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Segnali di ripresa nella società civile?

di Franco Cardini - 17/12/2019

Segnali di ripresa nella società civile?

Fonte: Franco Cardini

Sono parecchi gli analisti stimati come seri (e qualcuno sarà senza dubbio tale) i quali da un po’ di tempo stanno rimarcando nella nostra società civile alcuni segnali di ripresa: in Occidente e in Europa in generale, in Italia in particolare, nelle più giovani generazioni in modo particolarissimo. Anch’io ho avuto, lo confesso, qua e là sensazioni analoghe. Si può pensare quel che si vuole del “caso-Greta”, ed è legittimo porsi almeno il problema di chi possa in un modo o nell’altro dirigere e gestire la ragazza; ma il fatto che essa sia in qualche modo riuscita a interessare ai problemi dell’inquinamento e della crisi bioplanetaria masse di gente che non si erano finora scosse nonostante a dar l’allarme a proposito dei medesimi problemi fossero fior di scienziati è senza dubbio positivo. Le “sardine”. Le quali vogliono senza indugio e con grande passione qualcosa però non sanno che cosa, faranno entro poco tempo la stessa fine che a suo tempo hanno fatto saltellatori, girotondini e che stanno adesso facendo i grillini: e magari sono più o meno le stesse persone che, in un recente o meno recente passato, erano quelle cose. Ma la loro fragile e rumorosa vocazione è sempre meglio del nulla manifestato dai troppi che hanno interesse solo per gli smartphones “di ultima generazione”; o del finto radicalismo politico di chi si serve di simboli, gesti e slogans “maledetti” (saluti fascisti, svastiche, “boia-chi-molla” eccetera) solo perché convinto che in tal modo il Nulla del suo tifo calcistico riuscirà a scandalizzare e a indignare, conferendo loro in tal modo un oscuro fascino diabolico che altrimenti mai riuscirebbero a conseguire servendosi solo dei colori della squadra del cuore. Per dei poveri cristi sulla china sempre più scivolosa della proletarizzazione, far credere e fingere di credere di rappresentare “il Male assoluto” è un’ebbrezza senza pari, una dolceamara illusione. Un delirio di onnipotenza per chi sa di non contar nulla e di non essere nessuno.
Insomma, la crisi incipiente anzi ormai cominciata (socioeconomicopolitica, o “dei valori”, o di quant’altro volete) sta iniziando anche a dare suoi frutti in termini di reazione: ad esempio, si stanno risvegliando perfino preoccupazioni, da parte degli studenti e/o delle loro famiglie, sul fatto che la scuola e l’università funzionano sempre meno e sempre peggio; mentre è frequente che qualcuno s’interroghi sulla funzione civica e selettiva che durante la prima repubblica era assolta dai partiti politici, pur con tutti i loro difetti. Ad esempio, si rimpiange il buon tempo andato nel quale i parlamentari, dopo aver tanto sgobbato per farsi accettare in una lista e per raccogliere e preferenze necessarie a guadagnarsi lo scranno alla Camera o al Senato, dovessero poi lavorare per mantenerlo interessandosi addirittura ai problemi di chi li aveva eletti: mentre oggi basta tenersi buona la segreteria che ti ha affidato la “sinecura” oppure cambiar con disinvoltura schieramento magari facendosi pagare – come dice Di Maio – “un tanto al chilo”.
Ma non c’è segnale positivo che non presenti un risvolto di opposto segno, un suo dark side. Prendiamo il meritevole, addirittura esemplare caso de “L’Espresso”, il quale col suo numero dell’8 dicembre scorso avvìa con solennità – così come lo presenta il lucido editoriale di Marco Damilano, Il tempo delle sorprese – un’inchiesta a puntate “tra i nuovi partiti, quelli che hanno governato il Paese negli ultimi anni e quelli che si candidano a farlo nei prossimi”. Lo “strillo” sottostante il titolo, esemplare per chiarezza, recita: “Le divisioni tra PD e M5S, la debolezza di Conte, la tenuta della Lega. Nulla di quanto accaduto in questi mesi era imprevedibile in estate. Tranne il ritorno delle piazze che chiedono più politica”. Salvo che poi, le piazze, questa “più politica” – e Duo sa se ne avrebbero bisogno – non riescono a proporla e non sanno né immaginarla, né gestirla.
Quanto ai nuovi o seminuovi movimenti politici e a quelli che cercano di riciclarsi come tali, chi li sostiene e finanzia? Mettiamo magari tra parentesi il “Movimento 5 Stelle”, che sta avviandosi a qualcosa tra la frana e la caduta libera e dietro al quale, com’è abbastanza noto in linea generale, c’è “un conflitto d’interessi alla base di tutto, una società privata, la Casaleggio associati, che guida il Movimento, ne gestisce la piattaforma su cui gli iscritti prendono le decisioni più importanti, considerata intoccabile dagli eletti”. Chi scrive queste cose potrebb’essere sospetto di complottite acuta, ma lo dice con severa sicurezza e molti con lui sono pronti a giurarlo. Ci sono ancora altri partiti controllati dai loro rispettivi “Signori Sconosciuti” o semitali? Eccome. Ecco qua, enumera l’editorialista. “I salotti romani di Matteo Salvini” (ma i “salotti di sinistra” satireggiati dal pur comunista Ettore Scola nel film La terrazza, del 1980, ve li siete dimenticati? Non sarà che il potere cosiddetto “democratico” funziona sempre e comunque così, per salotti e per terrazze più che per severe aule parlamentari?). E prosegue l’enumerazione di Damilano: “La casa di Matteo Renzi e la fondazione Open” (Renzi si è già risentito ed ha attaccato il settimanale accusandolo di mischiare accuse politiche e violazioni della privacy: in effetti, di prestiti compiacenti come di affitti a prezzo simbolico avevamo già sentito parlare altre volte, per altri soggetti politici…). E finalmente, ecco qua: “Le lobby che finanziano il gruppo parlamentare europeo dei Conservatori e Riformisti (ECR) di cui fanno parte Giorgia Meloni” (senta Damilano, ma in questo paese che abusa di uno pseudoinglese fatto di election day e di location, non sarebbe meglio immettere una pillola di correttezza, cominciando dai plurali? È proprio così arduo sostituire lo sciatto lobby al plurale con un più corretto lobbies?).
Ma parliamo un istante proprio di lei, di donna Giorgia: la Meloni, passata in qualche anno da ragazzina un tantino borgatara che in fondo faceva tenerezza (e che a me è sempre stata simpatica) a quasi femme fatale – miracoli dei “consiglieri estetico-mediatici” – e adesso, appunto sulla copertina dell’ultimo numero de “L’Espresso”, addirittura a dark lady se non a Regina Cattiva di Biancaneve o a Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie. Giorgia, Belle Dame sans Merci. Del resto, già Salvini pare l’avesse ribattezzata come “Malefica”, con buona pace di Angelina Jolie. Di questo passo, io le segnalerei un nuovo e più cupamente splendido traguardo: prenda a modello l’Astrifiammante del mozartiano Flauto Magico, la “Regina della Notte”: quella sì, davvero Mater Terribilis. E con più stile (con ciò non voglio affatto insinuare che un Sarastro credibile sarebbe l’Europa di Strasburgo-Bruxelles, o la sinistra in genere, o i migranti, o meglio: chi guadagna sui loro viaggi della speranza).
D’altronde, lasciatemi spezzare cavallerescamente una lancia nei confronti di quella che attualmente sembra l’unica donna in carriera politica che abbia dei numeri per ambire al ruolo di statista. Prendiamo la situazione internazionale: alla NATO e all’atlantismo sembrano ormai proni quasi tutti, da quel che resta di “Forza Italia” al PD (e, se si continua di questo passo, vedremo in che modo sapranno portar avanti un atlantismo-occidentalismo senza USA); i conati russofili e vagamente eurasiatisti di una parte della Lega sono alquanto timidi e contraddittori; “Italia Viva” sarebbe tentata dall’americanismo, ma a quello di modello kennediano o clintoniano (Obama al massimo), mentre recalcitra – e non la si può certo biasimare per questo – dinanzi al modello Chiomarancio Trump. Dal canto suo lo sfasciacarrozze e guastafeste Donald (gli americani lo dicono in modo più pittoresco: Party Pooper; se non lo capite, fatevelo tradurre), tra i molti colpi di testa dei quali è tessuta la sua antimetodologia politica, sta coccolandone uno che potrebb’essere dirompente: la rottura della solidarietà occidentale, lo “strappo” iperamericanista nei confronti dei vecchi alleati della NATO che rischiano di restare senza padre-padrone (chi dei due poi guadagnerebbe o perderebbe di più da tale mossa, è ancora da vedersi), mentre magari lui già sogna di veleggiare verso nuovi i probabili e scandalosi amici, dalla Russia di Putin alla Cina dei vantaggiosi accordi commerciali fino, e perfino, al Nord Corea e all’odiato e stramaledetto Iran. In questo contesto, un appoggio sistematico a tutti i sovranismi possibili sarebbe coerente e tatticamente pagante: a cominciare da quello avviato da Boris Johnson e dall’ipersovranismo della sua Brexit, che se vuol avere qualche probabilità di farcela non potrà se non appoggiarsi pesantemente a Washington.
Ora, in materia di prospettive funamboliche, mi dispiace per i fini cultori di politica estera quali Gentiloni, ma è proprio la Meloni che potrebbe hit the target. Eccola al fianco di Bannon: eccola, prima fra tutti, a dar l’impressione di aver lucidamente compreso che il sovranismo di un piccolo e debole paese non paga e non sta in piedi, a meno che esso non riesca a proporsi come il primogenito e il capobanda degli aspiranti ascari della Superpotenza che non sarà più tale, ma che ha ancora delle frecce al suo arco, ha Israele al suo fianco – il che le offre un vantaggio eticopolitico incommensurabile – e può ambire a giocare il ruolo del ferro di lancia di Washington in un’Europa indebolita e in una NATO semiscreditata. Forse ci aveva magari già pensato Terzi di Santagata, ma i tempi non erano ancora maturi. Certo, Giorgia dovrà spiegare ai suoi ragazzacci che non è più il caso, in futuro, di andar tutti gli anni a rendere omaggio ai caduti della Barbarigo sul litorale laziale – i marines repubblichini che seppero dar del filo da torcere ai loro colleghi d’Oltreoceano –, ma che bisognerà contendere al vecchio Berlusca il primato, ogni 25 aprile, di elevare il suo solito annualepeana ai “bravi ragazzi che si sono sacrificati per aiutarci nella nostra guerra di liberazione”. Se Parigi val bene una messa, Palazzo Chigi (o comunque un seggio al governo) val bene una cerimonia con tanto di bandiere, ci fossero pur in mezzo anche quelle dell’ANPI. Lasciamola a Luciano Violante, l’apologia dei giovani che si batterono valorosamente per l’onore e il sacrificio dei quali va comunque rispettato… queste anticaglie in politica non pagano. Fratelli d’Italia, in God we trust. Del resto, già nel 2003 l’allora Alleanza Nazionale era stata in prima fila nel sostenere il “nostro” intervento in Iraq: e chissenefrega se, più tardi, Tony Blair ha dovuto spiegare che tutto quell’imbroglio era stato studiato a tavolino tra lui e quell’altro bugiardo di George W. Bush jr. Consentitemi dunque l’Amarcord di un vecchietto che già nel ’65 uscì dalla Direzione Nazionale Giovanile del MSI e abbandonò il partito stesso in quanto aveva capito perfettamente che dietro il cianciar di socializzazione e di “nuova Europa” c’erano soltanto il criptoamericanmismo-criptoatlantismo sistematico e il mercato dei voti parlamentari in appoggio alla DC. F.d’I. è il nipotino forse un po’ incialtronito ma non poi granché degenere del MSI di Michelini (e anch’esso ovviamente sogna, mutatis mutandis, una “grande destra” che però adesso, con Forza Italia e la Lega, appare più lontana).
Va da sé che di questa conversione americanista e conservatrice-avventuristica (Trump non è un conservatore-tipo) io personalmente non condivido nemmeno una briciola: anzi, m’indigna un po’ la confusione (strumentale ai livelli più alti, frutto d’ignoranza a quelli più bassi) tra la difesa della “civiltà cristiana” e i conati neocrociatistici e neosegregazionisti contro musulmani e migranti, nonché tra il concetto cristiano-cattolico di famiglia e di morale di cui F.d’I. si fa portatore e il familismo bigotto di marca puritano-“settaria” che sostiene i peggiori progetti conservative, comprese liberalizzazione del traffico e del possesso di armi e aggressioni neoimperialiste in tre continenti sostenute dall’Israele di Netanyahu e dall’Arabia Saudita.
Ma da qui alla denunzia de “L’Espresso” ce ne corre. Perché, come del resto Damilano lealmente ed esplicitamente riconosce, il caso del partito della Belle Dame sans Merci “va distinto dagli altri: è tutto lecito e registrato”, anche se “prendere sul serio la crescita di Giorgia Meloni significa anche raccontare le relazioni internazionali, le lobby (e daje…) che hanno (legittimamente) messo gli occhi addosso a un partito ancora disponibile e che scommettono su di lei. Nessun appoggio è gratuito, soprattutto in politica”.
Appunto. Anzi, rincariamo la dose. Al giorno d’oggi, le lobbies non si limitano affatto ad “appoggiare”: magari fosse così. Ciò accadeva al tempo nel quale in qualche modo vigeva, sia pure molto imperfettamente, il principio del “primato della politica”. In tempi di primato dell’economia, della finanza, del profitto e della tecnologia, le lobbies non “appoggiano”: dispongono, indirizzano, scelgono, comandano, sono loro il “governo profondo” internazionale. E sono le prime responsabili dell’assoluto squilibrio nel quale sta affondando l’intera popolazione mondiale divisa tra i pochissimi superricchi, i relativamente pochi che hanno deciso di comportarsi come loro benissimo o ben o benino retribuiti e le immense moltitudini dei poveri in via d’impoverimento ulteriore. È questo “governo profondo” il primo se non l’unico vero nemico del genere umano, l’unico Male assoluto. Ed è, attenzione, un potere a sua volta cieco: difatti, la nostra sola fortuna è che per il momento è ancora profondamente diviso al suo interno e dilaniato in se stesso.
Ebbene: si denunzino pure, come fa “L’Espresso” nella “Prima Pagina” di Federico Marconi e Giovanni Tizian (I soldi di Giorgia), i finanziatori e quindi i padroni della Belle Dame sans Merci. Li hanno elencati un po’ in pittoresco disordine e non senza qualche contraddizione, ma per cominciare va bene anche così: “L’ultradestra USA. I palazzinari romani. E i lobbisti di multinazionali in Europa: da Exxon a Huawei”.
Ohimè, cari amici del settimanale delle persone colte e intelligenti, ciò è senza dubbio utile e necessario e meritorio: ma purtroppo non è sufficiente. Errori e inesattezze a parte, ora che avete cominciato a dirci di donna Giorgia quel che pare essa non abbia mai nascosto, e che avete aggiunto sul medesimo numero del vostro giornale anche parecchi – direbbe Dante – “invidiosi veri” altresì su Renzi e su Di Maio, come si dice a Roma e mo’ l’avete fatta in pizzo ar cornicione. Avete egregiamente fatto trenta: dovete far trentuno. Avanti col coro. Proseguite l’inchiesta. Guardate bene anche dentro a Forza Italia e magari, soprattutto, al PD. Date bene un’occhiata alle Banche, a cominciare dalla Banca Centrale Europea. Mettete il naso senza paura che ve lo taglino (anche se il rischio c’è) nei corridoi del Parlamento Europeo a Bruxelles e a Strasburgo e sorvegliate l’attività praticamente libera e aperta dei lobbisti che sistematicamente piegano troppi eurodeputati agli interessi delle multinazionali alla faccia del clima, dell’inquinamento, della sicurezza dei popoli e degli individui, della libertà e della verità. Ne vedrete e ne avrete da raccontare davvero delle belle. Vi aspettiamo con ansia, leggeremo con gratitudine le vostre inchieste e prenderemo buona nota delle vostre denunzie. Se non vi ammazzano prima.