra chi ha perduto un lavoro e chi desidera scoprirne il valore), la ricerca del giusto equilibrio tra le dimensioni della vita, che rimarcano il tempo confuso e frustrante della modernità.

Alla base del percorso offerto da Parenti c’è  il principio che “non bisogna dare più importanza a cosa si fa rispetto al perché lo si sta facendo”. Qui si trova il punto di svolta che divide lavoratori consapevoli e sereni da quelli nevrotizzati ed infelici, in un mondo del lavoro che – nota Parenti – “è colorato di grigio, agonizzante”, fatte ovviamente le debite eccezioni, rappresentate soprattutto nel campo delle cosiddette “relazioni d’aiuto” (medici, educatori, insegnanti), peraltro sottoposti al fenomeno del burnout, “in cui l’ardimento iniziale  ben presto si trasforma in cinismo e noia”.

In quest’ opera di “ricostruzione” importante è andare alle “fonti” di una cultura, di una visione della vita e del mondo.

Platone, Aristotele, la tradizione occidentale antecedente alla rivoluzione industriale, dove si lavorava letteralmente con il sudore della fronte, ci parlano delle ragioni per cui si lavora contenti. Nel libro Parenti ne sintetizza quattro. La prima: procurarsi il necessario per sopravvivere (non per comprare il superfluo). La seconda: l’educazione delle passioni. La terza: combattere contro la pigrizia che ci priva del gusto. La quarta: l’elemosina, prenderti cura di chi ti circonda. Un papà che lavora tanto per mantenere il figlio all’università sta facendo elemosina; una mamma che accudisce i figli usa il suo tempo per migliorare il mondo facendoli crescere buoni. Andare al lavoro con questa consapevolezza lo fa diventare un bisogno.

In un tempo – come l’attuale – di “ripensamento” e di ricostruzione, segnato dall’emergere di una tecnologia spesso senza radici, la riscoperta della nostra tradizione culturale permette il recupero della grande virtù della laboriosità, declinata a partire dalle sue diverse parti: la ricerca delle cose grandi (magnanimità), la pazienza e la perseveranza, che – nota Parenti – manca all’insofferente, spesso molle o pigro. In sintesi,  di un nuovo equilibrio individuale e sociale per ridare senso al lavoro e con esso alla vita.